Costumi della societa' bolognese

Costumi della societa' bolognese

1796 | 1900

Scheda

Con la Rivoluzione francese, anche a Bologna il vestire s'era reso più semplice e corretto. Scomparendo, almeno in teoria, ogni privilegio di classe, anche gli abiti seguivan tutti un modello. L'abbigliamento popolare maschile era entrato nei salotti, coi calzoni lunghi dei «sans-cûlottes», il soprabito abbottonato, i capelli volutamente disordinati. Per le donne, eran volati via il corsetto, i guardinfanti e le calzature ad alti tacchi. Sotto l'influsso della filosofia naturalistica del Rousseau, erano state adottate vesti e acconciature d'estrema semplicità. La raffinatezza, per chi voleva seguirla, si manifestava soltanto nei particolari e negl'indumenti di biancheria.

I buli e le bule | Nella storia generale della moda, uno degli aspetti più interessanti di questo periodo, fu la variazione dei cappelli maschili. I copricapi degli uomini andarono infatti soggetti a tutti i rivolgimenti politici. Quanto più si propagavano le idee democratiche, tanto più trionfava il cappello di feltro molle a larghe tese, finché, nel Quarantotto, i copricapi presero le forme più audaci. Ma, sopravvenuta la reazione, la tuba ritornò più alta e rigida che mai. La tuba, o "gennasi" rappresentò lungo l'Ottocento il copricapo prediletto dei Bolognesi. A Bologna, infatti, anche il popolino l'adottò nelle persone di quei facchini detti «buli», così mirabilmente descritti dal Rubbiani, dal Fiacchi e dal Testoni. Nel dì della festa, appariva il «bulo» in giacchetta di velluto blù, corta e stretta, chiusa da una fila di bottoni: la camicia era bianca e ricamata, con risvolto, sotto il quale s'annodava un fazzoletto di seta rossa, fermato da un anello d'oro: i calzoni , color marrone, fatti a campana; la sciarpa azzurra fasciava i fianchi a guisa di cintura; infine, faceva bella mostra di sè il cappello a cilindro color cenere, calcato sulle «ventitrè». Le loro donne, dette anch'esse «bule», portavano il ciuffo di capelli o «popla», sulla fronte, a burrascose onde, discriminati da un lato e raccolti dietro in un edificio di trecce fatte a nastro, con trenta e più capi, che un enorme pettine sosteneva; lunghi pendenti d'oro a più paia, nelle orecchie; scialle di seta, bianco ricamato, con lunghe frange, puntato dietro la nuca e legato sulla schiena; vezzi di corallo e di granata dal collo al corsetto di seta il quale appariva a colori vivaci, stretto, con lo scollo un po' ardito: la gonnella, pure di seta colorata, corta e aperta davanti, per evidenza della sottana di mussolina bianca, posta sopra le innumerevoli altre che rigonfiavano «le già polpute anche», e rialzata anch'essa per iscoprire i piccoli piedi, chiusi in graziosi stivaletti. Già con l'avvento napoleonico e l'imperante neoclassicismo, le vesti, pur mantenendo una certa sobrietà di linee, s'erano rese sempre più appariscenti. Ma con la Restaurazione tornò il cattivo gusto, anche per gli influssi romantici. Le donne, ad esempio, usano tener sempre in mano un fazzoletto, pronto per le lagrime. Gli uomini si fanno le maniche strette, rendendo il braccio simile a un guanto, dalla spalla al polso, come imponeva il gusto letterario dell'epoca, che faceva trionfare romanzi e drammi storici. Così, a Bologna, gli elegantoni copiano fogge e pose degli attori celebri, portando, fra l'altro, quelle «beduine» alla Salvini, che li rendevano simili a tanti congiurati dell'«Ernani». «M'arcord - scrive il Fiacchi - che Salvini al vèins con una beduèina nèigra e tùtt i milurd la adottarono, che si vedevano poi a passeggiare così imbacuccati con tùtt i fiuch che penzolavano a stè cappùzz zò pr'èl spall, che parevano tanti banditi della Selva Nera».

I Milordi | I «milordi» bolognesi sfoggiavano anche certi scialli all'inglese che li facevano somigliare a tanti tenori a spasso, e li conservavano freschi freschi, perchè «con i zìgnucch che spirano a Bologna - seguita il Fiacchi - erano in gavardeina, ma l'era moda, e quindi pur battendo i denti si diceva: che cald che tengono queste scialle, quasi quasi as' suda!». Intanto, mentre gli uomini non avevano modificato troppo il loro abbigliamento, limitandosi a cambiar colore alla giubba, ai calzoni, al panciotto e a quegli alti cravattoni coi quali si fasciavano il collo, una grande trasformazione avveniva nella moda femminile, e le gonne s'allargavano fino all'inverosimile, e comparivano quelle crinoline colossali, per cui «la minor cosa era la donna». Certo è che la donna non fu mai più goffamente vestita d'allora, e osservando i figurini di questa moda, si pensa che agli uomini dovesse recar gran diletto lo scoprire che cosa mai si nascondesse in certi strani fagotti. Quando con quel po' po' di cerchio di canna d'India ed anche di ferro, che dava loro l'aria di «palloni ambulanti», le donne passavano per le strade di Bologna, i cavalieri le motteggiavano «e i più spiritosi - narra il Fiacchi - cercavano di restringere il passaggio, onde costringere quegli arnesi a far dei becchi, dal lato in cui non trovavano resistenza...». Tale moda andò presto in disuso, e da un'esagerazione si passò a un'altra. Comparivano adesso, il busto soffocante, le scarpe appuntite coi tacchi troppo alti, i cappelli troppo piccoli o troppo grandi. La pettinatura seguitava ad essere con la scriminatura nel mezzo e i boccoli ai lati, ornata di fiori, freschi o artificiali, e di altre cose.

I bandò e i rolò | «La pnadura del doun j eren i bandò, consistenti int'j cavi tirè zò less less a padigliòn so per la frònt e po drett sulla tempia senna che sotto alle orecchie si convertivano in due gonfi che tenevano imbottiti con del crine e più erano belli quanto più erano grandi. Su quella pettinatura j'addubbadur pseven studiar per metter sò i panaròn da most ed i tappezzieri èl purtir da arcòva. Tale lavoro in capelli, l'era custodito sòtta a un gran alia d'un cappel pèin ed blònda e ed ram ed fiur da parere un reliquari». Così il nostro. E più oltre: «Dopo vennero i rolò, che consistevano in budlèini di tela nera imbottite che le donne coprivano coi capelli lisci lisci, e se le aggiustavano in giro sulla testa che èl pareva ch'j avessen del gavètt ed suzzèzza». In questo tempo, poi, anche gli uomini si resero grotteschi, con le loro giacchette striminzite, i colletti alti e duri e il cappotto ad ala di pipistrello. Poi, fu il trionfo dell'età meccanica che tutto sommerse nel suo grigio tono. E solo nel contado rimasero (ma per poco ancora) le vesti multicolori e ornate. Ma i costumi tradizionali della campagna bolognese, non brillarono mai per soverchia bellezza. Ultimi tipi di «arzdòur» e «arzdòura» della prima metà del secolo scorso.

I contadini | L'abbigliamento dell'antico contadino bolognese era assai modesto: un gabbano di bigello, legato alla cintura; una camicia di tela con largo risvolto; le braghe fino al ginocchio; calze, zoccoli o scarponi; poi, un cappellaccio di feltro o di paglia a larga tesa. L'ombrellone di tela cerata rossa o verde, gli completava quell'aspetto grottesco che lo rendeva oggetto di tante canzonature. Anche le contadine vestivano modestamente con tessuti di fabbricazione domestica; portavano sull'ampia sottana legata ai fianchi con un cordone a guaina, il busto e un corpetto affibbiato davanti e, sul capo, un fazzoletto a vistosi colori. Alcuni elementi pittoreschi dell'antico costume campagnolo bolognese, sussistono ancora. Sono questi i «lischèn», specie di berretti di feltro grigio o giallognolo, con alto risvolto, affini alle «galòse» romagnole, portati dai braccianti e dai birocciai della bassa pianura, verso la Romagna. Altri portano invece una «berretta rossa» la quale, per la frequenza del loro passaggio ha dato il nome a una strada fuori porta San Felice.

(Bruno Biancini - 'L'ottocento nel costume cittadino', trascrizione a cura di Elena Canè)

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Francesco Malaguzzi Valeri, Frank De Morsier; Industrie artistiche e botteghe artigiane bolognesi; Consiglio provinciale dell'economia, Officine Grafiche Cacciari, Bologna, 1928. Estratto tavole 01 - 39.

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Francesco Malaguzzi Valeri, Frank De Morsier; Industrie artistiche e botteghe artigiane bolognesi; Consiglio provinciale dell'economia, Officine Grafiche Cacciari, Bologna, 1928. Estratto tavole 40 - 76.

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