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Gilberto Fabbri

Schede

La mattina del 29/9/1944 (…) decisi di rifugiarmi a Caprara. Andai in un ricovero e trovai circa 50 persone, composte da donne, ragazzi e bambini. Verso le ore 14,30-15 dello stesso giorno, tre tedeschi entrarono nel ricovero; indossavano abiti mimetizzati e i loro elmetti erano adornati di foglie. Essi ci ordinarono di lasciare il ricovero e ci chiusero nella cucina della casa chiamata Caprara. Essi chiusero le porte ed aprirono soltanto la finestra della cucina e immediatamente dopo gettarono nella cucina 4 bombe a mano tedesche ed una grande di colore rosso. Ci fu una forte esplosione e molto fumo. Immediatamente sentii un grande dolore alle gambe, ma non di meno saltai fuori dalla finestra. Vidi tre tedeschi entrare dalla porta della casa e mi rifugiai in un cespuglio a 3-4 metri dalla finestra. Dopo poco, vidi due donne scappare attraverso un campo vicino e sentii dei colpi che credetti che fossero sparati dai tedeschi accanto alla porta. Vidi le donne cadere a terra. Dopo che ero sotto il cespuglio da un quarto d’ora, sentii parecchi colpi seguiti da grida di donne: dopo ci fu silenzio. Rimasi nascosto sotto il cespuglio l’intera notte del 29/9/1944. Nella strage da me descritta a salvarci fummo due o tre persone; tra noi non vi erano partigiani ed eravamo tutti inermi.

Annamaria Cinti, "La strage di Marzabotto nel processo Reder", Tesi di laurea, Università degli Studi di Urbino, 1970-71
[SM]

Vi trovai già rifugiate una cinquantina di persone, tutte donne, ragazze e bambini. Passammo parecchie ore di paurosa attesa; il terrore ci toglieva anche la parola, molte donne piangevano e singhiozzavano buttate in terra, con i figli stretti tra le braccia.
Alle quindici, in noi quasi s’era fatto un po’ di speranza che non ci avrebbero scoperto, e qualche timida parola si sentiva mormorare sotto voce, quando arrivarono tre nazisti, mascherati da teli mimetici e con gli elmetti ricoperti di foglie. Ci ingiunsero di uscire dal ricovero e ci stiparono tutti nella cucina della casa di Caprara, di cui sbarrarono le porte lasciando aperta solo una finestra, attraverso la quale, subito dopo, scagliarono quattro bombe a mano di quelle col manico, e una granata di colore rosso. L’esplosione fu tremenda e coprì il grande urlo di tutti, poi un fumo denso si stese sui cadaveri dilaniati. Un acuto dolore mi tormentava alle gambe, ma riuscii egualmente a saltare dalla finestra e a nascondermi in mezzo a un cespuglio, distante tre o quattro metri.
Vidi tre nazisti aprire la porta della casa e piazzare una mitraglia. Volsi il capo inorridito, e dall’altra parte mi apparvero due donne che scappavano affannosamente attraverso il campo. Sentii degli spari e le due donne caddero una a breve distanza dall’altra.
Dopo circa un quarto d’ora, sempre rintanato nel cespuglio, vicinissimi a me furono sparati molti colpi e raffiche che si confusero con le urla strazianti delle donne e dei bambini ancora vivi nella cucina. Poi fu il silenzio.

Renato Giorgi, "Marzabotto parla", Milano-Roma, Venezia, Marsilio editori 1991
[MP]
Note
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