Giovannini Alberto

4 novembre 1882 - [?]

Note sintetiche

Titolo di studio: Laurea
Occupazione: Professore universitario

Scheda

Alberto Giovannini, da Luigi e Argia Zanetti; nato il 4 novembre 1882 a Bologna; ivi residente nel 1943. Laurea in giurisprudenza. Professore universitario.
Iscritto al PLI.
Dopo una breve esperienza mazziniana, aderì agli ideali liberali. Nel 1902 fondò “La Libertà economica”, un periodico nel quale sosteneva le sue idee «liberiste» e «libero-scambiste» che diresse sino al 1926. Nel 1906 prese la libera docenza in economia politica e insegnò in varie università. Faticò non poco, lui borghese, a mettersi in vista nel mondo liberale bolognese dominato dalle grandi casate nobiliari.
Nel 1920, durante la lunga agitazione agraria, che si concluse con il concordato Paglia-Calda, sostenne apertamente la posizione agraria e con l'inizio del fascismo favorì il nuovo corso politico. Su “II Progresso”, il quotidiano ufficiale degli agrari bolognesi, da lui diretto dall'11 dicembre 1921 sino al 25 marzo 1922, quando cessò le pubblicazioni, e sul suo periodico, si fece sostenitore della politica fascista. Fu uno dei promotori del congresso nazionale costitutivo del PLI che si tenne a Bologna dall'8 al 10 ottobre 1922.
Eletto segretario nazionale del partito, sostenne la necessità della fusione tra fascisti e liberali. Il 6 aprile 1924 fu eletto deputato nella lista fascista del Veneto. Contrariamente a quanto si legge in alcune sue biografie, non era stato eletto nel 1921. Lasciata la segreteria del PLI, dopo l'elezione alla Camera, non mutò linea politica neppure dopo il delitto Matteotti e scrisse sul suo giornale che «l'on. Mussolini ha sentito anche in questa tragedia l'anima del paese essere con lui...». Alla fine del 1924, quando Mussolini accentuò la politica di violenza nel paese e imboccò la strada che avrebbe portato alla dittatura, auspicò che il capo del governo ritrovasse «se stesso, quegli che suscitò il consenso e l'entusiasmo non di una parte, ma della nazione».
All'inizio del 1925 - dopo il discorso di Mussolini del 3 gennaio - scrisse che «chi ha salutato il fascismo con fervide speranze, è oggi dolorosamente colpito». Passò quindi all'opposizione e fu dichiarato decaduto da deputato il 9 novembre 1926, anche se non aveva partecipato all'Aventino.
Durante il ventennio fascista visse appartato, anche se, alla vigilia della guerra collaborò a “il Resto del Carlino” e a “II Popolo d'Italia”, sia pure per la trattazione di temi economici.

Il 26 luglio 1943, quando cadde la dittatura, fu chiamato dal proprietario Dino Grandi alla direzione de “il Resto del Carlino”. I due erano vecchi amici e, a suo tempo, Grandi aveva collaborato al “II Progresso”. Il suo compito era duplice: difendere gli interessi personali di Grandi - fuggito all'estero, per sottrarsi alle rappresaglie fasciste - e sostenere la linea politica del nuovo governo Badoglio. Per questo, rifiutò sempre la collaborazione dei partiti antifascisti bolognesi, con i quali si scontrò ripetute volte. L'orientamento moderatamente antifascista del giornale non incontrò il favore della censura, la quale intervenne spesso per ridurre o cancellare interi articoli.
Il 9 settembre 1943, il giornale uscì con una breve nota di condanna della guerra voluta da «una dittatura incontrollata, ebbra di falsa potenza, di basse ambizioni e di lividi rancori personali». Per non essere catturato dai fascisti, fuggì nelle Marche dove partecipò alla Resistenza, unitamente ai figli Piero e Luigi, il quale restò ucciso. Fu processato in contumacia e condannato a 30 anni di reclusione. Dopo la liberazione fece parte della Consulta per il PLI. Testimonianza in RB2. Ha pubblicato: Il Partito liberale italiano, Milano 1958; Travaglio per la Libertà, 1943-1947. [O]

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