Salta al contenuto principale Skip to footer content

Giovanni (Gianni) Rossi, vice comandante della Stella Rossa

Schede

Al tempo del grande massacro ero vice comandante della "Stella Rossa". Mio fratello Gastone, poi decorato di Medaglia d'oro al valore alla memoria, era già caduto mesi prima.
Nel settembre 1944 la situazione si era fatta piuttosto pesante: gli alleati venivano avanti ogni giorno di più, il brontolio delle artiglierie diventava sempre più distinto, poi i colpi cominciarono ad arrivare anche sul terreno da noi controllato.
I nazisti in ritirata ci premevano addosso, volevano la nostra zona per organizzare la loro ultima difesa alle porte di Bologna. Tutti i giorni andavamo ad attaccare i loro reparti in ritirata sulle strade delle due vallate del Reno e del Setta, sulla nazionale Porrettana e sulla provinciale che scende dalla Toscana per Castiglione dei Pepoli.
Allora eravamo circa in 600-700, armati più o meno, in modo scombinato, come è solito per truppe di guerriglia, per lo più armi leggere con 2 mitragliatori in tutto. Come sempre, le munizioni scarseggiavano e dovevano essere adoperate con avarizia.
Gli ultimi dieci giorni del mese, i nostri attacchi ai nazifascisti in ritirata s'intensificarono ancor più e s'infittirono anche le loro puntate contro di noi. In certo senso, erano loro la nostra sussistenza e la nostra santabarbara, a loro catturavamo armi, munizioni, vestiario e scarpe, questi ultimi necessarissimi, se si pensa che eravamo ancora con gli abiti estivi mentre già i primi freddi s'erano fatti intollerabili in montagna, specie la notte.
Si è detto che da più parti ci furono allora avvisi e segni di un rastrellamento nazifascista: a parte il fatto ben risaputo da chi è pratico di guerriglia, che sempre, si può dire quotidianamente, tali voci sorgono e circolano e se si facesse caso ad esse lo stato di allarme sarebbe continuo, e che ben difficile è la cernita fra la notizia reale e l'allarmismo frutto di fantasie eccitate, è da dire che era anche più consistente ed evidente l'opinione di una vicinissima definitiva ritirata dei nazifascisti, e ciò per il quotidiano transito sulle strade delle vallate sia perché noi, dalle nostre postazioni, verso la fine di settembre, scorgevamo chiaramente col binocolo le truppe alleate al di là del Setta, non più di un km e mezzo da noi. Era importante, anche per parere del Lupo, conservare la zona per favorire l'avanzata degli alleati. Era quindi più facile prestare fede alle voci e dar credito alla speranza di una vicinissima e quanto mai prossima liberazione e conseguente vittoria dopo tanti guai passati.
Una difesa organica era comunque inattuabile, per la vastità del territorio, l'esiguità delle nostre forze in rapporto ad esso ed ai nazifascisti, il tipo del nostro armamento e la scarsità delle nostre munizioni. Insistevamo con accanimento nel nostro compito; dare addosso con azioni d'attacco e di disturbo ai nazifascisti in ritirata, tenendo le varie formazioni partigiane sparse fra le case della zona, costituite da tanti piccoli capisaldi, o meglio sedi abituali da dove le formazioni partivano per i loro attacchi ai nazifascisti e dove rientravano a missione ultimata.
La notte precedente la strage, il Lupo, io ed altri dieci partigiani, dormimmo a Cadotto, parte nella casa, parte nel fienile, e più precisamente io, Lupo e due partigiani in casa, gli altri nella stalla e nel fienile. C'eravamo protetti col solito servizio di guardia, una sentinella a circa 150 m. dalla casa, in grado di dar l'allarme con sufficiente anticipo.
Causa la pioggia, la sentinella s'era rifugiata sotto il voltone del fienile, dove stanno i carri agricoli, e si accorse dei nazifascisti che avanzavano tra la nebbia, quando ormai gli erano addosso, a pochi passi, saltando fuori dalla siepe di fronte all'aia.
Fummo destati di soprassalto dalle raffiche contro la casa ed il fienile. La nostra reazione fu immediata e violentissima, come il loro attacco.
Il Lupo, al solito, si batteva con estremo vigore: ce ne sarebbero voluti mille come lui, in quell'occasione e sempre. Il fienile prese fuoco: ci buttammo fuori di Cadotto attraverso le porte e le finestre, sempre combattendo.
Fui ferito da un colpo che mi passò il braccio sinistro da parte a parte.
Continuammo a batterci ed una seconda pallottola mi si conficcò nel braccio destro e lì rimase e c'è ancora oggi.

Renato Giorgi, "Marzabotto parla", Milano-Roma, Venezia, Marsilio editori 1991
[MP]>
Note
2