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Coppia di fucili da caccia a pietra focaia

1810 ca.

Schede

Gioacchino (Joachim) Murat nato in Francia nel 1767 da un albergatore di Labastide, entrò nell’esercito e, conquistato agli ideali rivoluzionari, fu nominato generale di brigata il 2 febbraio 1796. Famoso per il coraggio dimostrato sui campi di battaglia, partecipò alla campagna d’Egitto (1798-99); nel gennaio 1800 sposò Carolina Bonaparte, sorella di Napoleone e pochi mesi dopo, il 14 giugno, ebbe un ruolo decisivo nella battaglia di Marengo. Nel 1804 fu governatore di Parigi, nel 1805 fu nominato principe imperiale e Grande Ammiraglio della flotta francese, si coprì di gloria ad Austerlitz e nel 1808 divenne Re di Napoli. In seguito alla ritirata di Russia cercò di dissociare le proprie sorti da quelle di Napoleone, al fine di conservare il Regno. Perdute le speranze di accordarsi con le potenze europee, incitò gli Italiani con il famoso proclama di Rimini (30 marzo 1815) a creare uno Stato indipendente, ponendo a Bologna il proprio quartier generale. Sconfitto dagli Austriaci a Tolentino il 3 maggio, organizzò una nuova spedizione in Italia meridionale. Catturato, il 13 ottobre 1815 venne fucilato a Pizzo dai soldati borbonici.

La figlia Letizia aveva sposato il nobile bolognese Guido Taddeo Pepoli, stabilendosi in questa città. Alla sua morte, avvenuta nel 1859, le figlie Carolina, Elisabetta e Paolina, adempiendo la volontà della madre donarono alla Città di Bologna le armi e le decorazioni appartenute al celebre avo. La collezione fu collocata provvisoriamente presso la Pinacoteca Nazionale poi trasferita nella sala destinata alle armi del Museo civico, quando questo venne istituito nel 1862; infine, trovò la propria destinazione definitiva nel Museo del Risorgimento. Si trattava di una quindicina di pezzi, che da subito vennero esposti tutti insieme in una ‘vetrina speciale’ posta al centro della sala, in una posizione di assoluto rilievo. Forse anche a causa di tale notorietà, nel 1921 i cimeli di Murat vennero trafugati: quasi tutti gli oggetti furono recuperati, ma prima di essere scoperti i ladri, poco coscienti del loro valore storico e artistico e più interessati al poco oro in essi contenuto, avevano fatto in tempo a distruggere i gioielli e a rovinare le impugnature di alcune armi bianche. Non subirono invece danni le armi da fuoco, come questa coppia di doppiette.

Si tratta di fucili da caccia a due canne giustapposte con acciarini a pietra focaia; le canne sono lavorate a tortiglione e ageminate in oro sulla bocca e sulla culatta; sulla canna sinistra di entrambi si trova l’iscrizione «MANUF.RE A VERSAILLES», su quella di destra l’iscrizione: «BOUTET DIRECTEUR ARTISTE», una stellina a cinque punte, «N. 5» in un esemplare, «N. 6», nell’altro; leggere incisioni a bulino sono presenti su cartelle, cani e martelline; sulla cartella sinistra di entrambi l’iscrizione «Manuf.re a Versailles», su quella destra iscrizioni diverse nei due esemplari: «Boutet a Versailles» oppure «Boutet Directeur Artiste»; i bacinetti presentano il fondo dorato a tenuta d’acqua e anche i foconi sono in oro; la cassa è in radica di noce intagliata con decorazioni in argento, poggiaguancia in marocchino rosso, sotto il quale si trova una decorazione antropomorfa in argento; calciolo ricoperto d’argento; più in alto, presso l’alloggiamento della bacchetta si trova un’altra decorazione in argento ragurante un’aquila ad ali spiegate; la bacchetta è in legno, con battipalle e fascette in argento. Si tratta di armi particolarmente pregiate, realizzate da Nicolas Noël Boutet (1761-1833), esponente più celebre di una famiglia di armaioli. Nel 1793 il Boutet fondò la Manifattura di Versailles, che diresse fino al 1818, anno in cui venne chiusa e nella quale, a partire dal 1796, iniziò la produzione di armi di lusso. Queste doppiette mostrano tracce evidenti di uso, il che fa pensare che Murat se ne sia servito spesso.

Coppia di fucili da caccia a pietra focaia, 1810 ca. Acciaio, radica di noce, legno, marocchino, argento, oro lunghezza totale mm 1180, lunghezza canna mm 780, calibro mm 14,7 inv. n. 604.

Otello Sangiorgi

In collaborazione con IBC - Istituto per i beni culturali dell'Emilia Romagna.