Chiesa Arcipretale di San Mamante

Chiesa Arcipretale di San Mamante

Scheda

Così come si presenta oggi, la costruzione è il risultato della completa ricostruzione dell’antica chiesa plebana tre-quattrocentesca, avvenuta tra il 1735 e il 1740 ad opera dell’architetto bolognese Giuseppe Antonio Ambrosi. All’esterno appare come una ampia struttura barocca a croce latina, preceduta da una vivace facciata, caratterizzata da volute a “Molla” laterali e timpano arrotondato, e culminante, all’incrocio dei bracci, con un tiburio ellittico a lanterna. La successione di contrafforti laterali e l’incastro di volumi addossati e degradanti verso la piazza offrono una pluralità di visuali di notevole suggestione architettonica ed urbanistica. L’interno, con sei cappelle laterali nella navata e due nel transetto, è uno dei più interessanti esempi di architettura sacra bolognese della prima metà del Settecento. Il ricco gioco di colonne libere, nella parte centrale e nel presbiterio, e l’elegante decorazione a stucchi opera di A. Callegari, creano un ambiente di forte effetto spaziale e scenografico, diretto a fare convergere l’attenzione sulla centralità dell’altare. Le opere pittoriche e scultoree custodite presso le varie cappelle oltre a costituire un patrimonio d’arte di notevole rilevanza documentano attraverso i secoli fede, storia e susseguirsi delle vicende umane di una comunità. Tra esse la tela di epoca napoleonica con la Madonna di Guadalupe tra i santi Magno ed Emidio; l’intensa tela seicentesca con la morte di S. Giuseppe opera di Carlo Bononi proveniente dal Carmine; il quadro della Mignani Grilli raffigurante il patrono dei coltivatori S. Isidoro; il grande quadro della metà del ‘600 che rappresenta gli apostoli presso il sepolcro vuoto di Maria ed infine La Vergine Assunta in adorazione della Trinità, bella pittura forse del Sementi o del Gessi proveniente dalla Chiesa dell’Assunta.

La cappella del SS. Rosario | "Annessa alla chiesa arcipretale di Medicina si conserva una artistica cappella dedicata alla B. V. del SS. Rosario avente particolare importanza storica per quella antica terra. Tale cappella, infatti, fu eretta dai medicinesi fra gli anni 1630 e 1631 per solenne voto e in segno di gratitudine verso la Madonna, essendo stata preservata la città dalla famosa e terribile peste che in quel tempo ebbe a colpire gran parte dell’Italia; peste che il Manzoni, come è noto, così bene illustra e descrive nei suoi “Promessi Sposi”. Questa cappella, rimasta intatta colla ricostruzione della chiesa avvenuta nel 1735, causa l’incuria ed i cattivi restauri dello scorso secolo erasi ridotta in triste condizione di squallore e di rovina, sia per le tinteggiature fredde, vuote e insignificanti, sia per il pavimento di laterizio consunto e polveroso, sia per l’altare col palliotto di gesso verniciato a finto marmo, ridotto in pesimo stato. In occasione del terzo centenario dalla edificazione della cappella l’attuale arciprete di Medicina canonico don Francesco Vancini, ha molto opportunamente provveduto a far sì che la strica cappella acquistasse una più grandiosa veste d’arte che venisse in qualche guisa a completare l’opera dei costruttori e dei successivi restauratori più o meno intelligenti. Una iscrizione a modo di lapide nella parete del transetto presso detta cappella ricorda nei seguenti termini un restauro eseguito nel 1744. “D.O.M. Virgo luem pepulit struxit gens nostra sacellum votum auget pingit nec tamen aequat opem p. anno Domini MDCCXLIV”. In quel restauro la cappella fu decorata da Giuseppe Orsoni il quale dipinse due figure di santi ai lati dell’ancona e degli ornati nei partiti architettonici. Il “nec tamen aequat opem” dell’iscrizione sta a significare che con tale restauro e tale decorazione il voto non era ancora compiuto, quindi l’attuale opera di abbellimento e di restauro non sarebbe che il logico e necessario coronamento di quanto fu decretato solennemente dal popolo di Medicina nel 1630, come ricorda e documenta una lunga iscrizione su una lapide di ceramica eseguita dal faentino Stefano Gaiamini nel 1634 e murata nella stessa cappella unitamente all’Immagine di Maria, dipinta pur essa su ceramica dallo stesso autore faentino.(1)

L’attuale restauro è consistito anzitutto nel rifacimento della decorazione pittorica perché lo scialbo delle tinte ottocentesche aveva totalmente ricoperta e guastata la decorazione dell’Orsoni, decorazione che però dalle poche traccie venute in luce si è mostrata opera, oltrechè facile a perdersi perché di debole tempera, di scarso valore artistico che non consigliava quindi un suo fedele e scrupoloso ripristino. L’odierno lavoro pur essendo stato ispirato dallo stile e dal carattere di quelle deboli e ormai distrutte pitture settecentesche è così risultato composizione del tutto nuova. Nelle volte suddivise in scomparti a chiaroscuro e colore con festoni di puro stile barocco sono stati dipinti due luminosi centri simbolici, uno riferentesi alla B. V. del Rosario col nome di Maria circondato da una corona di rose e da putti in volo e l’altro rappresentante le Sacre Specie Eucaristiche fra nubi, serafini e angioli in adorazione. Quattro stemmi a chiaroscuro posti lateralmente all’imposta delle volte stanno a simboleggiare ancora la Madonna colle figurazioni del “Vas insigne devotionis” e della “Regina Sacratissimi Rosarii”. La decorazione pittorica si completa con quella ricchezza e quella forza di toni e colori consentite o piuttosto imposte dallo stile barocco nel suo più fulgido periodo ricoprendo con eleganti e sfarzosi motivi tutta la cappella, negli archi, nelle pareti e nelle paraste, dando infine all’ambiente una maggiore apparente ampiezza e una elegante, dinamica e armoniosa distribuzione di motivi architettonici e ornamentali che è propria dello spirito delle opere dovute al fantasioso decoratore settecentista. La parte ornamentale dovuta al valoroso mio collaboratore, pittore decoratore Agostino Mazzanti, è risultata così perfettamente inquadrata alle linee architettoniche dell’ambiente e riesce ad intonarsi bene a tutto l’insieme dei marmi profusi nell’altare, nel pavimento e nella balaustrata, e lavorati dal marmista Giuseppe Zucchini sui disegni dello scrivente. Nella scelta dei marmi da porre in opera si è tenuto esatto conto dell’intonazione calda che la decorazione pittorica doveva donare all’ambiente creando un tutto armonico che, senza una perfetta intesa fra l’architetto e il decoratore, non si sarebbe mai raggiunto. Alla elegante balaustrata marmorea si è aggiunto un ricco cancello di ferro battuto e ottone fuso ispirato ai disegni degli originali cancelli che si conservano nella chiesa Metropolitana di San Pietro in Bologna. Quest’opera è dovuta agli artefici Armando Casadio per il ferro e Amedeo Cuppi per gli Ottoni. Il restauro generale della cappella ha portato anche un miglioramento nell’ancona in muratura ove si conserva la nicchia della Madonna perché essa è stata riportata in qualche guisa al suo originario aspetto e decorata con tinteggiature di più fresca e verdognola intonazione che valgono a distinguerla meglio sul fondo dell’abside al quale si addossa. La nicchia ornata di un ricco e movimentato motivo barocco a caldi colori accoglie ora in maniera più razionale la statua seicentesca della Beata Vergine del Rosario che, si dice, già restaurata dallo Scandellari e che è stata attualmente ripulita. Opera perfettamente originale ed elegantissima è la seicentesca tribuna di legno intagliato e dorato a forma di tempietto a giorno con cariatidi alate. Essa è stata opportunamente restaurata, adattandola sul nuovo altare marmoreo cosicchè nella sua massa architettonica e ornamentale, tutta dorata, trionfa intonandosi a sua volta perfettamente coi marmi e colla decorazione pittorica. Per la felice riuscita di questo lavoro che tanto decoro d’arte porta alla Chiesa Arcipretale di Medicina, oltre all’opera compiuta dall’arciprete canonico don Francesco Vancini che avendone assunta l’iniziativa ha anche contribuito grandemente nel condurla alla realtà del fatto, non va dimenticata fra le famiglie parrocchiane che più hanno efficacemente aiutato l’arciprete nella impresa, quella del cav. Gaetano Calza, il cui stemma insieme a quello della famiglia Vancini figura rappresentato nella decorazione pittorica stessa.

Giuseppe Rivani

(1) Ecco il testo originale della lapide: “L’anno del signore 1630 – era q.to castello di Medicina attorniato dal contagio, e pigliando essepio da gl’altri ppli aflitti d’Ittalia, ricorse alla Regia del Sant.mo Ros,o: qual’elesse con uoto solene p. sua protettrice suprema in ogni bisogno; et essendo stato pservato i mezzo al contagio (gratia che a pochi altri fu concessa) eresse in ql tepo per gratitudie qsta capella e p. mise nelli stesso voto pse, e suoi descedeti di fa in eterno una solele P.cess.e: di Sant.mo Ros.o ogni 2° Dom.ca di 8bre acciò in tutti i tepi sia rigratiato dio et la sua M.re Santiss.a: di si grade benef.o P.movedo lo atto qusto.co speciale agiuto. Il M. R.o Sig.r D.: Annibale Jacomelli all.hora Arcip.te di qsta Pieve, et Vicario Foraneo p. la Sant.a Inquisit: di Bologna. Fecit Steph.s Gaiam.s Faventinus 1634”. Nella lapide coll’immagine della B. V. del Rosario vi è pure l’iscrizione: “R. P. F.: Vinc. Paulinus de Gorrexio lect: ord: Pred: Hoc opus a Galam.o: Fieri curavit 1634”." (Testo trascritto da ‘Un artistico restauro nella Chiesa Arcipretale di Medicina’, in ‘Il Comune di Bologna’, novembre 1932).

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Brodo di Serpe 15
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Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi, Associazione Pro Loco Medicina, n. 15, dicembre 2017. © Associazione Pro Loco Medicina.

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