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Confino di polizia

Descrizione

L’istituto del confino di polizia - ma sino alle leggi eccezionali del 1926 si chiamò domicilio coatto - si perde nella notte dei tempi. Vi fecero ricorso gli imperatori romani. In epoca più recente, sia nel regno dei Borboni sia in quello dei Savoia, i malfattori - non importa se comuni o politici - furono costretti a risiedere in zone isolate del paese, con provvedimenti amministrativi presi a scopo preventivo. Cioè in assenza di reato, ma nelle presunzione che potesse essere compiuto.
Dopo l’Unificazione nazionale, l’istituto del confino fu codificato con la legge del 20 marzo 1865, per colpire il brigantaggio. La materia fu risistemata con la legge 6.144 del 30 giugno 1889 per i soggetti socialmente irrecuperabili. Con la legge del 19 luglio 1894 la stessa misura fu estesa agli esponenti dei partiti sovversivi, considerati pericolosi per l’ordine pubblico. La decisione per l’internamento e il tempo della durata erano presi in via amministrativa da una commissione provinciale presieduta dal prefetto. Gli assegnati al domicilio coatto erano relegati, quasi sempre, nelle isole del meridione.

Caduto in disuso dopo i falliti tentativi reazionari della fine dell’Ottocento, il domicilio coatto fece la ricomparsa negli anni della guerra 1915-18.
Numerosi dirigenti dei partiti neutralisti - quasi tutti socialisti e anarchici - furono internati in comuni del meridione sino alla fine del conflitto.

Il 6 novembre 1926 il regime fascista varò una nuova legge di pubblica sicurezza e gli articoli dal 184 al 192 regolamentavano la materia. In seguito la legge subì alcune modifiche con il decreto del 18 giugno 1931.
Potevano essere assegnati al confino, da uno a 5 anni, «coloro che hanno commesso o manifestato il deliberato proposito di commettere atti diretti a sovvertire violentemente gli ordinamenti nazionali, sociali o economici costituiti nello Stato o menomarne la sicurezza, ovvero contrastare od ostacolare l’azione dei poteri dello Stato, per modo di recare comunque nocumento agli interessi nazionali in relazione alla situazione, interna e internazionale dello Stato».
L’assegnazione al confino era un provvedimento amministrativo accessorio o complementare della pena erogata dalla magistratura ordinaria o dal Tribunale speciale.
Gli antifascisti assolti dal Tribunale speciale quasi sempre erano assegnati al confino. Ma al confino vi si poteva finire anche per semplice sospetto di antifascismo. La decisione era assunta dalla Commissione provinciale. Le sedi del confino erano le isole e i comuni del sud.

La Commissione provinciale di Bologna assegnò al confino 513 antifascisti nati o residenti nella provincia di Bologna. Alcuni ebbero più di un’assegnazione. Numerosi i bolognesi assegnati al confino dalle commissioni delle città dove risiedevano. [O]