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don Dario Zanini, parroco di Sasso Marconi

Schede

Lasciata la famiglia a S. Martino nella canonica piena di sfollati e di rifugiati, d. Ubaldo si diresse lestamente sulla dorsale per Caprara quando già si avvertiva qua e là il crepitare di armi; mentre procedeva cominciò ad avvistare l'incendio dei casolari, finché tutta la montagna, avvolta nella nebbia brumosa, sotto il cielo piovigginoso di quel pigro mattino, divenne un inferno. Giunto a Casaglia si rese conto che il pericolo si faceva più grave e che la morsa si andava stringendo; non conveniva quindi proseguire oltre. D'altra parte la gente che si andava ammassando in chiesa non l'avrebbe lasciato andare. Mentre altre persone continuavano ad affluire, d. Ubaldo suggerì ai pochi uomini presenti di andarsi a cercare un nascondiglio nei boschi, poi iniziò la recita del Rosario. La preghiera durò a lungo, quasi un'ora dall'arrivo dei primi. Le buone donne rimaste accanto ai bambini, rispondevano alle orazioni con qualche difficoltà, perché un nodo d'angoscia saliva alla gola e nella preghiera. Lucia Sabbioni lasciò la chiesa e passò in canonica a scrutare dalle finestre aperte sulla Val di Setta e vide i soldati salire dal Casoncello attraverso i campi: una decina, verso le 9, dice la Ruggeri. Alcuni rimasero di guardia all'esterno, due entrarono in chiesa, con atteggiamento spavaldo. Nella confusione che ne seguì, o pochi istanti prima, alcuni riuscirono a fuggire attraverso la sagrestia: Elena Ruggeri, lo zio Giulio, la zia Maria coi figli Giorgio e Dario e il marito Augusto Menarini (questa famiglia abitava a Rioveggio ed era sfollata presso i parenti alla Pudella da dove proveniva, tanto che noi, prima di conoscere il nome di Augusto, l'avevamo ribattezzato "Pudela", e tale rimase). Questi si misero in salvo, chi in direzione di Monte Sole, chi scendendo dietro la canonica, dentro il fosso. I tedeschi spararono verso di loro alcune fucilate senza colpirli. La madre dell'Elena, Maria Assunta Rocca detta Teresa, corse sul sagrato e si diede a chiamare la figlia ad alta voce, disperatamente, temendo di vederla stramazzare a terra. Invece i tedeschi uccisero lei, la madre, lungo il declivio che scendeva nei campi, poco oltre la casa dell'Artemisia, che era di fianco alla canonica.
I soldati che erano entrati in chiesa si misero subito a discutere col prete, che si esprimeva stentatamente con qualche parola in tedesco e un po' meglio in francese: un dialogo concitato, difficile, incomprensibile. La gente, in preda al panico, gridava, piangeva, pregava, mentre il buon sacerdote continuava a discutere con i soldati, a intercedere per la sua gente, a difenderla. I tedeschi avevano fretta, troncarono l'affannosa conversazione e cominciarono a far uscire le persone. In chiesa c'era una povera ragazza paralizzata, Vittoria Nanni, sfollata dalla casa America; non poteva camminare speditamente, girava appoggiata a una sedia; i soldati la uccisero lì. Nel campanile trovarono un uomo, Giovanni Betti, e gli fecero fare la stessa fine. Non scoprirono Giuseppe Ventura, sfollato da Vado, che si salvò nascosto in cima al campanile, sopra le campane. Si salvò anche Giuseppe Ansaloni, fratello del defunto parroco d. Sebastiano, nascosto nella soffitta della canonica; sua moglie, Enrica Marescalchi, invece, venne uccisa col Betti nel campanile. Tutti gli altri furono spinti fuori: d. Ubaldo, per ordine dei tedeschi ma senza la loro scorta, li stava guidando verso Dizzola, proprio come un pastore guida il suo gregge, avvilito e rassegnato: alcuni piangevano e gridavano disperatamente. Li udirono Attilio Ruggeri, nascosto fra Pudella e Casetta, Giuseppe Ventura, Adelmo Benini e quelli che erano su Monte Sole. "Il parroco", dice Cornelia Paselli, "si era incamminato con tutti noi in fila. Giunti vicino al cimitero, al bivio per Dizzola, dove ci volevano accompagnare, incontrammo un'altra squadra di tedeschi con un ufficiale, il quale ci fermò, poi diede l'ordine di abbattere il cancello del cimitero e mise un soldato di guardia con una mitragliatrice vicino a noi. Presero il parroco e lo portarono via. Aspettammo quasi mezz'ora. Pioveva".
La testimonianza è confermata da un'altra sopravvissuta, Lucia Sabbioni: "mentre la folta colonna di disperati scendeva di fianco al cimitero per la via di Cerpiano, per essere condotta forse a Vado e poi deportata, risaliva da Cerpiano un altro gruppetto di tedeschi (sette-otto) guidato da un comandante infuriato (per quello che era accaduto alle Scope?), il quale fece fermare i civili, si consultò coi colleghi, prese le sue decisioni e diede ordini, facendo retrocedere i civili nel cimitero, il parroco in chiesa (…). Riprendiamo il racconto della superstite Cornelia Paselli: "Aspettammo lì vicino al cimitero quasi mezz'ora. Pioveva. Arrivò un altro soldato, parlò in tedesco e ci disse: "Raus, raus!". Io feci conto di non capire e chiesi: "Che cosa?". E lui: "Avanti, avanti!". Ci spinsero dentro il cimitero: un tedesco era vicino a noi, un altro sul cancello. Ci misero dentro, tutti ammassati vicino alla cappella. Eravamo quasi un centinaio di persone: tutti piangevano, urlavano, disperati, soprattutto i bambini. Una signora voleva fuggire e disse: "Lasciatemi andare da mia figlia". Tentò di varcare il cancello e fu uccisa subito. Allora buttarono una bomba a mano, cominciando il massacro. Io mi trovavo all'esterno del gruppo e volevo spostarmi nel centro, per potermi salvare mettendomi sotto gli altri; lo spostamento d'aria provocato dalla bomba a mano mi scaraventò proprio al centro di tutte quelle persone. Poi la mitragliatrice che avevano già caricato si mise a sparare nel gruppo e cominciarono a cadere i morti. Io rimasi con la testa in giù e le gambe in alto, sotto i cadaveri, e udivo ancora urla di dolore e di disperazione. A un tratto sentii un gran caldo: era sangue di feriti che mi scorreva addosso; mi spaventai tanto che svenni. Rimasi così per molto tempo".
(…) Elsa Tugnoli racconta la sua storia: "Mi presero i tedeschi e mi portarono nella chiesa di Casaglia. Fui spinta dai fucili con gli altri fino al cimitero. Rimasi viva fra i cadaveri. Provai ad alzarmi, ma c'erano ancora i tedeschi. Mi nascosi fra i morti. Poi mi rialzai perché una bambina di 5 anni, Luciana Sammarchi, chiamava. Avevo i capelli intrisi di sangue e di brandelli di carne degli uccisi; anche il muro esterno della chiesina del cimitero era tutto sporco di sangue e di pezzi di carne e di cervella. Cioni, un pastore di Vidiciatico, mi aveva riconosciuta da Monte Sole in mezzo al cimitero. Scesi verso Gardelletta accompagnando Luciana e Lucia Sabbioni ferite. Tre tedeschi ci ripresero; io facevo piangere la piccola Luciana per impietosirli e ci rilasciarono. Clara Fanti mi lavò la testa. Sono stata per un anno come fuori di senno".
(…) Nel cimitero di Casaglia c'era ancora qualche persona in vita, compresa Angiolina Mazzanti; sua figlia Cornelia Paselli così conclude il suo racconto: "Sentii che mia madre mi chiamava: Cornelia, sei ancora viva? Capii che stavo riprendendo i sensi e le dissi: stai zitta, mamma, altrimenti ci sentono e ci ammazzano del tutto. Rimasi ancora lì. Qualcuno gridava, chiedeva aiuto, ma nessuno poteva fare niente. I tedeschi se ne erano andati. Mi alzai pian piano raccolsi qualche ferito e lo adagiai vicino al muretto. Mia madre aveva le gambe spezzate dalla mitraglia, mia sorella diceva che era ferita. Scappai via per cercare soccorso, ma nella fuga trovavo solo morti. Rimasi in giro due giorni, disperata, senza incontrare nessuno. I miei fratellini morirono subito, mia madre dopo due giorni; mia sorella invece si salvò. La storia di Monte Sole è questa: nessuno ci ha difesi; lì c'erano solo due tedeschi ma nessuno è venuto in nostro aiuto".
(…) Il 30 settembre, prima del mattino, Attilio Ruggeri andò al cimitero, si caricò sulle spalle la nipote Elide che era ancora là, ferita tra i morti, e la portò alla Pudella. C'erano altri feriti nel cimitero, e Attilio ritornò a soccorrerli, portando alla Pudella anche Angiolina Mazzanti, Cecilia Paselli e Vincenzo Soldati, i quali furono ricoverati nella stalla e adagiati sulla paglia; Cecilia e Giuseppina morirono il giorno dopo, Vincenzo il 6 ottobre. Nel cimitero di Casaglia Lidia Pirini, con un proiettile conficcato nella coscia destra, non era stata soccorsa; alla sera del secondo giorno decise di scendere lentamente verso Cerpiano. Vittorio Tonelli, il bambino che voleva rimanere coi fratellini uccisi, lasciò anche lui il cimitero e si avviò verso Vado ma fu raggiunto da una cannonata che lo riportò in seno alla sua numerosa famiglia distrutta.

Dario Zanini, "Marzabotto e dintorni 1944", Ponte Nuovo editore, Bologna, 1996
[MD]

Note

7