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Elena Ruggeri, superstite dell'eccidio

Schede

Allora avevo diciotto anni. Il 29 settembre alle nove circa arrivarono le SS. Scappammo in chiesa, dove pensavamo di essere rispettate, tanto più che eravamo donne e bambini, perché gli uomini validi erano per le macchie. Il parroco diceva il rosario. Di noi, chi pregava e chi piangeva. Avevamo chiuso la porta della chiesa: i nazisti arrivarono e cominciarono ad urlare e battere con furia la porta, credo anzi la buttarono giù. Quando sentimmo i colpi contro l'uscio io, una zia e Giorgio Munarini, un cuginetto di tredici anni che si era aggrappato alle nostre mani, scappammo in sagrestia, da dove, dietro una colonnina di fronte alla porta che dava sulla chiesa, facevano venire fuori tutti e li picchiavano ridendo, mentre passavano in mezzo.
Il parroco, che sapeva il tedesco, parlò con due di loro, ma dall'espressione della sua faccia noi capivamo che non c'era nulla da fare; continuavano a ridere mostrando il mitra, e, poiché il parroco insisteva, lo uccisero con una raffica sopra l'altare. Avevo messo una mano sulla bocca di mio cugino Giorgio, per paura che gridasse. Ammazzarono anche una vecchia paralitica che non si poteva muovere. Fuggimmo alla disperata dalla sagrestia nel bosco, lontano un centinaio di metri: ci videro mentre si correva, ci spararono e gettarono anche delle bombe a mano, per fortuna senza colpirci.
Nel bosco ci sentimmo più sicuri perché si sapeva che non sarebbero venuti. Ne avevano sempre avuto terrore folle; c'era anche un sentiero poco lontano, neppure 30 metri, ma non si azzardavano a venire. Dal bosco vedemmo che fecero andare tutti verso il cimitero vicino alla chiesa dopo avere scardinato il cancello a spallate aiutandosi coi fucili. Dal nostro posto vedemmo dentro il cimitero. Dopo un quarto d'ora li avevano messi contro la cappella, aprirono il fuoco e gettarono anche delle bombe a mano. Spararono molto basso, per colpire i bambini. Appena finito il massacro, se ne andarono.
Alle 4 del pomeriggio entrai nel cimitero a cercare i miei ma non li trovai perché erano sotto il mucchio dei morti. Da un angolo della cappella mi chiamò mia cugina Elide Ruggeri, ferita a un fianco; era con mia zia che aveva le gambe fracassate e morì due giorni dopo. Giunse intanto mio padre che al mattino s'era rifugiato nella macchia e salvò mia cugina. Alle 11 erano arrivati alcuni partigiani che riuscirono a portare al sicuro dei feriti. Noi tre stemmo nel bosco per tre giorni e per tre notti. Mio padre e mio zio furono uccisi tre giorni dopo anch'essi a Casaglia.
[MP]
Note
3