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don Dario Zanini, parroco di Sasso Marconi

Schede

(…) al tempo della guerra a Caprara ci stavano tredici famiglie, suddivise fra Caprara di Sopra e Caprara di Sotto. Sopra: due contadini e sei pigionanti, fra i quali Migliori, Moschetti, Calzolari, Ventura e l'oste Massa. Sotto: due contadini e tre pigionanti.
Diceva Angelo Bertuzzi che il proprietario di tutto quel borgo, il marchese Beccaddelli, in quegli anni stava allontanando con l'escomio tutte le famiglie coloniche; ma nell'osteria di Massa, la domenica dopo Messa, quei contadini continuavano a incontrarsi per giocare a briscola, e l'allegria, suscitata dal vino che abbondava sui tavoli, si protraeva fino alla tarda sera.
Il racconto dei superstiti sui fatti bellici di Caprara è il più confuso e quindi il più difficile da ricostruire. Sul Monte Caprara, proprio sopra l'antico borgo, si era ritirata lestamente alle prime ore del 29 settembre la compagnia dei prigionieri russi che era di stanza al Poggio di Casaglia; li guidava il comandante Karaton, figura mitica nel ricordo dei partigiani, gigante dal volto devastato da bruciature, uomo determinato nelle azioni; era lui che sollevava i timidi dall'imbarazzo di eliminare manualmente i tedeschi catturati nelle imboscate.
Avvicinandosi a Caprara, come a Casaglia, a S. Giovanni e altrove, i tedeschi non videro neanche un partigiano armato, quindi non incontrarono resistenza: vi giunsero il 29 settembre poco dopo mezzogiorno, provenienti a gruppi da due direzioni opposte: dalla valle del Reno quelli del 105 reggim. Flak, che incontrarono nel bosco la famiglia Tondi di Castellino e la sterminarono (8 persone); dalla valle del Setta una compagnia del 16° battaglione di Reder. Radunate dalle case e da un rifugio e rinchiuse in cucina, 35 persone furono uccise col lancio di bombe a mano, abitavano a Caprara o vi erano sfollate da fuori, come le famiglie Astrali e Iubini che provenivano da Villa d'Ignano. La cucina era quella di Dario Carboni, mi disse Bertuzzi, ed occupava l'area di Caprara di Sopra dove ora i superstiti delle famiglie Astrali (due ragazze salve sotto i cadaveri) e Iubini hanno posto con amore, fra i detriti, due piccole croci circondate da piante e fiori. Con loro si salvarono Gilberto Fabbri, Maria Collina e altri.
Guerrino Avoni, dal suo naturale osservatorio di Monte Sole, fu spettatore anche dei fatti di Caprara: "Potei col binocolo seguire i nazifascisti nella loro opera di distruzione in Caprara. Vidi cinque nazisti trascinarsi dietro sedici donne legate l'una all'altra con un grosso cavo; una stingeva al petto un bimbo di pochi mesi: anche in questo caso provammo a intervenire e sparare, ma senza possibilità di potare un aiuto valido. Era per noi straziante assistere a fatti simili, impotenti ad intervenire, e tale visione terribile era più debilitante che il fuoco del nemico. Seguendo col binocolo, vidi che trascinavano le donne dentro la casa di Caprara e poi vidi lanciare le bombe a bastone e piazzare la mitraglia attraverso la porta".
Di fronte a questa dichiarazione, si rinnova l'interrogativo sui motivi che trattennero i partigiani, numerosi su Monte Sole e su Monte Caprara, dall'intervenire contro i cinque soli soldati tedeschi, per difendere la popolazione civile a cui avevano più volte assicurato tutela e protezione. I partigiani erano fuggiti in ogni direzione. Un contadino diceva: "Sono loro quelli che ci hanno detto di venire su, così avrebbero potuto proteggerci, e ora invece ci abbandonano in mano ai tedeschi".
Dalla strage di Caprara fu risparmiato o riuscì a salvarsi un numero imprecisato, ma non esiguo, di persone. Non si conosce il motivo, rimane un mistero.
Ma nemmeno alcuni di quelli che riuscirono a scappare furono fortunati. Ida Santi fuggì in tempo e raggiunse S. Giovanni, dove con tre figlioletti subì la medesima sorte di quelli di Caprara. Vittorina Ventura riuscì a scappare calandosi da una finestra e si recò a S. Martino, dove fu uccisa con altri il giorno dopo. Armando Moschetti era guardiacaccia: la sua perizia lo aiutò a salvarsi nascosto dentro la tana delle volpi. Ma Costanzina Magnani, madre di Vittorina, e tre nipotini di Moschetti, Bruna, Pia e Mario, sfuggiti alla caccia dei soldati e nascosti dentro una fornace da calce in disuso, furono mortalmente colpiti dall'esplosione di una granata caduta all'imbocco della fornace.
(…) I soldati saliti da Sperticano raggiunsero Caprara e parteciparono a quella strage con gli altri saliti dal Setta. Ma prima, lungo il tragitto, uccisero la famiglia Tondi, di Castellino, che aveva lasciato la casa in cerca di un rifugio più sicuro, su nove componenti, si salvò soltanto il padre, perché si era nascosto nel fosso di Campedello. Egli raccontava che i suoi cari, moglie e sette figli in età fra i 17 e i 3 anni, erano stati sterminati nel bosco. Furono sepolti fra le vittime di Caprara.

Dario Zanini, "Marzabotto e dintorni 1944", Ponte Nuovo editore, Bologna, 1996
[MD]
Note
9