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Schede

Antonio Fiacchi (1842 - 1907) è stata per Bologna una delle figure culturali di rilievo alla fine dell'800. Critico musicale e scrittore, fondatore di giornali quali Il piccolo Faust e Ehi! Ch'al scusa.., è stato il primo autore a rendere 'nobile' il teatro dialettale locale. E' conosciuto anche per avere inventato il Sgner Pirein Sbolenfi, ritratto del tipico popolano bolognese antiquato, semplice e arguto. La sua prima apparizione è del 1881, ma il debutto teatrale è al Contavalli nella "nuovissima bizzarria comico-musicale" del 18 gennaio 1874. Pirein accompagnerà il suo autore lungo tutta la vita, anche dopo il trasferimento a Roma. Questi sarà di ispirazione per la nascita nel 1899 dalla vecchietta chiacchierona Sgnera Cattareina di Alfredo Testoni che diventerà a sua volta l'incarnazione della saggezza popolare felsinea.

Un ampio ritratto di Pirein ci viene consegnato da Mario Sandri: "Fiacchi fu commediografo brillante e rievocatore diligente dei vecchi tempi, ma dove trionfa da gran signore è nel Sgner Pirein, popolarissima, gustosissima macchietta del petroniano che vuol, farla da furbo e regolarmente finisce con lo scorno e le beffe. Pierino Sbolenfi, comico marito di Lucrezia traconda, padre di quell'allampanata Ergia dalla testa colma di reminiscenze delle Scuole Normali, è così tratteggiata dal Fiacchi nel suo ritratto fisico: 'E' un omino sulla sessantina, un pò sofferto, coi baffetti tagliati a spazzola, i capelli grigi, ravviati in modo da nascondere la calvizie. Veste pulitamente, cercando di dissimulare la miseria, un vecchio soprabito nero, pulito, calzoni che lasciano vedere l'impronta dei ginocchi, cappello a cilindro e ombrello sotto il braccio. Ricorda il Ferravilla nel Mester Pastizza'. Di lui, uomo, Fiacchi dice: 'E' un vecchio petroniano di buona famiglia, buono, ingenuo, credulone, che si stima colto e furbo e a cui tutti giocano dei tiri profittando della sua buona fede'. Così creato e fatto stupendamente vivere dalla matita maliziosa di Augusto Majani che cosa ne è del povero Sgner Pirein, affidato all'estro burlone di Fiacchi, scagliato nella vita di tutti i giorni posto a rasentare conturbanti passioni, destinato a vincere insospettate insidie, ad esaudire desideri favolosi, a soddisfare spropositate ambizioni famigliari? Pirein, docile, cerimonioso, rispettoso passa attraverso le avventure più ingegnose, fa tesoro dell'esperienza che esse gli procurano e confida al Sgner Derettòur – senza falsi pudori, senza reticenze servili, senza scollacciature urtanti – ogni suo pensiero, ogni sua deduzione, con quegli effetti di riso che tutti conoscono. Egli è la tipica incarnazione del petroniano schietto, antiquato nei costumi, e nel sentimento, alle prese col tenue bilancio famigliare, in contrasto perenne con la figliuola nubile, svenevole e romantica, con la moglie accomodante, linguacciuta e incresciosa, con i vicini curiosi e maldicenti, con i monelli irriverenti e indocili. Non s'impiccia di politica, il sant'uomo, confonde beatamente partiti e tendenze, osserva bonario e filosofeggia arguto, senza dimenticare - mai - una sua bonomia urbana e ossequiosa che forse è il segreto della sua felice longevità. Nulla di farsesco, nelle sue mille situazioni avventurose, nessun malsano profumo lusingatore là dove il congegno s'ingarbuglia e, talvolta, uno scetticismo amarognolo e una pena pungente dietro la burlesca realtà di una risata casalinga.

La tuba del Sgner Pirein saluta festosamente un'era, il suo sdrucito cappotto intabarra tutto un mondo nel quale scalpitano i cavalli del tram, in cui la maggiore delle delizie è assistere a una partita del Giuoco del Pallone, in cui ci si accapiglia per Gobatti e i suoi 'Goti' in cui i teatri si chiamano Nosadella, Brunetti, e San Gregorio, in cui le belle – profumate sottilmente di Acqua di felsina e grandiose entro le gonne a coulissin – passeggiano languidamente in 'Miola', lanciando occhiate furtive e sorridendo nascostamente dietro i lucenti manicotti. Il clima stesso del Sgner Pirein ha per sfondo Piazza Maggiore e il minuto sussurro del suo mercato, èl canton de l'arloi e al merquel dla benziòn, entro i quali s'innestano certe famose serate casalinghe rallegrate da scelti giuochi a pegni che si chiamano La berlina, Sento mi sento, Uccellin volò volò... Niente di dottorale, di balanzonesco, in questo personaggio prodigiosamente vivo e vero: la sua prudente ghiottoneria si limita ad una cialda lattemiele, a un bicchiere di acqua di limone; la sua ambizione non oltrepassa il Caffè delle Scienze o la saletta vociante del Caffè dell'Arena; la sua proverbiale dabbenaggine gli fa rasentare pericoli e soperchierie con un angelico sorriso; la sua innata comicità riesce a mettere in moto l'impacciato ingranaggio di alcune spente situazioni e l'episodio ironico prorompe ridente, festante, universalmente geniale e, dietro le sue pantofole, c'è tutta una genrazione che cammina, ride e plaude. Egli è comico per istinto senza traboccare, egli è felice nell'idea e nei particolari che l'idea stessa completano, egli è bolognese in ogni sua fibra: cioè smaliziato e osservatore quel tanto che basti ad avvedersi della burla grossolana e a non annusare la raffinata e fa l'occhietto alla tragedia e, con una fregatina di mani, riduce il dramma in commedia. Pirein è l'uomo della lampada a petrolio e della colomba d'alabastro, della campana di vetro e dei fiori di cera, del portaritratti di lana ricamata e del frizzo al grave Consiglio provinciale; non perde mai le staffe anche quando la turba degli schiamazzatori lo stringe da vicino, non dimentica mai le regole del vivere civile anche quando la popolana incolta gli dà palesemente del sempliciotto, additandolo all'umano disprezzo. Serafico, beato, tutto inchini e sorrisi, egli passa altero, soggurdando dall'alto al basso la povera e astiosa umanità.

E' l'epoca delle grandi cantanti per le quali ci si accapiglia e si va in estasi dopo aver lanciati baci, fiori e sonetti struggenti dall'alto dei loggioni; è l'epoca dei lunedì clamorosi all'Arena del Sole, quando il teatro – inondato di luce – in certi pomeriggi d'estate è tutto un bisbiglio commosso di scamiciati facchini della balla grossa, di procaci lavandaie di via del Borgo e di chiacchierine operaie dell'Appalto dei Tabacchi: corsetti attillati e bionde trecce, stivaletti al polpaccio e busti ermetici di stecche di balena contengono a mala pena l'attonita ammirazione di questo uditorio d'eccezione e i vecchi drammi macchinosi incedono come traballanti furgoni da trasporti mentre all'intorno si sgranocchiano brustulli e qualcuno piangendo, si consola con robusti fiaschi di vino casalingo e qualche altro, incantato, è richiamato alla miserabile realtà della vita dal macigno indescrivibile di uno straccaganasse, contro il quale i suoi denti esperti inutilmente si cimentano. Nelle gallerie assiste un pubblico rispettabile di dame e di gentiluomini decisamente baffuti e incravattati, ornati di pallidi cammei, dai larghi colletti aperti e dalle marsine attillate che oggi si lasciano appena scoprire nelle storiche fotografie formato gabinetto e che pure effondono la comica tristezza delle mode destinate a non resuscitar più. In questo mondo compassato e ridente, grave, felice, gioioso e solenne, el Sgner Pirein entra da padrone, sfoggia le risorse più insospettate della sua arguzia, ostenta beato il bernoccolo dell'ultimo parapiglia, sicuro di essere compreso, offre le prove del più recente sopruso e tutti gli si fanno intorno e lo confortano e poi finiscono col ridere, perché nell'impeto dell'evocazione, tentando di ricostruire un episodio, questo personaggio stupendo ha finito con l'abbandonarsi ad uno di quegli sfoghi sconcertanti che segnano l'epoca trionfale della sua inguaribile comicità, della sua mordace ironia, nella quale – solo che si aspetti un istante – sentiremo serpeggiare una vena di poetica malinconia. E la prosa del Sgner Pirein, e i suoi modi di dire e le sue facezie e i suoi motteggi? Chi può aver dimenticata l'ironia atroce di Echi di Carnevale? 'Ma quant mi trovai circondato da sette o otto Turchi, che mi distaccano dal mi creatur e cominciano a dàrum dei soffittoni sul ginnasio e a strappàrum vi la capparèlla, che a j aveva tgnò sòtta èl oaltunzèin che porto per la magione, un puctein lèis negli avambracci, e con degli intoppi di stoffa diversa, opera dla mi Lucrezia, che è una donna tutta di casa, ah quando mi si scoperchiano in tal mod i rappezzamenti di una famiglia che vuol sostenersi nel decoro esteriore in mezz a un Pavajòn, che scusi sgner Derettòur, se lui la prende in ridere bisògna ch'al sia un gran àsen...'

Pirein trabocca sempre di risorse verbali, di fantasie gioconde e le situazioni nelle quali si dibatte – povero pesce fuor d'acqua – hanno costantemente una giocosa e bonaria parvenza di realtà. Soprattutto, in tanti anni di onesta ironia, egli è riuscito a non ingenerare neppure un attimo di giustificabile stanchezza perché è un buono, caro, sincero, un caro personaggio borghese, come era buono, caro e sincero colui che – in un felice istante – gli ha data giocondamente la vita. Egli è passato ridendo di un riso modesto e sincero e ha insegnato agli uomini la dolcezza dell'ironia, la garbata malizia, l'inoffensiva allegrezza".