Fascio di combattimento di Bologna

Fascio di combattimento di Bologna

1919 - 1943

Scheda

Gli ex combattenti bolognesi disertarono l’adunata che si tenne a Milano il 23 marzo 1919, quando Benito Mussolini fondò il Fascio di combattimento.
Il giorno dopo la notizia dell’avvenimento non apparve sul “Giornale del Mattino” - il quotidiano interventista bolognese, diretto da Pietro Nenni, all’epoca iscritto al PRI - ma su “il Resto del Carlino”.
La maggioranza degli interventisti e degli ex combattenti bolognesi non condivideva la linea politica del nuovo organismo. Cedendo alle sollecitazioni di Mussolini, i combattenti bolognesi decisero di costituire il fascio.
La sera del 9 aprile 1919 si tenne un’assemblea d’ex combattenti, nel corso della quale parlarono Guido Bergamo, Nenni e Ferruccio Vecchi, inviato da Mussolini per controllare la manifestazione.
I primi due oratori illustrarono un programma politico di sinistra e di netta intonazione antimonarchica. Inoltre, invitarono ad uscire dalla sala i combattenti socialisti e cattolici, perché non graditi.
L’invito rivolto ai socialisti era superfluo, dal momento che non erano intervenuti. Uscirono i cattolici ed alcuni monarchici, che non condividevano l’orientamento repubblicano e la linea antimussoliniana che si andava delineando.
Il giorno dopo il quotidiano cattolico “L’Avvenire d’Italia” scrisse che era nato un Fascio «a tinta socialistoide».
Il gruppo dirigente del Fascio fu composto da Bergamo (PRI), Renzo Fontanesi (d’orientamento repubblicano), Nenni (PRI), Adelmo Pedrini (anarchico) e Dino Zanetti (monarchico e nazionalista).
Il Fascio era nato, ma su una posizione del tutto diversa da quella mussoliniana. Per questo, alcuni giorni dopo Zanetti e un gruppo di monarchici uscirono e fondarono la Lega antibolscevica popolare, la quale avrebbe dovuto essere la sezione bolognese del Fascio.
La linea politica del Fascio bolognese, sin dall’inizio, non risultò gradita al comandante del Corpo d’armata il quale, il 18 aprile 1919, ordinò ai militari di rassegnare le dimissioni perché l’organizzazione era «antistatale».
Erano ancora numerosi gli ex combattenti, come Nenni, che vestivano la divisa.
Osteggiato da Mussolini, dall’autorità militare e dal prefetto e abbandonato da Nenni, che in agosto si era trasferito a Milano, e da Bergamo, tornato a casa in Veneto, il Fascio non ebbe vita facile e si dissolse quasi subito.
Era talmente inconsistente che nell’estate 1919 Garibaldo Pedrini - segretario della Lega antibolscevica - riuscì a farsi nominare fiduciario, con l’incarico di riorganizzarlo e allinearlo sulla posizione di Mussolini.
In quel periodo, il futuro dittatore sosteneva la necessità di dare vita ad un grande schieramento di destra, in vista delle elezioni politiche del novembre 1919.
Gli iscritti al Fascio d’orientamento repubblicano e di sinistra si riorganizzarono e riuscirono a sventare la manovra di Pedrini, subito espulso con alcuni elementi di destra di recente iscrizione. Tra questi vi era l’ex anarchico Leandro Arpinati, che si trasferì a Milano ed entrò a far parte della guardia del corpo di Mussolini. Prese parte a numerosi scontri con i socialisti e a Lodi fu arrestato perché coinvolto nell’uccisione di un lavoratore e nel ferimento di altri.
All’inizio del 1920, dal Fascio uscirono numerosi elementi di sinistra e del PRI per cui ad Arpinati - tornato a Bologna - riuscì l’operazione fallita da Pedrini. Nonostante il suo attivismo, il Fascio restò per molti mesi un’organizzazione meno che modesta. Le cose mutarono il 17 settembre 1920 quando l’Associazione di difesa sociale arruolò 300 armati per la protezione degli esponenti della lista di destra “Pace libertà lavoro”, presentata per le elezioni amministrative.
L’Associazione - finanziata da industriali, commercianti ed agrari - si rivolse alle tre organizzazioni paramilitari che operavano a Bologna: il Fascio, i Sempre pronti per la patria e per il re e i Legionari fiumani.
Il più sollecito a rispondere all’invito dell’Associazione fu Arpinati. Arruolò 300 armati - molti dei quali usciti dai ranghi dei Sempre pronti e dei Legionari fiumani - e li mise a disposizione dell’Associazione.
Il questore - che approvò e favorì l’iniziativa - informò al prefetto che l’Associazione aveva fatto un primo grosso stanziamento, al quale ne sarebbero seguiti altri.
Il prefetto non ordinò lo scioglimento del nuovo corpo armato, per cui il Fascio poté dare corso alla propria riorganizzazione interna su basi militari (ASB, GP, 1921, b.1.350, cat.7, fas.1).
Il 20 settembre 1920 le prime squadre armate fasciste fecero la loro apparizione nelle strade di Bologna. Assalirono il ristorante-bar della Borsa, in via Ugo Bassi - un locale gestito dall’Ente autonomo dei consumi e frequentato prevalentemente da socialisti - e uccisero l’operaio Guido Tibaldi.
Altre spedizioni, tutte sanguinose, seguirono nei giorni successivi. Il 10 ottobre 1920 il Fascio fu rifondato e, per questo, fu chiamato il secondo Fascio di combattimento di Bologna. Dieci giorni dopo, su proposta d’Arpinati, l’assemblea degli iscritti approvò un nuovo programma e un nuovo statuto, perfettamente allineati sulle posizioni di Mussolini.
Sempre su proposta d’Arpinati - confermato segretario - furono espulsi gli elementi repubblicani e di sinistra che avevano preso parte alla fondazione del primo nell’aprile 1919.
Ai primi di novembre uscì “L’Assalto”, il periodico del Fascio diretto da Giovanni Leone Castelli detto Nanni.
Dopo avere completato la riorganizzazione militare, il Fascio divenne il braccio armato della controrivoluzione preventiva che la destra politica bolognese aveva deciso di scatenare contro la sinistra. Viene quindi confermato Leandro Arpinati come segretario politico, mentre viene nominato presidente Marino Carrara. Il consiglio direttivo il 20 ottobre del 1920, si compone di Angelo Tumidei, Giuseppe Colantuoni, Luigi Landi, Giuseppe Ambrosi e Arconovaldo Bonacorsi.
La mattina del 25 ottobre 1920 fu firmato il Concordato Paglia-Calda - che metteva fine ad una vertenza durata dieci mesi - e nel pomeriggio le prime squadre armate si recarono nei comuni agricoli d’Ozzano Emilia e San Lazzaro di Savena per strapparlo.
Il 4 novembre, sulla rivista "L'Assalto", viene pubblicato lo statuto del Fascio dovo sono precisati gli scopi, i requisiti di ammissione, la composizione del consiglio direttivo e la periodicità delle assemblee.
STATUTO
Art. 1. È costituito il Fascio Bolognese di Combattimento per la città e la provincia di Bologna.
Art. 2. Il programma è: La difesa dell'ultima guerra nazionale. La valorizzazione della vittoria. La resistenza e l'opposizione alle degenerazioni teoriche e pratiche del socialismo politicante cioè il Bolscevismo.
Art. 3. I Fasci non sono legalitari ad ogni costo, né illegalitari a priori. Il secondo Fascio di Bologna. In tempi normali, mezzi legali; in tempi anormali, mezzi adatti alle circostanze. Non predicano la violenza per la violenza, ma respingono ogni violenza passando al contrattacco.
Art. 4. Può essere socio del Fascio qualunque cittadino di provata onestà che ne accetti il programma ed abbia compiuti i 18 anni.
Art. 5. Le domande di ammissione dovranno essere presentate per iscritto al Presidente della Commissione di vigilanza che in accordo con il Consiglio Direttivo le sottoporrà all'approvazione dell'Assemblea.
Art. 6. Il Consiglio Direttivo è composto di 7 soci e nel suo seno nomina il Segretario politico ed amministrativo.
Art. 7. Le contribuzioni mensili sono fissate in un minimo di L. 1. Ogni socio dovrà essere munito della tessera di riconoscimento.
Art. 8. Le assemblee ordinarie saranno tenute una volta al mese, le straordinarie ogni qualvolta il Consiglio o un terzo dei soci non morosi lo riterrà opportuno.
Art. 9. Chi senza giustificato motivo non parteciperà a tre adunanze consecutive si riterrà dimissionario.
Art. 10. Sarà espulso chiunque non si attenga alle presenti disposizioni generali ed al regolamento interno. N.B.: La segreteria sociale in via Marsala n. 30 è aperta giornalmente dalle ore 18 alle 19 e dalle 20 alle 22

Sempre il 4 novembre 1920, per festeggiare il secondo anniversario della fine della guerra, i fascisti assalirono la sede della CCdL in via d’Azeglio 43 e la misero a sacco, grazie soprattutto alla viltà del segretario provinciale Ercole Bucco.

Il 21 novembre 1920, infine, raccolsero la più grossa e decisiva vittoria quando assalirono Palazzo d’Accursio, per impedire l’insediamento della seconda amministrazione comunale socialista.
Provocarono gli incidenti che costarono la vita a 11 persone: un consigliere di minoranza e 10 lavoratori. I feriti furono una cinquantina. Arpinati lasciò la segreteria del Fascio il 5 dicembre 1921 perché non fu in grado, al termine di un’assemblea, di dare il resoconto finanziario dell’acquisto di alcuni camion chiesto da Dino Grandi e Aldo Oviglio (N.S. Onofri, La strage di Palazzo d’Accursio, p.222).
Riassunse la carica quando Mussolini, con lettera in data 19 febbraio 1922, gli scrisse «Devi riprendere il tuo posto» (G. Cantamessa Arpinati, Arpinati mio padre, p.49). Grazie all’appoggio di Mussolini, riuscì a respingere gli assalti di Dino Grandi e Gino Baroncini, contrari alla sua linea politica.
Nel 1924, in occasione delle elezioni politiche, la direzione del PNF impose a Bologna un commissario straordinario, nella persona di Edoardo Rotigliano.
Lo stesso anno Arpinati fu nominato prima commissario e poi segretario. Mantenne la carica nel 1926, quando fu nominato podestà, e la lasciò nel 1929, quando divenne sottosegretario al ministero dell’Interno. Lo sostituì prima Francesco Ramponi (12 aprile 1929) poi Mario Ghinelli (22 giugno 1929), il suo più fidato collaboratore.
Nel 1933 Arpinati cadde in disgrazia e la federazione fascista, il 24 giugno 1933, fu commissariata da Ciro Martignoni. Dopo l’allontanamento di tutti gli arpinatiani molti dei quali finirono al confino, come Arpinati - furono nominati da Roma: Umberto Angelini (20.5.1934); Cesare Colliva (22.7.1934); Alfredo Leati (25.6.1936) e Vittorio Caliceti (10.1.1940). Morto Caliceti, gli subentrò il suo vice Piero Monzoni (23 agosto 1940). Il 3 luglio 1943 fu nominato Angelo Lodini che restò in carica sino al 25 luglio 1943.
Nelle elezioni del 16 novembre 1919 il Fascio votò per la Lista dei combattenti, che ebbe 5.556 voti e nessun deputato. Nelle politiche del 15 maggio 1921 il Fascio presentò la lista Blocco nazionale con il fascio per emblema nella circoscrizione di Bologna (BO, FE, FO e RA). Raccolse 12.883 voti nel comune di Bologna, 24.435 nella provincia e 96.267 nella circoscrizione. Elesse 6 deputati. Il più votato fu Mussolini. In quelle del 6 aprile 1924 ebbe 459.154 voti nella Circoscrizione regionale e 27 deputati. Nella provincia di Bologna raccolse 111.112 voti dei quali 28.463 nel comune di Bologna. [O]

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Bibliografia
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Onofri N.S.
2002
Cronache della vigilia rivoluzionaria fascista nella provincia di Bologna
Luminasi I., Valianti R.
1942 Roma
Eccidio di Palazzo d'Accursio
Manaresi A.
1942 Roma
Fu fascista la violenza nella provincia di Bologna tra il 1920 e il 1945
Onofri N.S.
2000
I tanti e contraddittori elenchi dei caduti bolognesi della "rivoluzione fascista"
Onofri N.S.
2001
Il fascismo a Imola (1914-1929)
N. Galassi
Il movimento delle squadre in Emilia
AA. VV.
1942 Roma
Il primo e il secondo "Fascio di combattimento" di Bologna nelle carte dell'Archivio riservato del Gabinetto di prefettura (1919-1922)
Musiani Tarozzi F.
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Onofri N.S.
1980 Milano Feltrinelli
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1923 Bologna L'Assalto
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2003 Milano Mondadori