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Esporre a Bologna | arte e industria

1873 | 1874

Schede

Dopo l'Unità d'Italia a Bologna si assiste al rinnovamento della scena artistica, il risveglio dell'artigianato e soprattutto l'avvio dell'industrializzazione partendo dai prodotti agricoli. Occasioni per mostrare le novità artistiche e produttive erano le esposizioni artistiche ed industriali che sempre più si rincorreranno rispetto ai decenni passati. Segnaliamo due avvenimenti accaduti tra 1873 e 1874: la prima una anteprima presso la ex Chiesa della Morte di ciò che la città di Bologna avrebbe esibito all'Esposizione mondiale di Vienna; la seconda la vetrina artistica della Società protettrice delle Belle Arti.

Così viene descritta la mostra di arte e industria del 1873: "Fu un nobile e generoso pensiero della Società Balanzonica, ed in particolare del suo Presidente, riunire alla vigilia della grande Esposizione viennese, i prodotti fecondi dell’arte e dell’industria, in una piccola mostra cittadina acciò ognuno avesse cognizione delle opere che Bologna invia a Vienna e perché queste giudicate in famiglia e senza prevenzione, potessero subire quelle modificazioni che una giusta critica consigliasse all’autore. (…) La scultura ha due lavori del prof. Salvini: l’uno rappresenta il busto del maestro Rossini, l’altro la maschera del conte Cavour. Il busto di Rossini è decisamente un capo-lavoro, in quel colossale sembiante evvi una sicurezza di scalpello, una verità di espressione e di dettaglio che costituisce del freddo marmo una immagine sorridente e palpitante. L’idea di scolpire la maschera di Cavour è infelice, e parmi che l’autore sia molto disotto dal suo merito in quel lavoro: il guanciale nulla ha di vero, e la stessa fisionomia di Cavour non porta grandi somiglianze. Il signor Gaetano Chierici nelle opere di pittura esposte nel locale della Morte raccoglie la palma. Ha un quadretto rappresentante un bagno in cui una madre si accinge ad immergere in una vasca i piccoli figli; ne tiene per mano un piccino che temendo il ribrezzo dell’acqua fredda, contorce l’estremità in modo sovranamente naturale; è un’opera portata a termine con vera coscienza d’artista; nel quadretto domina molta luce, molto sfondo ed una prospettiva ben fatta. Sarebbe desiderabile una maggiore fedeltà al disegno, come pure mi sembra che le estremità dieno troppo in grande, ed il colorito abbisogni di maggior accuratezza; quel tono roseo che par domini in tutte le parti non ha forse un poco troppo del convenzionale? Il prof. Luigi Busi è un giovine che nella meta gloriosa dell’arte ha percorso un grande cammino, e presto son certo raggiungerà il culmine: ci uniamo con chi deplora che questo egregio artista non abbia inviato a Vienna un grande lavoro. La sua tela esposta, rappresenta una buona madre a cui sorride il pensiero del biondo capo del suo figlio, che addita per compiacenza ad una sua amica, il bambino non è certo un tipo angelico e non presenta per la madre gran titoli alla compiacenza: spero che l’egregio prof. Busi con due maestre pennellate saprà dare al pargolo un’idea più angelica e più celestiale. Il prof. Busi ha una particolarità artistica che a me profano non è sfuggita: nei suoi lavori tiene sempre il fondo chiaro, mentre la generalità ricorre allo scuro, e nel riprodurre aborre il fantastico ideale, e non agisce che sul vero. Due quadri ha esposto il prof. Mario Scovolo; il primo rappresenta una notte in Calabria, l’altro una memoria della guerra del 1870. La notte in Calabria è una bella riproduzione di quella che ammirammo all’esposizione annuale; l’autore mostra una grande facilità ed accuratezza nello studio del vero; l’effetto della luna che sorge su di una dirupata vetta è sorprendente, come giustissima l’idea delle nuvolette rischiarate dai raggi lunari. Il secondo quadro è più interessante. Il terreno è coperto di neve, ed un binario di ferrovia corre segnato dai pali telegrafici; qua e là vi sono cadaveri, e da un lato giace un prussiano spento vicino al suo morto cavallo, in distanza due cavalli viventi con le narici aperte, col pelo irto fiutano l’aria, ed in fondo un fiume gelato; è un quadro pieno di vita e di verità, è un quadro interessante per la mostra di Vienna dove siamo certi raccoglierà unanimi voti dal giurì. Il prof. Scovolo ha fatto dei grandi e reali progressi, nelle sue opere spicca sempre il tocco maestro del pennello, ed una sicurezza di esecuzione; oserei pregarlo di curare un momento di più il disegno e l’anatomia animale. Molti altri lavori ha esposto l’egregio prof. Guardassoni: se togliamo l’Innominato che è sempre opera dell’egregio Guardassoni, l’opera che gli ha procurato quella fama onorata e meritata che gode, gli altri non sono che titanici sforzi che fa l’egregio pittore per tentare nuove vie, nuovi ritrovati, e per mostrare, come dice egli stesso, qual soccorso possa ritrarre la pittura dalla stereoscopia o fotografia binoculare che, fissando un punto istantaneo di luce, perfeziona il chiaro-scuro e gli effetti: di questi suoi studii ora non ne teniamo parola avendone lungamente in altre appendici parlato: facciamo voti che i suoi lodevoli sforzi siano salutati a Vienna da un giusto e meritato encomio. Il prof. Malatesta manda all’esposizione vari lavori; il più perfetto parmi la famiglia del disertore ove spicca a colpo d’occhio lo spavento naturale al presentarsi di un gendarme su la porta di casa della famiglia. Nelle sue opere il prof. Malatesta trascura troppo il colorito delle carni e della prospettiva, e manca di robustezza di toni e verità di colore. Il sig. Guadagnini ha esposto Eva prima del peccato: è un lavoro in acquerello condotto con amore. Il prof. Puccinelli ha esposto il suo bel progetto della facciata per S. Maria del Fiore: è un tipo perfetto di buona architettura e del tutto rispondente al concetto del tempio. La fotografia è degnamente rappresentata da un lavoro della famiglia Angiolini: è un ritratto eseguito con maestria di Giuseppe Mazzini; havvene pure uno di Vittorio Emanuele, ma non mi soddisfa né punto né poco. Termino lo schizzo su le pitture col ricordare un gioiello artistico esposto dalla marchesa Brigida Tanari. Questa nobile signora ha miniato su di un campo d’oro un Cristo glorioso che domina sul Cenacolo, il pensiero grandioso è stato eseguito con rara perfezione che ha costato certo un tempo immenso. Così bene impiegassero le ore di ozio le nostre donzelle che al diletto sovrano dello spirito raccoglierebbero pel sesso, lustro e decoro. Dal campo sereno dell’arte scendiamo al fecocondo del lavoro. Bologna all’appellativo di dotta s’ebbe unito quello di grassa; è naturale quindi che a Vienna figurano i nostri migliori prodotti gastronomici. I fratelli Lanzarini, Zappoli, Samoggia e Colombini hanno esposto la loro industria dei salati in zamponi, mortadelle di cui una, ed è dei fratelli Lanzarini, pesa num. 88 chilogrammi. Il signor Rovinazzi direttore dello stabilimento Buton manda a Vienna il prodotto della sua distilleria che dà sempre liquori buoni e nuovi. Il sig. Viscardi sa fare dello zucchero, una materia obbediente ai suoi capricci, sa imitare il filo, le calze, la tela, sino ad una perfetta camicia di finissima tela. La Selleria bolognese è degnamente rappresentata da una ricca bardatura per due cavalli, opera di Ulisse Masetti. I prodotti del nostro suolo sono rappresentati dal Riso gigante del conte A. Salina, che ha saputo riunire in legittimo orgoglio il blasone con la scienza agricola, e dalle canape del marchese Tanari, e del sig. Pietro Biavati. Il sig. Bortolotti invia a Vienna la sua rinomata acqua di Felsina che siamo certi sarà novellamente premiata, ed il sig. Ghibellini espone dei letti in ferro vuoto che sono bellissimi e dal lato della solidità come del disegno. Di molti altri oggetti avrei ora da parlare, ed innanzi tutto dei lavori del bravo sig. Minghetti che nell’arte ceramica ha raggiunto l’excelsior; in un’altra appendice soddisferò al mio debito.

L’arte ceramica non dirò solo bolognese, ma italiana, sarà a Vienna nobilmente rappresentata da uno stupendo vaso figurato, che il sig. Angelo Minghetti ha saputo creare ad imitazione antica. Il vaso esposto nel locale della morte rappresenta un grande trionfo di Bacco; le figure che ricorrono ai fianchi del vaso in alto rilievo, sono opera degna dei tempi antichi, quando l’arte ceramica trovavasi all’apogeo della gloria, è un’opera che nulla invidia ai lavori tanto riputati degli stranieri. In quel vaso esposto, ogni figura esprime con verità la parte che le spetta, dall’asino che raglia al rubicondo Dio del vino, tutto l’assieme è pieno di vita e di verità. Se il vaso nella sua totalità merita un rimarco, parmi ciò sia a farsi nella base, che mal risponde alla mole colossale del recipiente. All’esposizione Romana nel 1870 il sig. Angelo Minghetti meritò un grande premio per vasi esposti, e quello s’ebbe maggior valore considerato che in Roma l’arte ceramica ha dei cultori distintissimi; siamo quindi certi che a Vienna otterrà egualmente un grande e meritato successo. Concittadini del grande Galvani speravamo che la chimica e la fisica fossero a Vienna splendidamente rappresentate, ma se togli pochi lavori, di problematica importanza, esposti dal prof. Fabbi in Galvano-plastica, null’altro osservammo nel locale della Morte; ci consta però che il sig. Bartolomeo Masetti, infaticabile cultore delle scienze chimiche applicate all’industria, esporrà a Vienna il prodotto delle sue investigazioni rappresentate da una pila a forza costante che dura molti e molti mesi sempre pulita e senza bisogno di smontatura, e da un orologio a caricatore elettrico che si ebbe un meritato plauso a Parigi, ed un lodato encomio del chiarissimo padre Angelo Secchi. Il prof. Testi rinomato dentista, manda all’Esposizione mondiale un sistema di dentiera basato, nella costruzione, su nuovi principi: in questi tempi in cui è tanto in voga l’uso di rimettere i denti per evitare le deformità del volto, all’inventore non può mancare un premio. L’industria dei curadenti figura pure alla nostra Esposizione, ma per dir vero non ci sembra lavoro degno della grande Esposizione viennese. La tessitoria è degnamente rappresentata dai lavori del sig. Rizzoli, e dai prodotti delle canape di vari cultori bolognesi. La seta fa bella mostra in una piccola vetrina contenente bellissimi campioni lavorati dalla ditta Alessandri. La Calzoleria Felsinea ha un distinto operaio nel sig. Mantovani che espone uno stivale da caccia al quale non mancherà il favore del giurì viennese. Noterò infine il magnifico cancello di ferro della ditta Cambiaggio che la nostra Cassa di Risparmio invia a Vienna per crescere il decoro della nostra città, e le onorificenze della ditta milanese." Testi tratti dal quotidiano l'Ancora del n. 45 e 50 del febbraio e marzo 1873.

Da secoli a Bologna, come in altre grandi città, l'Accademia di Belle Arti realizzava la sua esposizione annuale. In questa occasione non erano presenti solo i docenti o gli alunni dell'istituto, ma anche cittadini, dilettanti e artisti di fama; questi ultimi spesso presenti con opere donate in occasione di onorificenze e titoli ricevuti dall'Accademia. Dopo l'Unità d'Italia queste mostre non furono più l'espressione delle nuove tendenze, in quanto i docenti e la direzione erano rivolti ad enfatizzare uno stile che si rifacesse al passato, alle glorie locali quali Guido Reni, i Carracci o al più al Rinascimento. In risposta a questo freno conservatore nacque la Società protettrice delle Belle Arti, con il preciso scopo di incentivare la vendita delle opere esposte. In tal senso la Protettrice acquistava alcune delle opere, che poi tramite sorteggio venivano donate ai propri soci. Una accurata ed a tratti umoristica descrizione di una di queste esposizioni ci viene consegnata dal quotidiano locale l'Ancora del 24 ottobre 1874. Il redattore si firma sotto lo pseudonimo di Gualdo: "pagato il dazio dei 25 centesimi per entrare nell’ex-sacrario delle Arti belle, e pagato un soldo di giunta per aver sott’occhi il magro catalogo degli oggetti esposti, eccomi dentro a fare un primo giro di rivista generale. I lavori sono disseminati in quattro o cinque ambienti, senza bisogno, forse perché sembrino molti; e dire che l’effetto ottenuto è il vero contrapposto, cioè paiono rari nantes in gurgite vasto! Dopo aver curiosato qua e là pel boschetto inglese, mi fermo un poco e medito. Povera Arte! Ecco qua 96 fra tele e carte colorite e d un solo lavoro di scultura; eh quanta mediocrità!… Povera scuola bolognese, un dì sì famosa! Eccoti qui rappresentata da poco più di 15 quadretti, che, salvo pochissimi, sono mediocri fra i meno belli! Fortuna che questo era un soliloquio, e che lo confido solo ai lettori dell’Ancora; ma se lo avessero a sapere certi autorelli… miserere mei! - Ma dunque sei venuto a farti gabbo delle prove dei nostri itali ingegni? (mi dice un amico paffuto ed ilare come una Pasqua, cultore egregio della buona letteratura.) - No, mio caro, (rispondo a lui, ed a chiunque;) io sono venuto qui a vedere per dirne poi liberamente il pensier mio; pensiero non d’artista veh, ma di semplice amateur, come altra volta ho confessato. E l’amico G. sorride con finta ironia, e mi mette sempre più sul filo dei frizzi. Buona lana! ed io lo pianto là in panciolle sur un divano-panca ricoperto di rosso, e vado tutto solo a scegliere il meglio dal peggio, il meno dal più. Cominciamo dal meglio. E sono i milanesi. Vedete lì quel Canneto del Lago Maggiore; che caro quadretto! che acqua limpida, diafana, sfuggente, sotto i leggieri meandri di quelle piante acquatiche! Vi ricordate lo specchio nella Commendatizia del nostro Busi? C’è gara di merito e d’illusione. Bravo signor Saporiti! Il signor Pizzi, milanese anch’esso, è un bravo paesista, e ve lo provano splendidamente il suo S. Martino presso Lecco ed il suo Reduce dal bosco. In quest’ultimo quadro, ove l’acqua è dipinta tutta in ombra, le difficoltà superate sono grandi, e l’effetto è magico, perfetto. Nelle Reminiscenze del lago di Costanza, c’è molta finezza, ma c’è minore effetto dei precedenti due quadri. Bella la Nevicata del Carmignani, ma senza giro d’aria. Grazioso il quadrettino del nostro Palazzi Le ultime pennellate, ad onta del suo piano rampicante, e rampicante a segno che il tracantone dell’angolo nel fondo a destra si vede finire di sopra alle ginocchia della pittrice seduta! Un altro bel quadretto è la Indiscrezione. Il nostro signor Bedini dipinge con espressione, con brio, e stende bene i suoi piani senza sforzo e con pieno effetto di ampiezza. E’ un ammiratore del prof. Busi. (parentesi. Prego il prof. Busi di dar buon esempio a questi giovinotti che cercano d’imitarlo). Buonino il letto di torrente presso Savignano del Treblà. Anche se le sue riproduzioni di punti prospettici della nostra Chiesa dei Servi sono pregevoli abbastanza: ma p. es. quel raggio di sole colorato dai vetri del rosone, che poi ne stampa le tinte sul damasco rosso di una colonna, è una mezza bricconata… non se l’abbia male! Molto esatto per disegno e colorito, ma scarseggiante di spicco nell’effetto reale è l’ambone di S. Marco di Venezia. Il sig. De Maria nostro concittadino merita elogio per questo suo lavoro giacché lo ha condotto con amore e con mota accuratezza. Il signor Di-Scovolo è stato più felice in altri lavori, che non nel Mattino e nel Mezzogiorno e nella Sera che ora ha esposti. La Sera ha un certo giall’ovo di frittata, e un certo albero che si scontorce tutto come si desta da un sonno faticoso. Il Mezzogiorno ha un bell’effetto di sole sul muricciolo e sulla figuretta ignuda che va a gittarsi in bagno. A proposito: un po' di decenza non ci farebbe danno! E il pubblico pudore n’avrebbe salvo. Rita e Giannina sono due discrete figurine. Nel pomeriggio sta meglio la Rita; la povera Giannina ha certi manicomi a maccheroni! Magnifico è l’effetto della sala ovale nella Biblioteca di Parma (come dice il catalogo a stampa), ed è perfetta l’illusione dello sfondo dell’altro ambiente molto illuminato, che vedesi per l’uscio di contro. Bello, bello! Suocera e Nuora, l’Idillio campestre ecc., pitturine di sistema vecchio manierato, che non si gustano più. L’Idillio poi è un sospiro arcadico all’acqua di tisana. Buono abbastanza il Viridarium. Carina e di molto spicco la piccola scenetta dello Scala di Napoli, intitolata l’Innocenza. Meschinità sono l’Amore e Guerra, specie di tableau da scattole di cartone. Facezie, e ghiribizzi dal colorito bolso su per giù come il concetto. Un po’ meglio, non tanto pel concetto, ma pel lavoro è l’arbitramento (brr!) di un testo. Nel tramonto sul Ponte Navile è brutto il fondo, e quel color giall’oro che domina la luce. Il disegno è buonino, ma ci manca di molto a dire che sia un buon quadretto. Due graziosi quadri ci ha dato il nostro Buttazzoni. La Filatrice è una cara vecchietta aguzza e piacente a cui solo manca un poco più di rilievo nelle membra. L’accademico degli Enormi (che ricorda alla lontana il suonatore di flauto esposto dal Serra l’anno andato) è bene fatto, specialmente rispetto agli accessorii. Solo domanderei perché si volle chiamare degli Enormi; non apparisce la ragione d’essersi preferita qui quell’accademia alle tante della fungaia. La Margherita di Svevia è un dipinto sulla porcellana. L’avello di Corradino pare un bauletto da viaggio. Cosine modeste sono Le confidenze giovanili, lo Studio della Geografia, la Lezione; ma promettono. Promettono poco invece la Via di Comacchio e il Ponte di S. Andrea a Venezia. La Fioraia sui sentieri d’Abruzzo è una statuina gentile, giusto come il cognome dello scultore. Ma, sia la timidezza della bimba, o la sua poca abilità nel farsi innanzi a porger fiori, essa ha poca vita e poca movenza nel volto e nella mano; c’è più vita e più moto nei piedi. Parrà una celia, ma sembra che si muovano. Non metterò per ultimo – L’ultimo giorno di Pompei, l’unico quadro esposto di stile classico… accademico, come apparisce dalle pose, dai gesti, dalla scena. E’ un vestibolo basso, con arditi, e non so quanto ben colti, effetti di luce e di ombra. - Ma non fu una pioggia di lapillo che seppellì Pompei? Che c’entra dunque nell’atrio (coperto di tegoli nostrani) quel vorticoso fuoco che piove giù come se la vetta del Vesuvio fosse stata lì fuori a 100 metri? Le Cave dei gessi sono un egregio lavoro del sig. Manfredi di Modena. Ma… sempre questo monosillabo impertinente! Non c’è sensazione di sfondo; manca l’effetto dell’aria ambiente fra quei dossi e quelle rupi sì ben dipinte. La Polenta del sig. Folli è una collezione di giocattoli ben riprodotti e messi in mostra in una cucina-bazar. La massaia, messa la polenta nel paiuolo, pare che si conficchi dentro il muro annerito del camino. Ah quella benedetta prospettiva! Il sig. Diodato di Badia ha esposto una memoria cara certamente a lui solo. Il sig. Venturi ha due quadri, fra i quali è da preferirsi la Pianura con tramonto. La ricreazione di un menestrello, cosina semplice del nostro sig. Bonesi, promette. Bel quadretto l’Alpe nel cantone vallese del sig. Ashton. Ecco Giulia già disillusa!! - Bravo sig. Pagliara, ella fa onore a Napoli. Il suo quadretto alla Busi, è un gioiello di buon gusto, e dal lato dell’effetto locale è graziosissimo. Procuri di spianare i suoi pavimenti, abbassi l’orizzontale, e si ricordi che le scene in una piccola stanza non si possono dipingere dentro dall’uscio. No, bisogna che davanti al pittore si finga sparita affatto la quarta parete, come davanti allo spettatore. E’ come in teatro: si alza il sipario; chi preferirebbe mai di andar a vedere l’effetto dello spettacolo di sopra al buco del suggeritore, anziché nel centro della platea? I Lanceri di Nizza, questi eterni lanceri, hanno trovato nel sig. Sartori di Parma un esimio fotografo-colorista. Non c’è grande effetto di massa, ma è buono il disegno, e piace. La prima luce è un bel tentativo del nostro sig. Vighi, c’è dentro quell’incerto, quel bagliore, quell’argentato dell’alba, che più volte i lettori (se si alzano presto) avranno veduto lunghesso un fossato e per li campi. Il Luglio del Pollonera d’Egitto, è un luglio… certamente d’Egitto, non dei nostri paesi. Il cielo è lana tinta di cenerino, come lana sporca di verde e giallo è tutta la campagna. Che luglio antipatico!

Il mio amico G. si è finalmente levato da sedere, e sbadigliando… per inedia, mi è venuto a prendere d’innanzi all’incantevole Canneto del Saporiti, e poi narrandomi la storia di due gobbine da lui prima ormeggiate per gli andirivieni dell’Esposizione, mi ha tratto a vedere certe bricconate, di cui dirò sull’ultimo. Anzi darovvene conto colle stesse sue parole. Fra gli oggetti fuori concorso ho visto due buone Marine del nostro March. Calvi, e alcuni bei lavori della sig. Ottani di Roma. Perché non farne menzione nel catalogo officiale? Tiriamo innanzi. Vi sono alcune cose originali; tocchiamone di volo. Salto l’Ave Maria, strampoleria romantica delle mille e una notte. I tre quadretti del sig. Mancini di Roma, con tre mezze figure di fanciulli, sono eseguiti con un sistema di pennelleggiare veramente sui generis; figuratevi (guardandole a 5 passi) che il pittore si sia messo a ritagliare della paglia e delle carte colorate; poi che abbia preso su un pugillo di quei tritumi così a casaccio, e lo abbia gittato e sparso su per la tela spalmata di colla fresca. Cos’è?… Moh!… Fatevi indietro quindici o venti passi (benché i quadretti sieno qualche palmo in quadro) ed ecco vedete tre belle testoline di fanciulli, tre mezzi corpiccini in tutta regola, ben fatti, vivi e naturali, e come lavorati a punta di pennello, direste anzi carezzati col piumino! - Che metodo curioso eh! (diceva il mio bel G.) Ed io rispondeva: Bisogna studiarci sopra; non è fuori del vero costui. Da presso è una vera confusione di minuzzoli sperperati e incrociati come dal turbine; e… a buona distanza… paiono cose finite. C’è da studiarci sopra! Un’altra originalità, divisa per due. Il sig. Fattori di Firenze ci dà un Ciociaro e una Ciociara, che sono di perfetto disegno e di ardita prospettiva, ma dipinti senza vigore, senza vita, col pennello intinto nell’acqua sporca di colore, da parer quasi pitture in legno, sbiadite e mezze perdute per l’antichità. Che gusto! Somiglianti sono, benché con un po' più di forza nel colore, il Marzo e il Novembre del signor Raimondi di Parma. Ma egli si trincera dietro il lunario, e ci fa vedere che in quei due mesi il sole è malaticcio. Speriamo dunque che guarisca! Un’ultima originalità. La mania delle cose lunghe. Il nostro concittadino sig. Faccioli, ci dà gli ultimi sorrisi d’autunno (con un sole sul genere dei precedenti), ed un ricordo del picciol Reno. Il primo ha certi alberi lunghi, affusolati, allampanati, che paiono pertiche da cuccagna; e, per compiere il quadro, tre figurette d’Inglesi, lunghi anch’essi e magheri stecchiti come caricature di Cham. Ci sarà dell’etica, ma c’è anche dell’etisia. Finalmente un breve cenno intorno alle bricconate. Parla l’amico G. Ne noto solo qualcuna. Codesta Marina (diss’egli) non ti pare un pezzo di bacalà col suo prezzemoli, galleggiante in un’acqua satura di perlino? Codesto pascolo, non ti sembra egli un’insalata a giardinetto, mischiata là alla carlona da un credenziere svogliato? E non è un’altra insalata di cavolifiori, questa che s’intitola Al valentino?… - Fin qui l’amico. Un’altra bricconata (dico io) per disegno e tavolozza è la bussola dei Bolognesi. Non c’è di vero e di buono che il pensiero e l’epigrafe. E Comacchio vista dalla laguna? Scena sul gusto di quella sotto il Paliotto di Guido, dipinta dal suo sciacqa-pentolini! Non ci mancano che i cataletti degli appestati; ma li surrogano le barche. - Oh che linguaccia! - Andate un po’ a vedere e poi datemi torto. 20 ottobre 1874. Gualdo.

Riferiamo senza commenti la nota dei quadri scelti dalla Società protettrice delle Belle Arti fra i lavori presentati alla annuale Esposizione; quadri che verranno poi estratti a sorte fra i signori soci: L’ultimo giorno di Pompei, del sig. De Nigris di Napoli per L. 2000; Interno della cappella del Santissimo nella Chiesa dei Servi in Bologna, del sig. A. di Treblà console di Francia a Bologna: L. 400; Dopo un temporale, del sig. Carmignani di Parma: L. 550; L’Innocenza, del sig. Scala Vincenzo di Napoli: L. 400; Interno della Pinacoteca di Parma, del sig. Marchesi Salvatore di Parma: L. 400; Canneto del Lago Maggiore, del sig. Rinaldo Saporiti di Milano: L. 300; Un’accademico degli Enormi, del signor Ettore Buttazzoni di Bologna: L. 300; Gli ultimi sorrisi d’autunno, del signor Faccioli Raffaele di Bologna: L. 650; Alpe nel canton vallese, del sig. F. Ashton di Milano: L. 800. Vennero poi acquistati per la Galleria moderna della R. Accademia di Belle Arti i due quadri seguenti: Viridarium, del sig. Giuseppe Monticelli di Torino, per L. 850; Giulia di già disilusa! del sig. Attilio Pagliara di Napoli, per L. 300".