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Cimitero di guerra germanico al passo della Futa

Soldatenfriedhof Futa Pass

Di rilevanza storica

Schede

Il Soldatenfriedhof Futa Pass

Premessa

Come accadde alla fine della Prima Guerra Mondiale, al termine del secondo conflitto si presentò
il problema derivato della necessità di dare una degna sepoltura ai soldati periti.
Negli anni ‘20 e ‘30 del Novecento in ogni paese europeo coinvolto nel conflitto si decise di affrontare questo problema, e la decisione comune fu quella di riunire i resti dei caduti in grandi cimiteri monumentali oppure, nel mondo tedesco, nei cosiddetti “boschi sacri” che, con solo qualche elemento costruito dall’uomo, facevano diventare i cimiteri parte del paesaggio (anche se poi il nazismo creò i Totenburgen, i castelli dei morti, massicce elaborazioni monumentali ispirate ad antichi modelli quali Castel del Monte o il Mausoleo di Teodorico), nell’ottica di sfruttare a fini propagandistici la memoria dei caduti della Grande Guerra.


Agli anni stessi del conflitto o all’immediato primo dopoguerra risale poi la nascita delle grandi commissioni nazionali deputate ad occuparsi dei monumenti-sepolture dei caduti: nel 1917 era nata la Commonwealth War Grave Commission, tutt’oggi viva ed operante in tutto il mondo, che si occupa di circa 1,7 milioni di caduti sparsi in 150 paesi del mondo, di 2.500 cimiteri di guerra, di quasi 23.000 luoghi diversi di sepoltura, di circa 200 monumenti, e altro ancora; in Italia
nel 1919 (riformato poi nel 1933 e nel 1935), era nato il Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra -noto come Onorcaduti- alle dirette dipendenze del Ministro della Guerra (poi della Difesa), riformato con legge n. 204 del 9 gennaio 1951, con il compito di provvedere al «censimento, ricerca, sistemazione provvisoria e successiva sistemazione definitiva delle salme dei militari, militarizzati e civili deceduti in conseguenza della guerra dal 10 giugno 1940 al 15 aprile 1946».
Analogamente, nella Germania uscita sconfitta e lacerata dal conflitto, nel 1919 nasce la Associazione popolare per la cura delle tombe di guerra: la Volksbund Deutsche Kriegsgräberfürsorge, VDK, ancora oggi esistente e attiva.
Di natura privata – ha sempre ricevuto sovvenzioni statali, anche se opera soprattutto grazie a donazioni e sottoscrizioni – per tutti gli anni ‘20 e ‘30 operò in tutta Europa grazie all’attività di Robert Tischler (1885-1959), architetto cui fu affidato quel compito già all’inizio degli anni Venti.

Organizzazione umanitaria, il VDK, grazie ad accordi bilaterali con vari paesi, sia in Europa che in Africa, si occupa oggi di 833 cimiteri militari in 46 stati diversi, con circa 2,7 milioni di caduti di guerra.

Anche con la fine della Seconda Guerra Mondiale si ripresentò il problema della sepoltura dei soldati morti. Gli alleati non trovarono difficoltà nell’accordarsi con le amministrazioni locali nella scelta e nella realizzazione dei cimiteri anglo-americani, ma ben diverso fu il discorso relativo ai caduti tedeschi.
Sui territori dove la Wermacht aveva operato infatti, era di memoria troppo recente il passaggio dell’esercito tedesco che, seppur affiancato dalle SS, si era distinto per atroci violenze e stragi di civili.
Occorsero quindi anni di trattative per giungere ad accordi tra il VDK e i diversi paesi per risolvere la questione della sepoltura dei soldati tedeschi, che nella miglior delle ipotesi, si sarebbero tutti voluti dimenticare.

Un accordo primo nel febbraio 1943 tra un Comitato italo-tedesco per le tombe e i sacrari di guerra e il governo italiano aveva già affrontato il discorso relativo alla possibilità di celebrare su suolo italiano i caduti tedeschi (e soprattutto austro-ungarici) della Prima Guerra Mondiale.
Nonostante l’alleanza Mussolini-Hitler, era ancora ben presente negli italiani, soprattutto nei reduci, che i tedeschi e gli austriaci solo pochi anni prima erano stati i nemici. Si era quindi optato per la possibilità di erigere memoriali non troppo pomposi (accordo in parte trasgredito): erano dunque stati costruiti i sacrari di Feltre (1933-37), Tolmino (1935-38), Quero (1935-38) e Pordoi (1937-1943 e 1959). La realizzazione del sacrario di Pinzano era terminata solo nel 1943 ma, divenuto sede di una postazione militare tedesca, era stato bombardato, e a tutt’oggi ne restano solo le rovine.

Nel 1954 il VDK pubblicò un volume dove indicò le linee guida per regolamentare questi luoghi che dovevano essere scelti lontani dai centri abitati, in rapporto stretto con la natura, che avessero appropriate dimensioni, che potessero essere dotati di ingresso e recinzione, scegliendo attentamente la vegetazione ed i materiali da utilizzare.
Fu però l’accordo siglato tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Federale Tedesca nel dicembre 1955 a rimettere in moto le cose, e vennero così individuate alcune località, ove raccogliere i resti dei circa 110.000 tedeschi morti in Italia negli anni 1943-1945, fino a quel momento sparsi in circa 3.000 piccoli cimiteri locali, che le popolazioni locali non volevano più.
Le zono interessate furono; Motta Sant’Anastasia (Catania, già attivo dal 1943, all’indomani dello sbarco alleato in Sicilia); Cassino-Caira (Frosinone, 1957 – 1965: 22.500 sepolti); Costermano (Verona, 1967: 22.000 sepolti); Pomezia (1957 – 1960: 27.500 sepolti); Gardone (1942); Bressanone (1956 – 1960); Merano (1943-1953); Brunico, Bolzano, Cagliari (poche sepolture); Pordoi e Quero, già realizzati per la Grande Guerra; e infine l’area per l’Italia centrale appenninica, ovvero il Passo della Futa (1969, 30.700 sepolti)

Il cimitero germanico al Passo della Futa

L’identificazione del luogo ove collocare il cimitero per l’area dell’Italia centrale fu tutt’altro che semplice: le popolazioni avevano molto vivo il ricordo delle violenze nelle stragi (Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema in particolar modo) e della lotta partigiana.
I sindaci, tra i quali anche il sindaco di Bologna Giuseppe Dozza, rifiutarono con decisione l’idea di ospitare un cimitero tedesco sul proprio territorio.
Alla fine della riflessione, si identificò una zona praticamente deserta di circa 6 ettari (divenuti successivamente quasi il doppio) nel comune di Firenzuola a 950 di altitudine sul passo della Futa in una proprietà privata. L’area venne acquisita con la garanzia di non realizzare una sorta di fortilizio-memoriale come si era progettato, ma con l’impegno del VDK di proporre un nuovo progetto.
La scelta del nuovo progettista cadde sull’architetto DIETER OESTERLEN (1911-1994).
Il progetto, presentato nel 1960, venne approvato in Italia dal Commissariato generale l’8 marzo 1961; i lavori di costruzione, dopo la bonifica da ordigni bellici del terreno, iniziarono nel novembre 1963 e furono più volte interrotti per il maltempo invernale.
L’opera venne finalmente inaugurata il 28 giugno 1969, durante una giornata fredda e piovosa che comunque non fermò la partecipazione di migliaia di familiari tedeschi giunti in pullman.

L’opera di Oesterlen
L’architetto progettista accolse pienamente l’idea del ripudio del “culto del soldato caduto”, respingendo lo stereotipo di costruzioni perenni ed esaltanti la retorica di guerra, condividendo appieno l’idea che il cimitero doveva essere semplicemente un luogo di ricordo, di dolore e far parte del paesaggio: non più cimitero d’onore, ma semplicemente un luogo per ricordare uomini morti.

Studiando la cima del monte a sua disposizione, Oesterlen aveva progettato un monumento del tutto nuovo: un muro di contenimento lungo oltre 2 km, che si avvolge a spirale sulla cima del monte e lo risale, finché, liberatosi del compito di sostegno del terreno, si chiude sempre a spirale su sé stesso, andando a formare un’alta parete tagliata obliquamente verso il cielo, una sorta di “penna” finale, alta 16 metri.
Il muro accompagna il visitatore lungo i bordi di 5 terrazzamenti, divisi in 72 riquadri di diverse dimensioni, in cui sono collocate più di 15.000 lapidi, ognuna identificante due soldati.
Dalla base della collina tre sentieri a gradoni, dall’andamento non lineare, salgono ortogonalmente verso la “penna”, evitando il percorso a spirale; 67 croci sono poste in posizioni irregolari lungo il muro che sale.
Sotto la penna, c’è la cripta: spazio irregolare e angusto, nella quale l’unico segno di commemorazione è una corona di spine d’acciaio di grandi dimensioni appoggiata sul pavimento.
Nella cripta sono raccolte anche una serie di lapidi provenienti dal Cimitero militare tedesco di Cervia, dismesso per l’occasione.
I materiali utilizzati, propri del territorio, furono arenaria scura per il muro, arabescata in breve tempo da licheni gialli.

Chi erano i soldati i cui resti vennero traslati alla Futa? Soprattutto soldati molto giovani, per lo più fanteria e ufficiali di basso grado, impiegati in battaglia lungo la Linea Gotica e nell’ultima fase del conflitto. Non sembrano esserci SS, trasportate già prima della fine della guerra verso il nord, e poi sepolti a Costermano.
Il censimento dei sepolti venne affidato al VDK e conta 30683 morti di cui 3000 austriaci. Le salme provenivano dai cimiteri provvisori sparsi lungo la Linea Gotica tra Emilia-Romagna e Toscana, in particolare dalle provincie di Bologna, Firenze, Forlì, Ravenna, Modena, Reggio Emilia, Lucca, Pesaro, Pisa, Pistoia.

Ulteriori approfondimenti sono visibili alla pagina dedicata allo scenario di Monte Sole raggiungibile cliccando qui

Alcune notizie e fotografie del Cimitero si possono vedere sulla rivista degli Istituti Storici dell'Emilia Romagna in Rete "E-Review" raggiungibile a questo link