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Guido Tordi, comandante di compagnia della Stella Rossa

Schede

Alle cinque di quella mattina [29 settembre 1944] vidi i primi incendi della strage di Reder e mi avviai da solo verso Ca’ di Germino, dove doveva esserci un gruppo della brigata, ma non trovai nessuno. Da quella posizione cominciai a vedere le colonne dei tedeschi che salivano da Gardeletta e le case in fiamme in direzione della Quercia. Ritornai di corsa a Cerpiano e trovai tutto abbandonato. Allora slegai il bestiame e mi avviai verso monte Sole e nel passare da Casaglia vidi la gente che stava entrando in chiesa. Camminando nel bosco giunsi a Caprara dove vidi la popolazione civile che stava entrando in un rifugio. Poi salii sul monte Caprara, dove incontrai Guerrino Avoni e Gastone Sgargi e restammo qualche ora insieme controllando dal bosco la strada che saliva da Marzabotto e fu qui che Gastone restò ferito. Sparammo con poco successo, ma almeno per dimostrare che c’eravamo. Così fino circa alle otto di sera. Poi mi avviai verso Caprara e nel tragitto vidi le scene del terribile massacro: tutto era in fiamme, il bestiame era impazzito. Mi avvicinai a una casa in fiamme e sentii una voce di bimba che chiamava la mamma. Entrai e vidi tutte le donne legate con del filo di ferro crivellate di colpi e tutte in un mucchio. A destra, dietro la credenza, c’erano due bambine, una di due o tre anni, ferita al fianco, l’altra che aveva uno squarcio nella mascella. Le tirai fuori proprio nel momento in cui le travi del solaio stavano cadendo in fiamme e nel crollo fu travolta una ragazza di dieci anni circa, che era ancora in vita. Presi le bimbe e le portai nel bosco, sopra a un carretto, poi avvertii il dottor Massarenti, che era medico della brigata, che portò i primi soccorsi poi le consegnò alla guardia della tenuta Beccadelli: la guardia si chiamava Moschetti e abitava a Caprara.
Verso le dieci, le forze che si trovavano su monte Caprara e monte Sole si riunirono, presenti i comandanti di battaglione Otello Musolesi e Cleto Comellini. La decisione fu quella di spostarsi verso Grizzana, per uscire dalla zona. Io feci praticamente da guida a una lunga colonna di partigiani. Durante la marcia passammo ancora nelle zone della strage e dappertutto era una visione terribile. Ci portammo sul fosso Orsarolo, sopra la stazione di Grizzana e qui discutemmo sul da farsi in un clima molto teso: chi voleva tornare indietro, chi voleva congiungersi con gli alleati, chi dividerci in gruppi. Di fatto finì che ci dividemmo. Io tentati tre volte di passare il fronte a Farneto e l’ultima volta combattemmo e alla fine dovemmo desistere dato il nostro misero armamento. Poi, insieme a Cesarino Grandi e Ubaldo Nerini, tornai verso Vado seguendo il letto del fiume e ci imbattemmo in una postazione tedesca. Attraversammo in fretta la strada e i tedeschi ci spararono e poi ci mandarono dietro i cani, ma non ci presero. Arrivammo alla Casa Rossa, frazione di Brigola e di qui, passando sopra Polverara, raggiungemmo la mia casa alle Piane di San Nicolò. Qui attesi, in un rifugio, il passaggio del fronte.

Luciano Bergonzini, "La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti", vol. V, Istituto per la Storia di Bologna, Bologna, 1980
[RB5]
Note
1