Festa della Porchetta

Festa della Porchetta

1796

Scheda

La Festa della Porchetta si tenne a Bologna il 24 agosto di ogni anno per più di cinque secoli, fino al 1796, arrivo delle truppe francesi. Sulla sua origine si hanno due versioni: la prima riconduce all'entrata in Bologna di Re Enzo (figlio dell'imperatore Federico II, fatto prigioniero a Fossalta) proprio in quella data; la seconda fa riferimento alla presa della rocca di Faenza nel 1281 (caduta a seguito del tradimento di Tibaldello de Zambrasi, cui era stata rubata una porcellina). In ogni caso, il 24 agosto (San Bartolomeo) ha rappresentato per la città il culmine di una decina di giorni di festa che iniziavano alla vigilia di ferragosto. In piazza Maggiore venivano allestiti apparati contingenti (macchine sceniche grandiose), si effettuavano gare di cavalli, spettacoli teatrali e prodezze di giocolieri. Il nome deriva dal fatto che la giornata veniva conclusa con il lancio di una maialina arrosto offerta dal Legato al popolo. Come ricorda Giulio Cesare Croce, i Bolognesi si accalcavano letteralmente per cercare di portare a casa cibo o monete, che ugualmente venivano gettati dal balcone del Palazzo Comunale. Tra quelli che presenziavano alle principali cerimonie ufficiali bolognesi avevano un ruolo assai significativo i rappresentanti delle Arti, che sfilavano nei loro tre ordini: i signiferi, i donzelli e coloro che portavano il gonfalone. Al lungo corteo partecipavano poi i dottori, i senatori, i rappresentanti del clero ecc.. Nel momento del lancio di cibarie presenziavano autorità e dame appostati sulle terrazze. In piazza era spesso presente l'albero della cuccagna, un palo su cui ci si doveva arrampicare per raggiungere il succulento premio.

Nell'edizione dell'anno 1657 il teatro allestito era a forma di nave, con botteghe lungo tutte le murate. All'interno giravano carrozze e pedoni. In cima all'albero di maestra sventolava il vessillo del Comune e sotto lo stendardo con le insegne di Papa Alessandro VII tra quelle del Legato Lomellini e del Cardinale Chigi; sull'albero di trinchetto era invece riconoscibile lo stemma del Gonfaloniere in carica (famiglia Angelelli). Sul ponte di poppa comparivano gli stemmi di altre famiglie senatorie bolognesi. Nel 1660 il teatro ligneo era costituito da un porticato rustico che terminava con due torri cilindriche. Sulle sommità erano poste le bandiere con gli emblemi del legato cardinale Girolamo Farnese. Lo scenografo era Giulio Troili. Il 24 agosto 1796 si svolse per l'ultima volta la festa. Un contingente militare francese entrò in Piazza Maggiore a tamburo battente, assieme a un corpo di truppa Urbana per presidiare le strade che sboccano sulla piazza e le porte della città. Sulla ringhiera degli Anziani presero posto il Gonfaloniere “in abito di collare” e buona parte dello Stato Maggiore francese. La festa cominciò con il lancio di tre pavoni, poi furono gettati “alla plebaglia” il pollame e quattro castrati. E' la volta degli Anziani, che lanciarono il denaro e quindi la borsa. Un tempo questa mossa era riservata al Legato. Il cancelliere della piazza difende “coi birri” il fortunato che ha preso la borsa, affinché non venga “massacrato dall'altra canaglia”. Infine fu gettata la porchetta e la festa finì tra suoni di trombe e timballi. Il resto della giornata si svolse in modo sobrio: il rinfresco, senza dame, fu ridotto e non si tenne il solito veglione nel salone degli Anziani.

Il seguente testo è tratto dalla rivista 'Il Comune di Bologna - rassegna mensile di cronaca amministrativa e di statistica’, anno XII, N.5, Maggio 1926.


Con ragione si scrisse che la festa della Porchetta era considerata dai Bolognesi la festa della città e, con uguale ragione venne ritenuta festa d'origine e di carattere prettamente bolognese. Eppure, leggendo le antiche relazioni di questa Festa, che tuttora si conservano(1), ben strana impressione può ricever l'animo nostro all'evocazione dei fasti di quei giorni in cui si vide la vecchia piazza pubblica di Bologna trasformarsi miracolosamente, come in un sogno, nel porto di Napoli entro cui vascelli nemici si guereggiavano tra loro; in tenebrosa boscaglia con belve erranti la di cui insidia veniva sventata da audaci cacciatori; in vulcano eruttante leccornie e doni tali e in tale quantità da sbalordire ed entusiasmare tutto un popolo: in cui nella Piazza si rivide l'incendio di Troia, il ratto delle Sabine e si rivisse l'assedio di Alba, la conquista e la rovina di Cartagine; laddove il progresso scientifico e lo sviluppo industriale hanno dato posto a vetture elettriche e danno transito alle mille macchine rumoreggianti che contrastano con l'austerità dei palazzi superstiti di una epoca di gaudio e di spensieratezza per cui andò famosa Bologna. Oltre il pregio del suo carattere bolognese, il motivo che l'istituzione della festa della Porchetta ebbe una vita tanto lunga, basta a farla diventare argomento di studio per gli storici e di curiosità per il pubblico. Occupiamoci dunque un poco di essa.

Il 24 di agosto, giorno di S. Bartolomeo, era quello designato per la celebrazione della festa della Porchetta. In questo giorno gli Anziani si dividevano in quattro "assunterie" per soprintendere alla piazza, ai rinfreschi, alla galleria e ai pollami. Primo loro atto della solenne giornata era quello di mandare in regalo al Legato una giovane porchetta ripiena e cotta allo spiedo. Nel pomeriggio facevano chiudere tutte le porte della Città, le quali soltanto nell'ora stabilita per l'inizio della festa, alle 22 circa, venivano riaperte. In quell'ora, gli Anziani col Gonfaloniere di Giustizia, si recavano dal Legato per condurlo al balcone posto nella facciata del Palazzo Municipale, onde assistere al trattenimento. La prima parte della Festa consisteva a volte in una corsa al palio o in una giostra, a volte nella rappresentazione di una favola musicata o di un'azione mimica, e, in certi casi, in giuochi di funambolismo o del genere. Terminato questo primo spettacolo, il Legato col Gonfaloniere e gli altri cittadini Maestrati, ai quali si univano i forestieri di passaggio e quelli venuti espressamente per assistere alla festa, dalla ringhiera del loro balcone gettavano al popolo pigiato nella piazza, ogni specie di volatili, a cui seguiva la tradizionale porchetta arrostita, accompagnata a volte con una caldaia di brodo tiepido. In ultimo, si procedeva al gettito di larghe manate di denari e della elegante borsa in cui questi erano contenuti. Nel frattempo, i musici del Reggimento cittadino allietavano il suggestivo spettacolo coi suoni dei loro istrumenti, fra gli applausi e le grida assordanti della plebe. Sotto il balcone del pubblico Palazzo era costruito uno steccato dove pigiavasi la folla in attesa di fare bottino. I soldati mantenevano l'ordine, correndo spesso in difesa di coloro ai quali venivano contestati gli oggetti di regalo, proteggendoli dalle sopraffazioni altrui. Finito il divertimento pubblico, il Legato e tutte le autorità, dal balcone si portavano alla galleria dove si trovava raccolta la nobiltà cittadina. Veniva allora servito un sontuoso rinfresco e offerti alle dame doni di ogni qualità, fra i quali vasi di fiori fatti con zucchero. Spesso un ballo chiudeva definitivamente la Festa. Dai primi anni della istituzione della festa della Porchetta, il palio veniva corso lungo la strada Maggiore che dal ponte del Savena si portava fino al trivio di porta Ravegnana. Nell'anno 1497, con l'apertura della strada Imperiale, ora via Ugo Bassi, avendosi una lunga linea retta senza svolte, lo si cominciò a correre dalla porta di strada Maggiore sino a quella di San Felice. In seguito, risultando troppo lungo, questo percorso venne abbreviato.

Le spese per la Festa, nel secolo XIII erano sostenute dal Comune. Furono poscia caricate ad alcuni cittadini possessori di case sul ponte d'Idice fino al 1554, anno in cui il Vicelegato Girolamo Sauli assegnò agli Anziani un credito che il Rettore dell'ospedale del ponte d'Idice aveva sul monte Giulio, in compenso dell'affitto di un mulino. D'allora in poi furono le rendite di questo credito che servirono a fare le spese. Se il giorno di san Bartolomeo cadeva in venerdì o in sabato, la Festa veniva celebrata nella domenica seguente. Alle volte la celebrazione venne addirittura impedita da cause di vario genere. Nell'anno 1644, ad esempio, non ebbe luogo essendo tempo di Sede vacante per la morte di papa Urbano VIII; nell'anno 1676, quando già era stato costruito il teatro della Fiera, ogni cosa venne sospesa essendo sopraggiunto la notizia della morte di papa Clemente X. Per tramandarne ai posteri imperitura e documentata memoria, spesso gli Anziani facevano riprodurre da un miniatore le feste della Porchetta in una delle pagine dei loro libri, chiamati le "Insignia” i quali, come giustamente afferma il Dallari, rappresentano un monumento veramente insigne per lo studio dei costumi e della storia bolognese di quei secoli(2).

Sulla origine della festa detta della Porchetta, gli storici sono in disaccordo. Parecchi, tra cui il Frati e l'Albertazzi, la fanno risalire alla cacciata dei Lambertazzi di parte Ghibellina, avvenuta nell'anno 1281 per il tradimento di Tibaldello dei Zambrasi da Faenza. Costui, essendogli stato rubato un porco dai Lambertazzi, rifugiatisi in Faenza dopo la loro cacciata da Bologna avvenuta per opera del Podestà Stoldo Rossi, avrebbe finto d'essere diventato pazzo dal dispiacere avutone. Abituati i Ghibellini a tutte le stranezze e ad ogni rumore notturno, quali conseguenze della sua finzione, avrebbe poi fornito le chiavi di una delle porte di Faenza ai Guelfi di Bologna in modo di permettere a questi di penetrare nella città, condurne orribile strage dei Lambertazzi, e dei loro partigiani, e acquistare il dominio di Faenza. Fin qui la Storia la quale peraltro risulta veridica anche pel fatto che Dante pose all'Inferno Tibaldello con Gano di Magonza e altri traditori. Ma ora v'è la leggenda raccontata d'alcuni vecchi cronisti, fra cui il Vizani che scrisse come i Bolognesi "tornati a casa, fecero cittadino di Bologna Tibaldello con tutti i suoi parenti, et per memoria di questo fatto che seguì il giorno dedicato a S. Bartolomeo apostolo, ordinarono che ogni anno in perpetuo si gittasse una porchetta arrostita dalla renghiera del palazzo di piazza alla vil plebe che perciò vi concorre, et si facesse un corso di cavalli per la strada maggiore come si fa tuttavia nel giorno di S. Bartolomeo, et volsero che fosse dato in premio al vincitore un cavallo perché tra le altre finte pazzie che soleva far Tibaldello, egli fece radere un suo cavallo vecchio, magro e brutto, lasciandogli solamente alcune girelle di peli per la testa et per lo corpo, onde era quella bestia così strana da vedere che quando passava per la strada i fanciulli et i bottegai sbattevano le tavole et le panche et facevano grandissimo strepito pigliandosi piacere di farlo correre a torno tutto il giorno pieno di spavento”(3). Altri invece, fra cui il Savioli, sono propensi a credere che la Festa avesse tratte le sue origini dall'entrata del re Enzo prigioniero in Bologna, la quale, com'è noto, ebbe luogo ai 24 di agosto dell'anno 1249. E in appoggio a questa versione, trovossi registrato nell'anno 1254 come il massaio del Comune venisse accreditato della compra di una porchetta fatta nel giorno di s. Bartolomeo. Molte però sono le versioni che si hanno sulla misteriosa origine della festa, tra le quali molto interessante è quella di Ottaviano Rabasco da Marta, che in un manoscritto dell'anno 1603, riportato dal Dallari, racconta che "questa festa hebbe horigine da un pericolo corso in guerra da' Bolognesi, che da i porci in campagna havendo scoperto un aguato o imboscata de' suoi nemici, ne vennero liberati, onde che per legato d'una donna al pubblico si cominciò questa festa della Porcellina da farsi d'anno in anno in memoria di questo animale, che fu cagione di liberar Bologna dal pericolo come fecero l'oche al Campidoglio di Roma. Infine, come documento di curiosità storica, ecco quello che Cesare Croce, il popolarissimo rimatore bolognese del seicento, scrisse in proposito: "Questo giuoco di trar dalla ringhiera sulla piazza una porchetta arrostita, è una festa che si suol fare ogni anno in Bologna per memoria di una gran battaglia che già ne' tempi antichi con grandissima mortalità di gente dell'una et l'altra parte fecero tra loro i Guelfi e i Ghibellini, i quali essendo avvezzi di venire spesso a contesa per occasione di haver portato il pennacchio dalla parte destra o dalla stanca et per haver tagliato il formaggio di mandritto o di rovescio e per altre tali et più leggieri occasioni si pensarono di havere allora havuto una importantissima cagione di combattere et degna che sempre se ne facesse memoria, poiché per una male arrostita porchetta, vennero a fare un gran flagello et hebbero campo di mostrare con quanto valore ciascuno di loro sapesse contrastare et difendere la sua ragione. Vi è anco chi dice che questa festa si faccia perché essendo già stata rubata una porchetta da una delle fattioni all'altra et fremendo perciò d'ira et di cruccio gli animi de' furibondi bravi del tempo antico, non fu mai possibile, con tutto che molta diligenza se ne facesse, di accordare quella differenza finché alle spese del Comune non si fece arrostire una grossa porchetta et darla alla discretione di quei valentuomini che con i pugni tra loro la divisero, e poi fecero d'accordo insieme la pace con gran contento di tutto il popolo, il quale perciò gode di vederne ogni anno fare allegrezza".

Il Croce inoltre cantò in ottava rima le disavventure di messer Tibaldello. Delle feste della Porchetta più famose, tramandate ai posteri attraverso le descrizioni di scrittori del tempo e di storici improvvisati, per formarsene una pallida idea gioverà sentirne riportare alcune. Nell'anno 1597, per la celebrazione della Festa, la piazza Maggiore rigurgitava quanto mai di pubblico, sebbene gli architetti avessero in via eccezionale fatto improvvisare lungo il muro del Palazzo pubblico e intorno la Piazza, parecchi palchi di legno su cui sedevano le gentildonne della Città, graziosamente vestite e riccamente ornate. Nel mezzo della piazza stava un vasto palco di legno, quadrato, dentro il quale aprivasi uno spazioso piano raffigurante una macchia di frasche, contornata da cespugli di erbe e circondata da un largo sentiero in cui entravasi per una salita. All'inizio dello spettacolo, ecco salire otto villani e quattro pastorelle carichi di rustiche vivande, scesi da un carro tirato da bovi e adorno di frondi, al suono di pive e ciaramelle. Imbucato il sentiero, si portano nel piano di mezzo, dove giunti, fingono, con gesti strani accompagnati dal suono degli istrumenti, grande meraviglia di trovarsi in quella località. Postisi a sedere con segni di contentezza, consumano la merenda. Poscia, si alzano e iniziano una danza bizzarra e ridicola, con l'accompagnamento melodico dei loro istrumenti musicali. Frattanto, da un' altra parte della piazza sbucano e avvicinansi, fra lo stridìo di rauchi corni e l'abbaiare dei cani, dodici cacciatori. Montati in mezzo al palco, mentre girano intorno al sentiero si accorgono come sulle quattro quercie, collocate per ogni angolo, stiano legati da sottilissimi fili, un'infinità di colombi. Saliti alcuni di loro sugli alberi, scrollano i rami e fanno cadere abbasso i colombi in modo che, non potendo volare lontano per avere le ali tarpate, questi cadono in mano dei cacciatori rimasti a terra. Festosamente, con grande strepito di risate e di grida, questi si strappano l'un l'altro le malcapitate bestiole, urtandosi e percuotendosi coi pugni, fino a quando non le hanno ridotte a pezzi. Sospeso il ballo, a questo rumore corrono i contadini che, riconoscendo i cacciatori per amici, li invitano allegramente a bere. Poco dopo, avendo i cani scoperto nella macchia lepri e conigli, tutti si dispongono alla caccia. Ed ecco che appena iniziata, oltre che di lepri e di conigli, la caccia arricchirsi inverosimilmente di volpi, smerghi, quaglie, pernici, fagiani e pavoni, che generosamente vengono gettati al popolo esultante. Sbuca infine una porchetta alla quale i cani sono subito addosso e che i cacciatori, pronti, uccidono con gli spiedi. Poscia, gloriandosene, si dispongono trionfalmente in corteo e, al suono delle pive, la portano in dono al Vicelegato e ai Magistrati che dalle loro ringhiere assistono alla festa. Dopo arrostita, la porchetta viene dagli Anziani fatta gettare alla plebe dalla quale viene con furia contesa. Volgendo l'ora della notte, compare d'un tratto nella piazza una barca spinta da persone nascoste nell'interno e accompagnata da uomini vestiti alla foggia dei Turchi, con timpani e tamburi, che la portano sul palco. Nello stesso momento, dalla cima del palazzo dei Notari discende rapido un serpente infocato che va a colpire un cespuglio del palco, appiccando fuoco ad una meravigliosa girandola che si accende da ogni parte propagando le fiamme ai quattro lati che a loro volta, sprigionano altri bellissimi fuochi d'artifizio. In ultimo, anche la nave prende fuoco, divampa, e al luccichìo fantastico di raggi infocati, di lampi, folgori e fiammelle di ogni tinta, accompagnate dal fragore di crepitanti tuoni, ha termine la festa. Nell'anno 1626 ebbe inizio l'uso di rappresentare favole musicate, con la rappresentazione di "Diana vendicatrice". Diana, stranamente vestita, rappresentò un grazioso poemetto sopra un carro tirato da un mastodontico drago.

Nell'anno 1668, sempre nella piazza Maggiore, venne rappresentato il porto di Napoli nello spazio compreso dalla torre di S. Vincenzo, dalla Lanterna e da Castel Nuovo, e tanto perfetta riuscì l'imitazione, da potersi considerare la più bella o, per lo meno, la meglio riuscita tra queste feste. Verso le ore 22, la torre più alta del finto Porto segnalò col fumo qualche novità e poco dopo, ponendo fuori un corbello, fece conoscere l'arrivo di alcune navi. Comparve subito nella piazza, al suono di trombe ed al rullio di tamburi, un vascello in completo assetto di combattimento, contenente parecchi soldati e marinai. A gonfie vele si avvicinò, e diede inizio allo spettacolo con l'ammainar della vela. Giunto in faccia al porto, salutò con quattro tiri di cannone la fortezza che colà ergevasi, presidiata da gran numero di soldati, e dalla quale venne ricambiato il saluto. Allora il vascello, con due tiri di bombarda, entrò nel porto dando fondo. Frattanto la Lanterna di nuovo segnalò, e comparve nella piazza un altro vascello in tutto uguale al primo. Avvicinatosi anch'esso al Porto, quale nemico non diede l'usuale saluto, tanto che la Fortezza cominciò a bersagliarlo, obbligandolo a portarsi sui bordi onde iniziare l'attacco al primo vascello. Dopo un' azione bizzarra a base d'innocui spari di cannone, i combattenti, gettando il ponte a mezzo vascello, vennero all'arma bianca, con ripetuti assalti. Riportò infine vittoria il primo vascello che trascinò l'altro in porto, saccheggiandolo dei volatili e dei vitelli che conteneva. Quel colossale bottino veniva poi man mano gettato al popolo. Nell'anno 1673 ebbe luogo la riproduzione della distruzione d'Alba. Uscito da un bellissimo padiglione Marco Orazio, capitano dei Romani, s'accampò coi suoi numerosi guerrieri a debita distanza dalla fortezza da espugnare, cominciando a batterla. Riuscì improvviso per gli Albani questo attacco del re Tullo contro la Patria loro, ma, accorsi ugualmente a difendere le minacciate mura, resistettero a lungo con valore. Però, avanzatisi i Romani, vennero in breve costretti ad uscire. S'azzuffarono allora col nemico assalitore, ma, dopo un fiero conflitto, dovettero cedere. Affratellatisi in ultimo questi due popoli, in segno giubilo loro e di pubblica gioia, ordinarono una corsa di di carrette e il solito gettito di regali alla plebe. Nell'anno 1681 venne rappresentata Pallade vendicata nell'incendio di Troia. L'azione era musicata. Nel mezzo della Piazza si ergeva, maestoso, il tempio di Pallade. All'ora stabilita, accompagnate da strepito assordante di tamburi e fragore di trombe, entrano nella piazza sette vergini, custodi del Tempio, con candide sopravvesti, il petto armato, coronate di frondi di ulivo, con stivaletti dorati, ognuna delle quali reca in mano un trofeo attribuito a Pallade: la scure di Vulcano con cui fu aperto il capo di Giove al parto della Dea del Sapere; l'asta formidabile con la quale Pallade fu maestra ai guerrieri; lo scudo con la testa di Medusa e un altro scudo coi due serpenti simboleggianti il coraggio del suo petto; la civetta per la penetrazione dei più occulti segreti della Natura e il gallo per la vigilanza della Sapienza; in ultimo, la figura del Palladio che lungamente era stata custodita nel Tempio, quale talismano, dai seguaci della Sapienza. Segue il carro del re Priamo intorno al quale altre donzelle s'intrecciano, danzando e cantando canzoni trionfali. Il re Priamo, nel carro tutto dorato, trainato da quattro destrieri riccamente bardati, siede assieme al sacerdote di Pallade, al perfido Sinone e ad altri principi. Il carro è anche scortato da dodici astieri nobilmente vestiti da guerrieri, coronati di gramigne, con aste lunghissime ornate al disotto con triplicate corone d'oro, di lauro e d'olivo, con le obsidionali e le nautiche, recanti alla cima le figure di tutti gli animali offerti in sacrificio a Pallade. Seguono inoltre numerose donzelle Troiane e giovani vestiti alla foggia asiatica. Girato in largo la piazza, il corteo si avvia alla porta della Rocca, situata dirimpetto al Tempio, dove giunto, ordina l'ingresso della vastissima macchina raffigurante il colossale cavallo. Il cavallo, coronato di fiori e di fronde, comincia ad essere introdotto nel Tempio fra il suono delle trombe, il rullar dei tamburi e le acclamazioni assordanti del popolo Troiano intercalate da alcune strofe terminanti in uno stesso ritornello: "Viva Pallade, Viva Troia, Viva Priamo, Viva, Viva!" Collocato il cavallo nel tempio della Dea alla quale dovevasi dedicare, re Priamo discende dal cocchio, sale con le vergini le scale del Tempio e, fermandosi a mezzo cammino, parla alla Dea. Con spavento egli si sente rispondere invece dall'oracolo col quale allora intavola un lungo dialogo, intramezzato di cori. Alla fine, volgendosi alle verginelle Troiane ammassate fra le colonne della mole imponente, così egli a loro favella: "Per cangiar gl'infausti auspici / Verginelle preparate / E gl'Altari e sacrifici / Che di vittime svenate / Sol gl'odoranti fumi / Soglion placar i Numi / Una pingue porcella arda primiera / Sveninsi arieti, e tori / Di Pallade a' gli onori, / E ciò che vola per l'aereo regno / D'irata deità plachi lo sdegno." Al che l'Oracolo ripete: "Sdegno" E riprende: "Intanto a' piaceri, a' solazzi, e contento Dame belle invitti Eroi. Nè si parli più fra noi Di mestitie e di spaventi, Sol di giubilo, e di gioia. Sol d'amore avampi Troia, Avampi Troia."

Profferito questo desiderio, i dignitari del Tempio salgono sulla sommità di questo onde procedere ai sacrifici, ma vedendosi dalla Dea sdegnati, mentre cominciano a levarsi i bagliori dell'incendio, gettano al popolo tutti gli animali e i doni preparati. Nell'anno 1684 si rappresentò con grande sfarzo l'assedio di Vienna. Nella piazza Maggiore s'improvvisò un teatro a somiglianza di una città ridotta a fortezza, la di cui struttura dei legnami era disposta in simmetria tale che l'attendamento dei Turchi assedianti serviva, essendo di locali compartito, per i bottegai e gli artefici della solita fiera della Festa. Un gran torrione in mezzo d'un baluardo ai cui lati ergevasi altre piccole torri, servivano di maggior difesa alla Porta da cui si doveva fingere l'entrata nella città. Su questo baluardo stazionava, quale presidio, uno stuolo di soldati Cristiani che custodivano le mura, le torri, le cannoniere e la porta. All'ora stabilita, dai padiglioni uscirono parecchie squadre di soldati Turchi che, regolarmente schierati, s' avanzarono presso il baluardo per espugnare la città. Accostatisi alle mura, ebbe subito inizio, fra il suonare delle trombe, il combattimento. I Cristiani respinsero vigorosamente quell'assalto e, in segno di esultanza per la sconfitta dei barbari, gettarono dalle torri, in grande quantità, ogni sorta di commestibili al popolo pigiato nella piazza. Nell'anno 1687 la Piazza presentava un selvaggio recinto di montuosi dirupi. Verso le ore 22 comparvero alcuni trombettieri a cavallo seguiti da otto cavalieri accompagnati dai servi e dai loro cacciatori, divisi in quattro squadre ognuna delle quali aveva una divisa propria. Succedeva un maestoso carro, tirato da quattro bianchi cavalli riccamente bardati, sopra al quale erano disposte in bell'ordine le armi per la caccia. Il carro era fiancheggiato da due capi-caccia con altri cacciatori, alcuni dei quali, dando fiato ai corni, incitavano le fiere ad uscire al cimento, mentre altri tenevano con le funi molti bellissimi cani. Dopo un giro intorno alla piazza, ebbe inizio una interessantissima caccia alle numerose lepri sbucanti dovunque e a un daino che venne preso e ucciso. Ritiratisi questi cavalieri, ebbe campo libero una seconda squadra che con non minor ardore della prima, inseguì ed uccise il secondo daino. Successe a questa altra squadra con esito uguale. Infine, mentre la quarta squadra trafiggeva l' ultimo daino, dalle torri e dalla ringhiera del pubblico Palazzo vennero gettati i soliti pollami, la tradizionale porchetta e grande quantità di monete. In occasione della rappresentazione di "Re Enzo redivivo" nell'anno 1696 s'eresse nella Piazza un gigantesco teatro trasformato a guisa di spazioso cortile. Tre portici, cioè quelli laterali al Palazzo pubblico, a quello del Podestà e alla chiesa di san Petronio, erano uguali. Faceva differenza il portico sito in faccia al pubblico Palazzo, il quale era diviso da un altissimo rastello. Da un lato del cortile stavano rizzati ad uguale distanza, due altissimi piedistalli premuti da giganteschi cavalli in rilievo, col nitrito sulle fauci e con ansia di corsa nelle zampe. Verso le ore 22, comparvero parecchi cavalieri leggiadramente vestiti e tutti contrassegnati, ognuno dei quali, dopo aver girato intorno al campo, si fermava nel posto diggià prestabilito. Avvertiti da uno squillo di tromba, essi girarono per tre volte intorno al campo, e al primo che toccò la meta venne poi offerto in premio un ricchissimo palio. Nell'anno 1702, sempre sulla pubblica Piazza, fu sontuosamente improvvisato un delizioso soggiorno con archi, boscareccie, fontane e piramidi, in mezzo a cui era posta l'allegoria di Felsina con l'arma del Gonfaloniere in carica. Ebbe così luogo un rinfresco con la distribuzione di squisitissime frutta. Inoltre, da alcuni cavalieri venne corso un palio. Terminato questo spettacolo, un uomo si lasciò scivolare sopra una grossa corda che dalla torre dell' Arengo scendeva fino alla base di quella dell'Orologio. Nell'anno 1723 nella Piazza come al solito allestita all'uopo, venne rappresentato il ratto delle Sabine. Diedero inizio alla storica rievocazione due carri trionfali contenenti l'uno i Sabini, l'altro le Sabine. Fece poscia la sua comparsa Romolo, a cavallo di un focoso destriero, seguito da quattro portatori d' insegne latine, da una dozzina di scudieri e da un foltissimo stuolo di comparse. Succedevano dodici giostratori e diciotto lottatori che dopo aver passeggiato il campo, ricevettero da Romolo l'ordine d'iniziare i giuochi. Terminata la loro festa e dopo che i vincitori ebbero ricevuti gli onori, Romolo fece iniziare una rozza danza ad imitazione fedele di quelle degli antichi Romani, con tanto artificio condotta, che mentre le Sabine adescate ed incantate la stavano a rimirare, con impeto vennero dai danzatori assalite e rubate. I gemiti delle rapite, le minaccie dei rapitori, il disordine dei Sabini, sollevarono una confusione indescrivibile. Romolo e i suoi seguaci, portandosi via la preda, chiusero la bella festa. Nell'anno 1726, lo spettacolo consisteva invece in un combattimento fra nani e pulcinelli mascherati. Nel mezzo della Piazza era stato innalzato un monte su cui stava eretto il capo dei nani che veniva adorato con riti grotteschi. Ad un tratto, sbucano da quel monte i pulcinelli che dopo un lungo combattimento atterrano il gnomo. Si presentano allora alcune nane impugnanti lancie, all'estremità delle quali stanno legate ogni sorta di leccornie, che, ingolosendo i pulcinelli li spingono, con smorfie e vezzi, a tentare l'assalto delle nane. Ma queste, destreggiando le lancie, sottraggono i cibi lusinghieri alle loro audaci brame, gettandoli invece alla circostante plebe.

Nell'anno 1751 ebbe luogo l'avventura marina di Arione di Metiuna, consigliere di Periandro tiranno di Corinto e di Corcira, e si ebbe ancora la Piazza trasformata in finto mare! Nell'anno 1770 il trattenimento consisteva nella rappresentazione della favola di Armida e Rinaldo. Dirimpetto al pubblico Palazzo era stato improvvisato un'incantato giardino, soggiorno dei due amanti, nel mezzo del quale stava una capanna cinta di leggiadri boschetti. Al suono di vari istrumenti ne uscì improvvisamente, preceduto da graziose ninfe, un cocchio dorato trascinato da quattro cavalli, sul quale stavano seduti Rinaldo e Armida. Seguivano parecchi pastorelli che, unitisi alle ninfe, si misero a danzare intorno al carro fermatosi nel centro del giardino. Con strani giuochi, posero poi fine al simpatico divertimento. Cartagine fu di nuovo conquistata e distrutta nell'anno 1783 con molto lusso e grande dispendio, ma con questo antico fasto venne la festa della Porchetta celebrata soltanto sino all'anno 1796. L'ondata della rivoluzione Napoleonica che fieramente percosse ogni nostra tradizione popolare, fece in modo che anche questa consuetudine ne uscisse modificata. Così non si fecero più rappresentazioni artistiche e ci si limitò alla lotta per il meschino acquisto di un pollo e al gettito di un po' di dolciume e dei soliti volatili. Fino a quando, nell'anno 1861, proclamandosi il Regno, questa sei volte secolare Festa scompariva per non più ritornare.
Bruno Biancini

Note: (1) Collezione delle Relazioni della festa della Porchetta. - Pressola Biblioteca Comunale dell' Archiginnasio di Bologna. (2) Raccolta delle "Insignia”, (Da cui sono state tratte le illustrazioni qui riprodotte). - Presso l' Archivio di Stato di Bologna. (3) POMPEO VIZANI: Diece libri della Historia della sua Patria. Libro IV, Anno 1281.

In collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e Cronologia di Bologna della Biblioteca Sala Borsa. Ultimo aggiornamento novembre 2023.

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