Salta al contenuto principale Skip to footer content

Fernando Rosti, partigiano della Stella Rossa

Schede

La mattina del 29 settembre 1944, quando cominciò la strage, c’era molta nebbia e piovigginava. Subito vedemmo le case incendiate sopra Pioppe di Salvaro. A Pioppe c’era un canapificio e una cabina elettrica che forniva l’energia alla fabbrica e c’era un canale che prendeva l’acqua dal fiume e poi ce la riportava. I tedeschi arrivarono in paese verso le sette. Rastrellarono tutti gli uomini, anche i più vecchi, e li rinchiusero nella chiesa di Pioppe. Dentro la chiesa, oltre a noi, c’erano anche i rastrellati di Sperticano, Montasico, Sibano, Pian di Venola: dovevamo essere circa in trecento.
Nella canonica, col comando tedesco, c’era Reder e io me lo ricordo perché gli mancava un braccio: era cinquanta metri da noi e parlava con gli ufficiali. Tutta la notte la passammo nella chiesa, uno sull’altro, e con noi c’erano anche due preti, uno dei quali, Don Vincenzo, dormì sulle mie ginocchia.
La mattina seguente, alle sei, ci trascinarono fuori e cominciarono ad interrogarci. Ci chiesero che mestiere facevamo, se avevamo dei difetti fisici, poi ci divisero in due gruppi in uno gli “abili”, nell’altro i “riformati”. Io finii nel primo gruppo e nell’altro (49 in tutto) misero anche due preti. Noi, abili, ci mandarono a Bologna, alle Caserme rosse e poi parte fu spedita in Germania e parte a governare le bestie. Io fui destinato nel Bazzanese per portare le bestie - circa duecento capi- oltre il Po. La sera seguente misero i “riformati” sul marciapiede della “botte” e poi li fucilarono tutti e li buttarono nella “botte”, che era quasi vuota, poi su di essi cominciarono a lanciare delle bombe a mano. Dal massacro se ne salvarono tre (Pio Borgia, Gioacchino Piretti e Aldo Ansaloni). Poi fecero entrare l’acqua nella “botte” e i cadaveri andarono giù dalla paratia e finirono nel fiume.
Io abbandonai la colonna del bestiame e mi rifugiai a Bologna. Seppi che nel massacro era morto anche mio fratello Augusto, che era stato messo fra gli inabili perché gli mancava la mano sinistra. Altri cinque miei familiari morirono in quei giorni: mia moglie Olga, mia sorella Gilda e mia nipote Laura erano morte in un rifugio del canapificio, mio fratello Ettore, colpito da una raffica in un campo. Mia cognata Giuletta prese con sé le bimbe e andò a Casetta, sopra lo stabilimento, ma fu raggiunta da una pattuglia che uccise Giulietta e la nonna (83 anni) mentre stavano dicendo il rosario. Le bimbe furono trovate il giorno dopo, tutte insanguinate: erano rimaste una notte e un giorno fra i morti e fu Fernando Castori, di passaggio, che le raccolse e le salvò. In novembre andai a prenderle e le portai con me a Bologna.

Luciano Bergonzini, "La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti", vol. V, Istituto per la Storia di Bologna, Bologna, 1980
[RB5]
Note
3