Dante e Pier da Medicina

Dante e Pier da Medicina

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Scheda

Una genealogia sicura del ‘Piero’ citato dall’Alighieri e della famiglia da Medicina in generale non può essere costruita sulla base dei pochi e frammentari documenti rinvenuti fino ad oggi. Le indagini storiche al riguardo si possono sintetizzare in due distinti filoni. Il primo è legato alla figura del personaggio Piero che si presenta a Dante nel canto XXVIII dell’Inferno: tutti i commentatori della Divina Commedia accettano sostanzialmente quanto scrive Benvenuto Rambaldi da Imola, secondo il quale il Poeta conobbe Piero nella corte di Medicina quando fu ospite della sua nobile e potente famiglia che governava il paese. Riguardo la famiglia di Piero, Benvenuto da Imola scrive nel suo commento – datato intorno agli anni ‘80 del Trecento – che attualmente a Medicina di quel casato non risiede più nessuno. Il secondo filone è quello percorso dagli storici bolognesi, classici e moderni, che trattano delle famiglie presenti nella vita pubblica della città. Da vari documenti (soprattutto del secolo XII e del successivo) appare evidente che i da Medicina risultano ben radicati in Bologna, presenti in posizione di rilievo in diversi settori ma anche collegati, e spesso imparentati, con nobili famiglie della Romagna. Si sa che Guido da Medicina, padre di Piero, aveva sposato Adelasia, nipote di Guido da Polenta di Ravenna; sempre a Ravenna il canonico Alberico di Guido da Medicina, fratello quindi di Piero, è nominato cardinale (antico titolo riservato ai canonici della Metropolitana ravennate) di quella Chiesa. Il personaggio più noto e documentato del casato, oggetto di approfonditi studi anche recenti, risulta essere il giureconsulto Pillio da Medicina, glossatore formatosi a Bologna e autore di opere giuridiche di prestigio, autorevole docente all’Università di Modena, attivo tra il 1169 e il 1222. Nello studio (1990) del medicinese A. Adversi: Pier da Medicina e i “due miglior da Fano” nell’inferno dantesco, si incontra una serie di personaggi appartenenti al diramato ceppo da Medicina, che se da un lato dimostra l’importanza assunta dai suoi membri in svariati ruoli, a Bologna e all’esterno, dall’altro - per la frequente omonimia riscontrata – rendono difficoltoso, individuare tra i diversi Petrus e Petriciolus, più o meno coevi e titolari di importanti incarichi in città e fuori, quale possa essere con sicurezza documentaria il famigerato Piero citato da Dante. Riguardo a Petricciolo sono riportati alcuni atti notarili che documentano alienazioni di immobili, tra i quali una torre, posti in prossimità di Porta Ravegnana. Nei primi due atti al nome Petricciolo segue il da Medicina; nell’atto rogato il 12 luglio 1290 si legge accanto al nome di battesimo, non da Medicina, ma de Blanchucijs: questo ‘cognome’ aggiunto potrebbe essere una connotazione, o un’acquisizione, assunta da questo ramo della famiglia da Medicina, per distinguersi da altri rami presenti in Bologna.

Parte della famiglia, pur conservando ancora per qualche tempo beni nella terra d’origine, a motivo del distinto livello sociale ed economico raggiunto, stabilisce la residenza in Bologna; altri rami trasferiscono altrove la propria attività a seconda degli incarichi e delle professioni svolte. Diversi storici individuano altri componenti della famiglia vissuti in epoche successive a quella del Piero dantesco. Nel secolo XIV viene ricordato un Giacomo nobile bolognese che fu anche capitano veneziano. A Bologna sono documentati in atti pubblici: Francesco di maestro Guglielmo, Andrea di Corradino, Matteo del fu Iacopo anziano e console di Bologna, Gerardo Gandolfino medico. Nel secolo XV si trova Cola (Nicola), anche questi capitano di Bartolomeo Colleoni ed ancora, come capitano di Giovanni I Bentivoglio, un Raffaele. Infine Gaspare e Taddeo, combatterono a Bologna in un torneo. Testimonianza di come in Bologna la famiglia Medicina – come ormai viene identificata in secoli più vicini - ancora nel secolo XVIII sia presente e ben inserita nel contesto cittadino è la collocazione del suo stemma gentilizio tra le famiglie nobili nel grande blasonario miniato del Canetoli. La figura araldica che contrassegna il casato è una ‘branca’ (una zampa di animale munita di artigli) su sfondo azzurro. Il significato ‘programmatico’ espresso dall’emblema adottato dagli antichi capostipiti della famiglia (tra l’altro la pezza araldica è di ascendenza ghibellina) può chiarire forse quale fosse il temperamento di fondo dei discendenti del ben noto Piero, seminatore di divisioni e discordie e parente di soggetti non di rado turbolenti. Da alcuni secoli rami del ceppo Medicina non sono documentati nel Bolognese; A. Adversi rinvenne (1990) negli elenchi telefonici di Milano alcuni abbonati con il cognome Medicina. Anche in vista di questa mostra una ricerca su internet ha dato risultati abbastanza sorprendenti: in Emilia-Romagna soltanto nella provincia di Modena sono accertati almeno cinque individui con tale cognome; altrettanti vengono segnalati in alcune province della Lombardia e del Piemonte, ma soprattutto in Liguria – e in particolare nel Genovese – esistono tuttora oltre un centinaio di cittadini con il cognome Medicina. Interessante la loro presenza, limitata, nel Lazio, e in numero più consistente in Sicilia, nella provincia di Enna.

La torre dei Da Medicina nella Bologna medievale

Nella Bologna medievale dalle cento torri anche i da Medicina, per un certo tempo ne possedettero una: simbolo della buona posizione economica e sociale goduta nel contesto cittadino. Dall’indagine di Giovanni Gozzadini, pubblicata nel 1875 col titolo Delle torri gentilizie di Bologna e delle famiglie alle quali prima appartennero, apprendiamo che Princivalle di Petrizzolo da Medicina, nel 1290 acquista dai fratelli Guidotto e Guglielmo Prendiparte una casa detta nuova e una torre poste presso l’attuale chiesa di S. Bartolomeo di Porta Ravegnana, vicino alle torri Asinelli e Garisenda. Sulla base dei documenti pubblicati dal Gozzadini, un appassionato cultore bolognese di costruzioni medievali, Angelo Finelli, negli anni ‘20 del Novecento, dopo un lungo lavoro di ricognizione, realizzò un grande plastico della Bologna medievale in cui venivano concentrate dentro la cinta muraria ‘del Mille’ tutte le torri da lui individuate. Nel 1929 l’abilissimo costruttore del plastico ne diffuse le fotografie nella pubblicazione Bologna ai tempi che vi soggiornò Dante, secolo XIII - Aspetto della città con le 180 torri gentilizie allora esistenti. Le molte fotografie (riprese da diverse angolazioni su sfondo dipinto) presentano tutte le torri con i nomi delle rispettive famiglie titolari. La torre dei da Medicina (da lungo tempo scomparsa), figura in diverse immagini, sempre prossima alle due più famose torri. L’attendibilità dell’opera del Finelli non è rigorosa: studi più recenti di Mario Fanti dimostrano come le torri non fossero 180 ma poco più della metà, molte torri infatti - compresa quella dei da Medicina - passarono in proprietà a nuovi acquirenti in tempi diversi: una stessa torre, quindi, si può trovare attribuita a diversi casati.

Pier da Medicina nelle immagini

Le immagini miniate ebbero uno spazio importante già nelle copie manoscritte della Commedia, redatte nei primi decenni successivi alla morte di Dante, nel presentare l’immenso ‘affresco’ che Dante aveva concepito nel suo viaggio nell’oltretomba. Situazioni e personaggi disseminati nel percorso allegorico, e tragico nella cantica dell’Inferno soprattutto, costituirono uno stimolo straordinario all’immaginazione degli artisti e dei lettori. A seguito dell’invenzione della stampa, alle raffigurazioni miniate si aggiunsero illustrazioni incise, dapprima con schematiche silografie; via via che la tecnica grafica si perfezionava, nel tardo Ottocento si giunse ai celebri effetti chiaroscurali ed evocativi di Gustave Doré. La figura di Pier da Medicina è presente e sempre individuabile tra i compagni di pena: è riconoscibile per le mutilazioni infertegli dalla spada al naso, alla gola e all’orecchio secondo la dettagliata descrizione dantesca. In altre immagini invece Piero si identifica per il gesto crudele che egli compie sul dannato che lo segue. Infatti dopo avere predetto a Dante il tradimento e l’uccisione dei due miglior da Fano ad opera del tiranno di Rimini, terra che il dannato a lui vicino non vorrebbe mai avere veduto, Pier da Medicina è incalzato dal Poeta a dire il nome del compagno di pena al quale è amaro essere stato a Rimini. Per tutta risposta Piero afferra e apre la mascella del vicino. Il dannato, a cui nel girone dei fautori di divisioni è stata tagliata la lingua e al quale Piero la bocca... aperse, è Caio Curione, il tribuno della plebe che convinse Giulio Cesare a passare il Rubicone, presso Rimini, ribellandosi così al senato e innescando la guerra civile che insanguinò Roma. Le tante immagini che gli illustratori dell’Inferno propongono di Pier da Medicina presentano dunque due aspetti contrapposti del personaggio così come viene tratteggiato da Dante. Prima il Piero, mutilato dalla pena ma quasi commosso nel riconoscere il Poeta, suo ospite in su terra latina, che si mostra desideroso di essere ricordato quando Dante ritornerà a veder lo dolce piano, e si premura di fare avvisare Guido e Angiolello del tradimento che li aspetta, poi prende il sopravvento il Piero crudele nell’atto di compiere su Curione il gesto maligno che viene spesso raffigurato. Per la prima volta sono stati presentati in pubblico disegni realizzati dal medicinese Aldo Adversi che, come pochi sanno, ha coltivato in privato l’arte del disegno. Le opere riguardanti Pier da Medicina, realizzate utilizzando il pastello, a volte insieme al pennarello, più che illustrazioni da utilizzare per eventuali pubblicazioni, sembrano una sorta di personale commento figurativo al percorso narrativo e poetico del testo dantesco. I disegni dedicati a Pier da Medicina provenivano dalle raccolte di manoscritti donate dallo stesso Adversi al Centro Dantesco di Ravenna e alla Biblioteca Civica di Medicina.

Le immagini di Dante nell'arte

Le immagini che ritraggono il Sommo Poeta o che sono dedicate al suo poema sono numerosissime dal secolo XIV ad oggi. I ritratti più antichi – se non i primi – sono quelli trecenteschi dipinti ad affresco in un contesto iconografico di ampia dimensione: il primo è di Giotto – contemporaneo di Dante – e si trova a Firenze nella cappella della Maddalena del Bargello: qui il Poeta figura tra gli eletti di un Giudizio universale, in un affresco eseguito intorno al 1337. Il secondo (un affresco di scuola riminese del ‘300) si vedeva a Ravenna – prima dei bombardamenti della seconda guerra mondiale – nella chiesa di S. Maria in Porto Fuori e, secondo la tradizione, raffigurava Dante che conversa con Guido Novello da Polenta. Un secondo, supposto, ritratto di Dante a Ravenna, pure di scuola riminese del ‘300, si trovava nella chiesa ‘dantesca’ di S. Francesco. Purtroppo di queste ultime immagini restano soltanto alcune vecchie fotografie. Singolarmente i ritratti ravennati presentano Dante con la barba: tutti gli altri, compreso quello eseguito da Giotto, mostrano il Poeta sbarbato, contrariamente alla descrizione fisica di Giovanni Boccaccio, fiorentino, di poco posteriore all’autore della Commedia, che nel suo Trattatello in onore di Dante della metà del ‘300, così scrive: ...il suo volto fu lungo, il naso aquilino, occhi anzi grossi che piccoli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato: il colore era bruno, i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso... Nonostante che gli umanisti preferissero la raffinata poesia del Petrarca a quella di Dante, ritenuta espressione di un’età passionale e eccessivamente dottrinale, nei secoli XV e XVI il culto dell’Alighieri, come altissima espressione di cultura e di speculazione cristiana, non venne mai meno in particolare nell’arte figurativa. Sono noti i volti di Dante interpretati da Sandro Botticelli, da Pedro Berruguete, da Luca Signorelli, da Domenico di Michelino e più tardi da Raffaello (che lo ritrae due volte nelle stanze vaticane di Giulio II) e dal Taddeo Zuccari. Nei due secoli dell’esuberanza poetica del barocco, Dante e la Divina Commedia restarono più in ombra; fu l’Ottocento romantico a riscoprirne, insieme con la civiltà e l’arte medievale - ritenute dal classicismo precedente ‘barbare’ – la straordinaria grandezza poetica. Con le numerosissime riedizioni del poema, ricche di illustrazioni, si moltiplicano le rappresentazioni pittoriche e scultoree dedicate a Dante, alla sua vita e alla sua poesia.

Scrittori medicinesi su Pier da Medicina

Lo storico medicinese Giuseppe Simoni, nella sua Cronistoria del Comune di Medicina (1880), a proposito di Piero e della famiglia da Medicina, dapprima richiama le note manoscritte che Domenico Belletti, a metà del sec. XIX, aveva redatto riguardo la famiglia da Medicina, poi riporta altre notizie che il cronista medicinese Evangelista Gasperini aveva a sua volta tratto dalle opere degli storici bolognesi Savioli, Ghirardacci e Gozzadini. Il Simoni riporta le diverse denominazioni della famiglia di Piero: Biancuzzi, Cattanei e da Medicina, tralasciando il particolare che il Belletti, nella serie dei ‘blasoni’ delle antiche famiglie medicinesi, quando tratta dei da Medicina elenca solo alcuni personaggi, tra i quali Piero, senza accennare allo stemma del casato mentre descrive quello relativo al cognome Biancucci o Biancuzzi, al quale però non ascrive alcun personaggio né di Medicina né di Bologna. Inoltre nella sua Cronistoria il Simoni riporta una breve composizione in versi dedicata a Pier da Medicina dall’amico e conterraneo Casimiro Bonfiglioli. Il sonetto doveva essere inserito, ma poi non lo fu, in un’opera di vaste dimensioni che l’autore pubblicò nel 1888 con il significativo titolo Lo spiritismo nella umanità. L’ampio lavoro, come scrive Adversi, che lo ha letto e esaminato, è composto di testi dichiarati tutti dettati medianicamente (e talvolta incompleti), con interventi di personaggi storici fra i più famosi, antichi e recenti, e con l’evidente intenzione di fare una specie d’aggiornamento della Commedia di Dante, che in qualche modo cerca di imitare, e precisando in premessa: tutto ciò che si leggerà non è che poca parte di quanto a noi venne, pel sublime dono, dalla eternità manifestato. Nonostante l’ispirazione ‘soprannaturale’ il sonetto non aggiunge nulla di nuovo alle notizie già in possesso degli studiosi su Pier da Medicina. Certamente il noto interesse di Aldo Adversi per Pier da Medicina fu facilitato dalla professione di bibliotecario e di ricercatore attivo a Bologna e nelle Marche, dove lo storico personaggio dantesco lasciò tracce di sé ma ovviamente pesano anche le origini medicinesi: era nato infatti nel 1927 nella ‘matildica’ Villa Fontana. Oltre al già citato studio Pier da Medicina e i “due miglior da Fano” nell’Inferno dantesco, pubblicato a Fano in “Studia Picena” (1990) si deve ad A. Adversi anche un esteso lavoro inedito dedicato alla Divina Commedia e in particolare a Pier da Medicina. Concludiamo riportandone un significativo brano: “Il Piero da Medicina che Dante pose all’”Inferno” perché seminatore di discordie, era figlio di una Polentana, fra i propri fratelli aveva un “cardinale” della Chiesa di Ravenna e due capitani che erano stati alleati di quel Venedico Caccianemici che pure era stato posto all’“Inferno” e col quale anche suo padre aveva avuto benevolenza; ma è stato documentato solo come testimone, anche in questione riguardante i Lambertazzi (1276). I contemporanei di Dante hanno scritto che (Piero) era un capitano, e per interesse proprio aveva suscitato contese entro Bologna e nel suo contado, fra i tiranni della Romagna e delle Marche, in particolare fra i Malatesta ed i Polentani, e parteggiando anche con gli Estensi. C’è chi scrive che facesse ciò, intendendo mantenere potere e indipendenza a Medicina, comunque sempre nell’ombra, cosicché ben poco è rimasto documentato e certo. Non figurò neppure fra i da Medicina che nel 1283 vennero banditi da Bologna e nel 1292 vennero processati perché detentori di beni dei Lambertazzi. Dante stesso scrive comunque che l’aveva conosciuto su in “terra latina” – quindi probabilmente nel 1287 quando fu nel Bolognese –, e Benvenuto da Imola narrò che ne giudicò la corte la più bella della Romagna, ma con troppo disordine. Altri narrano che, scacciato da Bologna, abbia risieduto a lungo in Fano, e ciò spiegherebbe il suo interesse per Guido e Angiolello, i “due miglior da Fano”, secondo lo stesso Dante, che del resto in argomento ci ha lasciato il testo più lungo e dettagliato nel citato “Inferno”.

Nel settembre 2006 Medicina ha dedicato gli appuntamenti di maggior rilievo culturale al mitico personaggio che Dante Alighieri cita nel canto XXVIII dell’Inferno: Pier da Medicina. Ad una figura che ha reso nota la Terra di Medicina nel mondo tra i lettori e gli studiosi della Divina Commedia non era mai stato dedicato un momento ufficiale ed esclusivo di attenzione e di approfondimento come meritava la complessa, interrogativa e torbida personalità che ci viene presentata da Dante. Tutti i commentatori della Divina Commedia avevano cercato di individuare riscontri attendibili per dare consistenza storica a questo personaggio: i suoi rapporti con Medicina, il ruolo politico svolto presso le litigiose corti tra Bologna, Romagna e Marche e se Dante effettivamente lo conobbe di persona, come alcuni hanno sostenuto, o solo per “fama”; infine se il marchio di “seminatore di discordie” abbia radici obiettive oppure inquinate da fonti alimentate da probabili opposti schieramenti. Tutti questi quesiti erano stati affrontati con vera passione di ricercatore da Aldo Adversi che, tra l’altro, aveva accompagnato le ricerche ad una serie di opere pittoriche dedicate alla Divina Commedia e in particolare a Pier da Medicina: un omaggio ad Aldo Adversi era quindi doveroso in questa occasione. Se la mostra, “DANTE E PIER DA MEDICINA: STORIA E IMMAGINI”, allestita al Carmine, grazie anche alla collaborazione del Centro Dantesco di Ravenna, aveva come obiettivo esporre immagini antiche e moderne di Piero, di Dante e dei loro percorsi, il convegno di studi “DANTE, PIER DA MEDICINA E IL LORO TEMPO” grazie ai relatori, ha fornito nuovi elementi per conoscere qualcosa di più solido sullo scenario complessivo in cui Dante e Pier da Medicina hanno operato in questa nostra regione. Come è ormai consuetudine della redazione di BRODO DI SERPE si fornisce una sintesi degli argomenti trattati perché ne resti una traccia utile per chi ne volesse ripercorrere i principali contenuti e perché rimanga memoria dell’interesse che Medicina ha manifestato ad una celebre sconosciuta personalità legata alla sua storia e al suo nome.

Finalità del convegno – che insieme alla mostra costituisce la prima manifestazione pubblica a Medicina dedicata a Pier da Medicina – è quella di aggiungere qualche tassello in più alla conoscenza di due importanti contesti storico-politici del tempo, Bologna e la Romagna, per consentire di comprendere meglio il diffuso, concitato clima in cui visse, si addentrò - e certamente ne venne travolto - Pier da Medicina, analogamente a quanto avvenne per lo stesso Dante Alighieri nella Firenze dell’ultimo Duecento. Anche se i relatori, qualificati studiosi e specialisti difficilmente porteranno risolutivi contributi per definire il vissuto e la personalità di Piero, l’incontro è sicuramente un’occasione importante per avvicinarci con maggiori strumenti al mondo medievale, feroce, passionale e nel contempo umanissimo che permea il brano del canto XXVIII (vv. 64-102, Cerchio VIII - Malebolge, 9° Bolgia, Fraudolenti in chi non si fida: seminatori di discordie e di scismi) riferito a Pier da Medicina e che ancora affascina. La presentazione dei coinvolgenti versi danteschi, il penetrare nella loro variegata forma espressiva, aderente ai mutevoli moti interiori di Piero e la lectura Dantis che conclude il convegno, rappresentano una ulteriore occasione di arricchimento culturale non soltanto per chi, come gli studenti, ha iniziato ad amare la grande poesia dell’Alighieri e per chi già la frequenta, ma anche per i cittadini di questa terra che, sia pure grazie a un peccatore, è conosciuta ovunque venga letta la Divina Commedia.

Nell’immaginario percorso allegorico dantesco attraverso i tre regni dell’oltretomba per ritrovare la retta via che conduce a Dio, il Poeta figura di incontrare un personaggio che dichiara di averlo visto nella sua vita terrena. La situazione e le condizioni dell’interlocutore di Dante non sono onorevoli: il luogo è nel profondo dell’Inferno; la pena che colpisce il peccatore e i suoi compagni è tra le più atroci: la continua lacerazione delle membra perché – per la legge del contrappasso – la colpa commessa in vita era stata quella di avere operato divisioni, di avere seminato discordie e contrasti tra persone o nella società. L’anima dannata si rivolge a Dante presentandosi con le accorate e nostalgiche parole del celebre passo della Divina Commedia. Il dannato, consapevole che Dante si trova, vivo, in quel girone infernale, e per volere divino soltanto in transito, essendo quasi sicuro di averlo incontrato durante la sua vita terrena in suolo italiano, si raccomanda di ricordarsi di lui, Piero da Medicina, se mai il Poeta farà ritorno nella sua terra, posta nella dolce, declinante pianura che, distesa dal Piemonte al Mare Adriatico da Vercelli a Marcabò dichina. Se Pier da Medicina non fosse stato ricordato da Dante nell’Inferno, e in maniera tanto ampia e puntuale, certamente di lui non sarebbe rimasta memoria se non nelle scarse tracce documentarie di esponenti della sua famiglia, presenti in posizione emergente a Medicina e soprattutto a Bologna tra i secoli XII e XIV. Piero dunque visse e operò nell’ambito circoscritto tra Bologna, Medicina, Ravenna, la Romagna e qualche zona delle Marche, in un periodo storico complesso e agitato da violente dinamiche politiche per l’egemonia tra Impero e Papato, tra Guelfi e Ghibellini (a Bologna Geremei e Lambertazzi), e caratterizzato dal disegno del Comune di Bologna di allargare la propria sfera di influenza soprattutto in direzione della Romagna. In tali condizioni è comprensibile che un uomo inserito nella gestione delle cose di governo e degli interessi locali non potesse non essere coinvolto in azioni di parte anche se sembrano ancora mancare, dai documenti emersi, motivi di rilevanza tale da giustificare la triste e fosca fama che Dante assegna indelebilmente alla figura di Pier da Medicina. Su questo versante la ricerca degli studiosi deve ancora fare piena luce. Così anche la mostra, non potendo presentare novità di rilievo, si limita a proporre all’attenzione dei medicinesi e degli interessati come Dante abbia presente alla memoria – sia pure a motivo di un personaggio alquanto discusso – la Terra di Medicina citandone con affetto quasi commosso la particolare collocazione nel dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina. Medicina, con la rassegna espositiva e il convegno collegato, vuole anche rendere omaggio alla memoria di un suo illustre concittadino recentemente scomparso: Aldo Adversi, che alla figura di Pier da Medicina ha dedicato con competenza e con straordinaria passione gran parte della propria attività di studioso e di artista.

A cura di Raffaele Romano Gattei e Luigi Samoggia

Testo tratto da "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, dicembre 2007.

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