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Giovanni Remo Fornasini

23 Febbraio 1915 - 13 ottobre 1944

Scheda

Giovanni Remo Fornasini, da Angelo detto Anselmo e Maria Guccini; nato il 23 febbraio 1915 a Pianaccio (Lizzano in Belvedere).
Nel 1924 il padre riuscì a mutare occupazione, trasferendo di conseguenza la residenza della famiglia: da carbonaro autonomo - reso inabile dai gas tossici assorbiti in guerra - divenne procaccia postale nell'ufficio di Porretta Terme.
Qui, anche la madre si occupò come bagnina nello stabilimento termale.
Giovanni frequentò, senza concluderlo, il corso di avviamento commerciale nell'istituto Albergati. Maturata la propria vocazione seguendo la religiosità dei genitori, dopo avere fatto nei mesi estivi il lift al Grand Hotel, nell'ottobre 1931 entrò nel seminario delle Capanne. Fu ammesso a frequentare la 2a ginnasiale. Passò, poi, nel 1932, nel nuovo seminario diocesano di Bologna e, nel 1935, nel seminario regionale. Durante gli anni del corso teologico ebbe la possibilità di fare molteplici esperienze e di conoscere i nuovi fermenti della realtà cattolica bolognese. Venne inviato come collaboratore catechista di don Francesco Magnico agli Angeli Custodi, la parrocchia eretta nel 1931 a Casaralta (Bologna). Contribuì, con Alessandro Barozzi, a costituirvi l'azione cattolica giovanile. Durante le vacanze estive fece vita comune con i giovani dell'oratorio di Porretta, promuovendo iniziative di formazione e di svago. Ordinato diacono il 7 giugno 1941 venne inviato per i fine settimana in aiuto al parroco di Sperticano (Marzabotto), don Giovanni Roda.
In prossimità dell'ordinazione sacerdotale, il 28 giugno 1942, fece parte del sodalizio, interno al seminario, della "società degli illusi", i cui membri "seguaci di Colui che il mondo cieco ha chiamato il più grande illuso della storia, Gesù Cristo" si proponevano di "essere lievito che agisce nascostamente nella massa e per la massa", andando così "contro corrente". Parroco di "Stanganaro" - come ironicamente si definì - con il proposito di farsi "apostolo tra i poveri, i sofferenti, tra i giovani, nella preghiera, azione e sacrificio", ritenendosi "scelto monello tra i monelli", con entusiasmo accettò la destinazione, scontata, di vicario coadiutore dell'arciprete di Sperticano. Alla morte di questi venne nominato, il 20 luglio 1942, economo spirituale e quindi, il 21 agosto 1942, parroco di Sperticano.
Prese possesso della parrocchia il 27 settembre 1942. "Uomo d'azione", trasformò la canonica "in un cantiere armonioso, in un'officina della carità: scuola per ragazzi, base di soccorso per ogni evenienza, arca di Noè per tutti".

Dopo l'8 settembre 1943, quando venne portato "in spalla dalla piazza all'osteria a fare una gran bevuta tutti insieme", divenne la guida di tutta l'area di Monte Sole, ove in quei mesi si raccolsero molte famiglie di sfollati. "Fra sacrestia e rifugi di fortuna" si costituì "la prima formazione partigiana".
Sua caratteristica principale fu l'ubiquità. Rimpiazzò i parroci di Montasico e di Vedegheto. Accorse, tra i primi, a portare soccorso dopo il bombardamento di Lama di Reno (27 novembre 1943). Fraternamente unito ai parroci della zona, comprendente i vicariati di Grizzana e Marzabotto, i quali tutti "rimasero al loro posto", venne, di volta in volta, ritenuto, durante il 1944, "quel povero cireneo di santa Romana Chiesa", "facchino", "soccorritore", "pretino di Sperticano che si prodiga per tante cose spirituali e politiche e fa meraviglie", "buon Sperticano prete omnia".
Come "pastore" e "servo di tutti" fu per la "Stella rossa" un "punto sicuro di riferimento". Affermò: "io sono parroco di tutti, nessuno escluso. Anche i partigiani sono dei battezzati, come i miei parrocchiani; se loro non scendono, io salgo". Fece Pasqua "per loro e con loro". "La sua parola franca era ascoltata dal Lupo; e non esitò ad esprimere il dissenso da quelle forme di lotta fratricida che innescavano una spirale di odio e di vendette. Il comandante della Brigata Rossa non era insensibile ai suoi richiami; egli stesso aveva deplorato i metodi crudeli e spietati di Sugano". Riuscì a salvare i rastrellati del 22 giugno. Celebrò il funerale delle cinque vittime di Pian di Venola (24 giugno), nonostante il divieto dei nazifascisti. Intervenne nei drammatici episodi di Ca' Faggiolo e di Boschi. Fece liberare gli ostaggi, presi per lo scoppio del treno nella galleria Misa (30 luglio). Intervenne, ancora, in agosto alle Verselane, a Pian di Venola, offrendosi al posto delle vittime. In settembre, insieme con don Gabriele Bonani, aiutò tre prigionieri inglesi a passare il fronte.
Nei giorni dello sterminio venne arrestato a Pioppe di Salvaro. Seppellì i morti di Ca' di Biguzzi (5 settembre). Dopo avere evitato la distruzione di Sperticano, fu costretto ad accogliere le SS in canonica (8 settembre).
Il 12 settembre si oppose a che le SS abusassero di due giovani donne e il giorno seguente, recatosi a San Martino per seppellire i morti, accusò della strage il comandante tedesco. Nello stesso giorno venne ucciso colpito al petto.
La sua morte "è immersa nel mistero". La versione più attendibile è quella di don Amedeo Girotti in data 18 maggio 1945: "vittima della doppiezza e ferocia della SS tedesca, la quale dopo aver apposto il visto sul permesso al povero prete di seppellire i morti lassù a San Martino, telefonava poi perché fosse ammazzato. Spero che la giustizia divina abbia raggiunto il cinico e falso SS che mangiava e beveva in canonica e ordinava la morte dell'innocente e zelante parroco; e a lui risplenda ormai lo splendore dell'eterna gloria ed un premio tanto grande quanto lo sa dare il giusto Giudice".
Il suo corpo, ritrovato il 22 aprile 1945, venne sepolto definitivamente il 13 ottobre 1945 in mezzo al suo popolo. Una scritta lo ricorda quale "splendente testimonianza nei secoli che la razza degli apostoli di Cristo non è ancora spenta".
Venne dichiarato partigiano dal 10 novembre 1943 alla morte.
Il 19 maggio 1950 venne conferita all'"angelo di Marzabotto" la medaglia d'oro al valor militare.
Al suo nome sono intestate la piazza di Pianaccio, una via di Bologna,Marzabotto e altre strade in molti comuni della provincia di Bologna.
Il 13 settembre 1976 è stata chiesta "l'apertura del processo canonico per la dichiarazione dell'eroicità delle virtù e del martirio" quale testimone della fede. [Alessandro Albertazzi]

"La neve aveva imbiancato le montagne e i boschi dell’Appennino in quel freddo inverno del 1915. Nella mattina del 23 febbraio, Giovanni venne alla luce a Pianaccio di Lizzano in Belvedere e nello stesso giorno fu battezzato. Il papà Angelo partì poco dopo per il fronte e la giovane mamma Maria restò a casa con i due bambini, Luigi di tre anni e il piccolissimo Giovanni. Per poter sfamare i due piccoli, Maria acquistò una capretta, che divenne anche inseparabile compagna di giochi dei bambini. Il papà rientrò presto, ammalato, e dopo un po’ di convalescenza riprese il duro lavoro di carbonaio, mentre i due fratelli iniziavano a frequentare la scuola a Pianaccio. Poi il babbo venne assunto come postino a Porretta e così tutta la famiglia si trasferì nei pressi dello stabilimento termale. Giovanni, oltre alla scuola, aiutava con il fratello il papà a scaricare i pacchi della posta e, quando era libero dallo studio, amava andare in chiesa a pregare. Frequentava con una certa fatica il corso di avviamento professionale e, in parrocchia, aiutava il parroco come catechista, chierico e cantore.
Nell’ottobre 1931 rispose con entusiasmo alla voce del Signore ed entrò nel seminario di Borgo Capanne. Ebbe la gioia di poter partecipare ad un pellegrinaggio Lourdes con Unitalsi. Il 7 giugno 1941 fu ordinato diacono e incominciò ad esercitare il suo ministero a Sperticano. La consacrazione sacerdotale avvenne il 28 giugno 1942 e il giorno seguente, solennità dei Santi Pietro e Paolo, cantò la sua prima messa nella chiesa di Pianaccio, circondato da parenti e amici. Restò come vice parroco a Sperticano e assistette il vecchio parroco ormai morente. Alla fine di settembre assunse in pieno il possesso della parrocchia. Furono mesi di grande fervore. Con la sua bicicletta percorreva, instancabile, chilometri e chilometri per visitare e confortare i suoi parrocchiani e anche i confratelli malati e bisognosi. Quando aveva un poco di tempo si rifugiava in chiesa a pregare, e passava ore inginocchiato davanti all’altare. In canonica fu raggiunto dalla mamma Maria con la piccola nipotina Caterina. Tra le tante iniziative che don Giovanni riuscì a portare a termine, ci fu il completamento della scuola di base, con quarta e quinta facoltative, e una scuola media come quella che lui stesso aveva frequentato a Porretta.
Dopo i bombardamenti su Bologna del luglio 1943, la canonica accolse molti sfollati; e vicino alla chiesa fu anche scavato un rifugio. Il 27 novembre 1943 ci fu il rovinoso bombardamento su Lama di Reno e don Giovanni prestò il suo aiuto per soccorrere i molti feriti. La guerra continua a mietere le sue vittime e, verso la fine del maggio 1944, il clima si fa rovente in tutta la zona di Mazabotto. Hanno inizio le rappresaglie da parte tedesca. Don Giovanni è sempre in prima linea per soccorrere e aiutare i tanti che hanno bisogno; si espone al pericolo per andare a seppellire i morti. Il 30 luglio avviene il grave episodio dello scoppio del treno fermo sotto la galleria Misa. Fu don Giovanni che, consegnando al comandante tedesco la confessione fatta davanti a testimoni, prima di morire, dal responsabile involontario dell’incidente, che ne era rimasto vittima, riuscì a evitare una rappresaglia da parte dei tedeschi, i quali ritenevano l’accaduto opera dei partigiani.
Ma la sua vita era sempre più in pericolo. Con mano forte l’8 settembre scrive il suo testamento, nel quale, tra le altre cose, chiede al Signore la grazie di “perseverare nel bene fino al termine della vita”. Non può certo prevedere in quel momento che solo trentacinque giorni lo separano dall’incontro con il Signore. Intanto, alle varie rappresaglie si sono aggiunti dei veri e propri massacri di donne, vecchi e bambini, le case vengono bruciate, tutto è raso al suolo. Sul sagrato della chiesa i tedeschi avevano posto le mitragliatrici e recintato tutto con il filo spinato. In una botola sotto la scuola si erano nascosti parecchi uomini, tra essi anche Luigi, il fratello di don Giovanni.
Ai primi di ottobre nella canonica si installa il comando tedesco di un reparto delle SS. Le donne di casa devono servire i soldati, preparare loro i pasti. Don Giovanni cerca di mantenere la celebrazione della messa e continua a prodigarsi per tutti. Ed ecco arrivare il giorno del compleanno del comandante: le donne devono preparare molti dolci per il festeggiato, il quale, con arroganza, pretende che siano presenti alla cena della sera due ragazze della parrocchia. Don Giovanni, prevedendo che possa succedere loro qualche cosa di male, le accompagna e rimane a sorvegliarle, seduto in disparte, facendo accendere di ira il comandante, il quale, dopo aver discusso con lui a lungo, gli fissa un appuntamento per il mattino seguente.
Al mattino presto, infatti, il comandante si presenta come al solito per la colazione e chiede del “pastore”. Don Giovanni si alza, scende dalla sua camera, prende il suo breviario, l’aspersorio con il rituale, alcune ostie ed esce, incurante delle lacrime della mamma che cerca di dissuaderlo dall’andare. Si incammina attraversando il Borgo Fontana e si dirige verso San Martino, recitando il rosario.
Quello che successe dopo non lo sappiamo: don Giovanni non fece più ritorno. Il comandante rientrò e si sedette per pranzare, poi uscì di nuovo e quando rincasò alla sera, visto che don Giovanni non era ancora rientrato, la cognata, moglie del fratello Luigi, chiese al capitano: “Il Pastore?”. La risposta del comandante fu come una frecciata al cuore: “Pastore, kaputt!”.
Nella sala da pranzo regnò un grande silenzio. Dopo avere riordinato, le donne si raccolsero vicino alla mamma di don Giovanni. La piccola Caterina, vedendo il dolore della nonna, in un moto di rabbia ruppe la testa di porcellana delle due bellissime bambole, che lo zio le aveva regalato, contro i pomelli del letto matrimoniale sul quale era seduta. Il giorno dopo, i familiari cercarono presso il comando tedesco di avere delle informazioni, ma fu loro impedito di salire a San Martino.
Il corpo di don Giovanni fu individuato il 14 ottobre da alcuni testimoni vicino al cimitero di San Martino, colpito da un colpo di proiettile al petto. Solo il 21 aprile dell’anno successivo il fratello Luigi riuscì a salire sul monte e ritrovare ancora insepolto il corpo del fratello. Nelle tasche dell’abito talare ritrovò la piccola agenda del 1944, il dizionarietto italiano-tedesco, l’aspersorio (ora custodito nell’oratorio di Santa Maria Assunta di Casaglia di Monte Sole) e la catenina d’oro con la medaglia di San Cristoforo che lui stesso gli aveva regalato. Ritornò con alcuni amici qualche giorno dopo: con assi di fortuna costruirono una bara e, dopo aver trasportato la salma a Sperticano, la seppellirono nel piccolo cimitero accanto alla chiesa. Nel primo anniversario della morte il corpo fu traslato in chiesa, dove ancora riposa.
Don Giovanni è stato decorato con la medaglia d’oro al valore militare." [NN]

E' sepolto nel Monumento Ossario ai Caduti Partigiani della Certosa di Bologna ed è ricordato nel Sacrario di Piazza Nettuno.