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Giuseppe Lorenzini, partigiano della Stella Rossa

Schede

A me hanno massacrato quattordici familiari (…). La moglie e due figli, uno di cinque, l’altro di quattro anni, li fucilarono il giorno 29 settembre a S. Giovanni; il giorno dopo, a S. Martino, furono assassinati dai nazifascisti mia madre, tre sorelle, tre cognate e quattro nipoti. Io, buttandomi dalla finestra, ero riuscito a rifugiarmi nel bosco, da dove sentivo le grida della gente di S. Giovanni. Sentivo anche le urla degli assassini, e ce n’erano che parlavano in dialetto emiliano, ma tutti avevano i vestiti delle SS.
Il giorno dopo, a S. Martino, vidi lontano un gruppo di gente, tutti donne e bambini, con un solo uomo in mezzo con una gamba offesa, sparpagliarsi per i campi a branco, senza una direzione precisa. Sentii dei colpi, poi i nazisti li circondarono e li raggrupparono. Fecero presto, ve lo dico io, picchiavano sulle dita e sulle unghie delle mani e dei piedi con i calci dei fucili. Li portarono davanti alla porta della nostra casa, dove li fecero ammucchiare e li massacrarono tutti con le mitraglie. Poi, uno per uno, gli diedero un colpo di fucile alla nuca.
Tornarono ad ammucchiarli, perché nel morire s’erano un poco dispersi, spinsero sul posto un carro di fascine, in modo da coprire tutti i cadaveri, fuori non spuntava neppure un piede, poi diedero fuoco. Inutile dire che anche le case furono tutte bruciate. Della figlia di mio fratello, di quattro anni, non siamo mai più riusciti a trovare la testa.
Non mi volli allontanare dalla zona senza prima aver dato sepoltura ai miei morti; sepoltura provvisoria, s’intende, così come si poteva. Mi unii con gli altri scampati, alcuni facevano la guardia nei punti più opportuni, perché i nazifascisti passavano e ripassavano sempre. Gli altri provvedevano alla sepoltura. Impiegammo due giorni a seppellirli tutti, e non dico quante volte anche noi corremmo il rischio di essere presi e massacrati. Spari e raffiche se ne sentivano ogni momento e il fumo degli incendi c’era sempre, vicino e lontano.

Renato Giorgi, "Marzabotto parla", Milano-Roma, Venezia, Marsilio editori 1991
[MP]

La mia famiglia è stata distrutta. Nel massacro di Marzabotto mi hanno ucciso la moglie e due figli (uno di cinque e uno di quattro anni) a San Giovanni il 29 settembre; il giorno dopo, a San Martino, i nazifascisti hanno massacrato mia madre, le mie tre sorelle, tre cognate e quattro nipoti: il più piccolo aveva quattro anni. All’inizio del massacro di San Giovanni io riuscii a buttarmi dalla finestra e a rifugiarmi nel bosco e dal mio nascondiglio udii le implorazioni e le grida dei massacrati e anche le urla degli aguzzini, fra i quali, pure in divisa tedesca, vi erano degli italiani e li distinsi dalla loro parlata dialettale…
Dopo il massacro di San Martino (sic) vidi a distanza un gruppo di gente, tutte donne e bambini, con un solo uomo in mezzo, con una gamba offesa, sparpagliarsi per i campi a branco, senza una direzione precisa. Sentii dei colpi, poi i nazisti li circondarono e li raggrupparono e cominciarono a bastonarli selvaggiamente. Poi li portarono proprio davanti alla porta della nostra casa, dove li fecero ammucchiare e subito massacrarono tutti con le mitraglie. Poi spararono a ciascuno un colpo di fucile alla nuca.
Tornarono ad ammucchiarli, perché nel morire s’erano un poco dispersi, spinsero sul posto un carro di fascine che rovesciarono sopra i morti, aggiustarono per bene le fascine, in modo da coprire tutti i cadaveri. Fuori non spuntava neppure un piede, poi diedero fuoco. Inutile dire che anche le case furono tutte bruciate. Della figlia di mio fratello, di quattro anni, non siamo mai riusciti a trovare la testa. Non mi volli allontanare dalla zona senza prima aver dato sepoltura provvisoria ai miei morti. Poi mi unii agli altri scampati e alcuni di questi facevano la guardia nei punti più opportuni, perché i nazifascisti passavano e ripassavano sempre. Gli altri intanto provvedevano alla sepoltura. Impiegammo due giorni a seppellirli tutti, e non dico quante volte anche noi corremmo il rischio di essere presi e massacrati. Spari e raffiche se ne sentivano ogni momento e il fumo degli incendi c’era sempre, vicino e lontano”.

Luciano Bergonzini, "La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti", vol. V, Istituto per la Storia di Bologna, Bologna, 1980
[RB5]
Note
2