Viaggiatori e scrittori stranieri a Bologna

Viaggiatori e scrittori stranieri a Bologna

1155 | 1900

Scheda

Da quando, per merito specialmente di Irnerio, Bologna divenne il centro degli studi del rinnovato diritto di Roma, ai secoli XII, essa divenne anche un particolare luogo di attrazione per gli stranieri. Irnerio, lucerna del diritto, attirò qui tutti coloro che aspiravano ad una nuova espressione della vita civile in Europa, tornando ai dettami eterni di Roma; e in pochi decenni la città, di fronte a tutta l'Europa, si procacciò l'appellativo di dotta. Onde l'afflusso qui di giovani e non giovani, che volevano accostarsi all'antica sapienza. Le mura dovettero essere allargate, la vecchia città che fu distrutta da Liutprando fu ricostruita, nuove case e vie si crearono sì da ospitare le nuove genti avide del sapere. Federico I Barbarossa, tornando da Roma nel 1155, dopo la incoronazione da imperatore, si fermò a riposare sul Reno. Accorsero a lui professori e scolari del nato Studio e tutti testimoniarono all'imperatore la loro letizia di trovarsi in una città che sovra ogni altra in Europa dava loro, non solo il sapere, ma una vita nuova e tutto il conforto che poteva aspettarsi da un centro civile: "Noi dobbiamo grandamente lodarci – dissero in coro scolari e professori, provenienti da ogni luogo d'Italia e di fuori – del trattamento che ci è fatto dalla città di Bologna: qui grande abbondanza di prodotti, qui cortesia da parte degli abitanti, qui dimore degne, qui infine tutto ciò che può giovare agli studi e alla vita. Poiché qui giungono persone da ogni parte del mondo, noi desideriamo – aggiungevano scolari e professori – che i connazionali non siano responsabili delle eventuali malefatte dei loro fratelli, ma ognuno risponda di sé e possa qui rimanere tranquillo per studiare e apprendere". E questo concesse Federico, e confermò poi solennemente tre anni dopo a Roncaglia.

Fino da allora Bologna era dunque uno dei principali centri in Europa per tutti gli studenti e in particolare per quelli del diritto; e qui da ogni lato accorrevano le persone desiderose dell'apprendere. Non è perciò a meravigliarsi se, in un breve volgere di decenni, la città si estese in guisa da poter contenere coloro che affluivano, e se giunse, in meno di due secoli, alla stessa estensione che durò poi fino al secolo XIX. Qui alberghi, qui festosa e onesta accoglienza, qui le comodità, qui il vivere civile e quegli svaghi che sono convenienti alla giovinezza. Bologna fu in quei secoli il maggior centro di attrazione di tutta Europa, accanto a Parigi che proprio allora andava sviluppandosi e doveva più tardi assurgere ad uguale condizione. La ragione del meraviglioso successo di Bologna fu bene avvertita dal Carducci, nel famoso discorso allo Studio bolognese, pronunciato nel 1888 che è rimasto fra le più note di quelle sue liriche, come niun altro ha potuto o saputo fare, la nostra immortale tradizione italica. La ragione è, dice il Carducci, che Bologna allora si riaccostava a Roma, la riconduceva a noi, la divulgava ancora una volta in tutta l'Europa. Il poeta, che già intravvede e sente l'odierna gloria dell'impero ritornato sui colli fatali di Roma, canta: "o Italia, o patria: nei crucci del selvaggio piacque ripensarti in atto di liberare dai sette colli il volo delle aquile vittoriose su tutte le genti; ma forse che tu fosti umanamente più bella qui in Bologna, quando a quelle stesse genti che ti avevano oppressa, tu rilevata aprivi con la lingua dell'antico imperio le fonti della civiltà nuova e liberandole dal giogo delle barbarie persuadevi loro la gloria di rifarsi romane". Per tutto il Medioevo, anche se a cominciare dal secolo XIV lo spirito e l'iniziativa alquanto si affievolirono, è in tutta l'Europa la celebrazione e il ricordo di Bologna, onde tanta luce era derivata. E il tedesco Hartmann Scheden alla fine del secolo XV, accennando ai più antichi luoghi del mondo, mette in alto posto Bologna, che continuava ad accogliere la giovinezza desiderosa di studi: prima sopra gli altri Copernico che doveva poi illuminare ai mortali le nuove vie del cielo.

Ma non si spegne nel Medioevo il nome di Bologna e non viene meno nei secoli che seguiranno il desiderio di visitare questa città, a cui i dotti accorrevano come in sacro pellegrinaggio. Anzi può dirsi che non c'è straniero che si accinga a visitare l'Italia, il quale non comprenda nel suo programma Bologna, dal secolo XVI al XIX. Bologna è dunque una vera «tappa obbligatoria» per i forestieri che scendono dalle Alpi. Contribuiscono a renderla tale, la sua tradizione, le sue caratteristiche, quel sapore di gaiezza e di abbondanza che deriva dalle sue fertili terre, quel colore di Medioevo che spira dalle case, dalle torri, dalle chiese, quelle particolarità che l'anno resta tradizionale, quei mattoni roggi e squadrati, che hanno preso da sole e dai secoli un particolare colore di rame lucente: e poi le due Torri, il San Petronio, San Luca, la Certosa e i meravigliosi colli che, sovrastandola, la inquadrano e la adornano. Tutti i grandi viaggiatori che descrissero l'Italia si sono interessati alla vecchia Bologna, che ha mantenuta a traverso i tempi la sua missione; e ha conservata accesa una fiaccola ardente, nel suo rinnovamento artistico del seicento, nella ricostruzione scientifica del settecento col celebre Istituto delle scienze, nell'inizio della nuova conquista del quarto elemento, l'aria, colle sue mirabili manifestazioni e conquiste aeronautiche fino dagli inizi del secolo XIX, colla rivoluzione del 1831 che costituisce la svolta del suo Risorgimento, col Otto agosto, con i suoi morti della rivoluzione fascista della quale rappresenta un centro vitale. Nel 1400, oltre lo Scheden, abbiamo l'Hemmerlin, l'Agricola di Groninga, il Brunner; nel 1500 Cornelius Agrippa, Geronimo Osorio, il Masson, l'Augustin, l'Amerbach, Giusto Lipsio, il geografo Oertel, il Rhevenhüller, il Villamont, il Reusner, il Neumaier, il Moryson, il Le Saige e il grande Montaigne; nel 1600 lo Schott, il Pflaurmen, il Mabillon, il Monconys, il Baudrand, il Deseine, il Le Laboureur, il Lassel, il Leibnitz. Gli scrittori aumentano ancora durante il settecento, dominato dallo spirito della ricerca, dal tormento della indagine e della ricostruzione. E perciò troviamo tra i visitatori e gli illustratori di Bologna nomi insigni, come quelli di Misson, Rogissart, Labat, Des Brosses, Büsching, Cochin, Coyer, Lalande, Caylus, Blainville, Burnet, Addison, Freschot, Papebroeck, Le Bret, Nemeitz, Adler, Bonstetten, Briemle, Atterbom, per chiudere con quelli gloriosi di Montesquieu e di Goethe. La schiera si aumenta ancora coll'ottocento e con i primi del novecento; e qui ci limitiamo ai principalissimi. Basti ricordare Stendhal, Giulio Janin, Carlo Dikens, Teofilo Gautier, Luisa Colet, Paolo Daudet, Anna Potoka, A.C. Valery, e tra i recenti René Bazin, Cecil Headlam, E. Coulson James, André Maurel, Gabriel Faure, Edward Hutton.

Interessante sarebbe sapere come gli stranieri hanno visto Bologna, e soprattutto ciò che vi hanno visto; ma la ricerca ci condurrebbe troppo lontano, se volessimo prenderla, come si sul dire, di petto. Basti sapere che in un certo mio lavoro che si propone appunto questo scopo, arrivati al quinto volume, mi sono accorto che non ero giunto neanche a metà... Ma qualche spunto bisognerà pure darlo, scegliendo qua e là fra i tanti nomi, e tra le vecchie opere, ormai tutte polverose. L'antica università e la cultura bolognese danno di solito lo sfondo di tutte le narrazioni della visita alla nostra città. Ecco qui il Deseine che di parla dell'Archiginnasio. "L'Università di Bologna è la più famosa e la più antica d'Italia; essa fu fondata da Carlo Magno e poi confermata dall'imperatore Lotario; è in questa Università che i più famosi Dottori in diritto si sono soprattutto segnalati. Accursio vi fece la gloria del diritto civile; Irnerio fu il primo interprete delle leggi del tempo dell'Imperatore Lotario; Gerolamo Osorio è pure famosissimo; Giovanni Andrea è chiamato la luce del Diritto Canonico; Azone la sorgente del Diritto Civile. In quei tempi vi erano diecimila studenti all'Università di Bologna. Bartolo fu creato dottore in questa stessa città. Non bisogna dunque meravigliarsi se Gregorio IX indirizzò le sue decretali a una si famosa Università, e se in ciò fu imitato da Bonifacio VIII per il testo delle decretali e da Giovanni XXII per le Clementine". E si deve proprio alla fama dello Studio, se, ad esempio, un grande spaguolo, l'Osorio, si reca a Bologna. "Deliberai di recarmi in Italia per accrescere la mia cultura; e poiché intesi da molti che nessuna città d'Italia poteva paragonarsi con Bologna per la gloria delle lettere, la scelsi a mia nuova sede, per riprendere ivi gli studi che da lungo tempo avevo interrotti a cagione dei vari impegni in cui mi trovai per le cose mie. Recatomi a Bologna m'accorsi che realmente tutti coloro che mi avevano celebrato la città, mi avevano egregiamente indirizzato. Giacché quella città è fiorente di ricchezza, colta in tutte le discipline d'arte di scienza, e per la cortesia degli abitanti e per l'abbondanza di ogni cosa, molto adatta per gli studi delle lettere... Non deve perciò recare meraviglia se, mossi dalla celebrità del luogo, i giovani, che ne sono stati informati, accorrano da ogni parte del mondo a Bologna, per coltivare l'ingegno nella più varia dottrina, giacché può veramente dirsi che in quella città si sia stabilito il domicilio della erudizione e della sapienza". E sopra la università, le scuole, le magnifiche sue istituzioni si ferma, e a lungo, il Lalande: "Questa città è stata più celebre delle altre città d'Italia per il gran numero delle persone di valore che ha dato: si diceva in antico, per caratterizzarla, Bononia docet; esiste ancora il motto nelle monete, nella stessa guisa della parola Libertas che si riferisce si privilegi della Repubblica. Fu a Bologna che Gaziano compose il Decreto che fa parte del corso di diritto, che Accursio compose la grande glossa; Aldrovandi compose la sua numerosa collezione di storia naturale; Malpighi fece le sue esperienze di Anatomia e Fisica. Il primo che risolse le equazioni di terzo grado fu Scipione del Ferro, bolognese, seguendo Cardano; infine tutti i campi della conoscenza umana devono un tributo alla città di Bologna. Si mostra ancora la casa d'Aldrovandi di faccia alla porta dei Religiosi degli Angioli; è una piccola casa senza portico; quella del famoso Marsigli è in via S. Mammolo; quella di Malpighi è vicino ad uno dei palazzi Malvasia in via S. Francesco, andando verso Porta S. Felice. Quello dei palazzi Malvasia, dove il grande Cassini fece le sue prime osservazioni, è in Strada Maggiore, vicino a S. Bartolomeo: un forestiere va sempre a vedere con piacere dei luoghi così celebri nella storia delle scienze. Il P. Riccioli, Gesuita di Ferrara, uno dei più grandi astronomi dell'ultimo secolo, aveva il suo Osservatorio nel Collegio di Bologna; là egli compose e fece stampare nel 1651 il suo Almagestum novum, nel 1665 la sua Astronomia reformata, e altre opere che sono ancora ricercate attualmente dai matematici, come le più sapienti affermazioni di questa vasta scienza". 

Qualcuno si limita ad una presentazione un poco generica, come questa del dottissimo Mabillon: "Bologna è una grande e bella città, le cui case sono adorne, sul davanti, di portici che proteggono chi va a piedi dalle ingiurie della stagione; ricca pure di bellissimi palazzi, uno dei quali, tra i più notevoli, è quello dei Ranuzzi, della qual famiglia è oggi ornamento insigne il Cardinale di questo nome, Nunzio accettissimo presso il re di Francia. Ci fermammo in detta città quattro giorni, liberamente ospitati e d'ogni cura circondati dall'abate di S. Procolo, Ludovico Guerra Pedemontano, e dai nostri monaci di quel convento che, per eleganza e semplicità di linee, è giudicato uno dei più begli esempi di architettura italica. Ci fu guida nel visitare la città Don Casimiro Freschot Burgundo, che pure ci aiutò nello scrivere queste note". Altri come il Misson, si compiace di descriverci il paesaggio, soprattutto quello dell'Appennino; è piena di anima questa pagina sua: "Dall'altro delle ultime montagne che vengono a finire a Bologna si scopre a mano destra il mare e di fronte si vede in pieno quel vasto e ammirabile paese che è la Lombardia, stendentesi lungo tutto il Po tra le Alpi e l'Appennino. La superficie del Mare, descrivendo in ogni punto un segmento di cerchio, impedisce di vedere lontano da quel lato, in qualunque parte si guardi; ma tutta la Lombardia, essendo su un perfetto livello, si scopre per una estensione prodigiosa. A poco a poco l'Appennino s'abbassa e insensibilmente si cambia in ricche colline, via via che ci avviciniamo a Bologna: la città è posta precisamente all'entrata della pianura ai piedi di queste colline". Gustosi sono i particolari punti di vista di qualche altro scrittore, come questo semplice, e pur vivace, del Montaigne: "La sera, con una sola tratta, raggiungemmo Bologna, distante trenta miglia. Grande e bella città, più grande e molto più popolata di Ferrara. All'albergo dove noi scendemmo trovammo che un'ora prima vi era arrivato il giovane signore di Montluc; veniva dalla Francia e si fermava in questa città per frequentare la scuola di scherma e di equitazione. Il venerdì noi vedemmo tirar d'armi il Veneziano, il quale si vanta d'aver trovate nuove invenzioni, intorno a quell'arte, che sono superiori e tutte le altre sino ad ora note; e, a dire il vero, il suo modo di maneggiare la spada è, per molti lati, differente da quelli comunemente seguiti. Il migliore dei suoi scolari era un giovane di Bordeaux, chiamato Binet". Il Blaeuw si ferma sulla fortunata posizione topografica della città e sopra la sua magnificenza: "La città giace ai piedi dell'Appenino, avendo a mezzogiorno colli che dominano, sui quali crescono ulivi, viti, fichi, pomi, peri ed altri alberi fruttiferi. Da tutte le altre parti si stende, per ampio tratto, una fertile campagna, che produce frumento, orzo, fave ed altri cereali. Il territorio produce ancora lino, canapa, fieni, ogni genere di erbaggi e tutto ciò che è utile per le necessità della vita; inoltre si stendono, nei campi, lunghi filari di alberi, in bell'ordine, carichi di viti; e così nella pianura come nella collina si fanno vini delle più varie sorta: cioè lo apiano, il trebbiano, il dolce, il grosso, il forte, il mezzano, il brusco, il bianco, il chiaretto. V'è pure abbondanza di gelsi, con le foglie dei quali nutrono i bachi da seta. E non mancano amplissime praterie, dense selve, utili così per il legno da ardere e da costruzione, come per la caccia; né mancano fonti di acqua calda e fredda di carattere medicinale, e molte altre particolarità e prodotti oltre la campagna bolognese, sicché per la sua abbondanza e per la sua opulenza non ingiustamente dal chiamata dal popolo Bologna la grassa". "La grandezza della città, lo splendore degli edifizi si può valutare da questo: che nell'anno 1529 il Papa Clemente qui venne con 15 Cardinali e poco dopo Carlo V imperatore, per ricevere la corona; nel qual tempo vi convennero principi e ambasciatori di quasi tutto il mondo cristiano. Il Papa e l'imperatore furono ospitati nel Palazzo del Senato. Allora davvero si conobbe la grandezza della città, perché tutti quei cardinali, principi, duchi, cavalieri e altri personaggi, presero comodamente alloggio, come in nessuna città d'Europa avrebbero potuto fare; a tutti trovarono anche gli oggetti e i prodotti necessari alla vita con insolita facilità ed abbondanza. Bologna ebbe alla vita il suo trionfo, che non ammette confronti in splendidezza e magnificenza e che fu celebrato dagli eruditi e dai poeti in prosa e in versi, dai pittori in quadri e in incisioni, tra le quali rimarrà immortale sul lucido metallo la rappresentazione grafica di Giovanni Hogenberg". Mentre il Rogissart si intrattiene a lungo, ma con grande interesse, sopra alcuni aspetti e monumenti che più l'hanno colpito: "Se la città di Bologna è così notevole in se stessa per la bellezza, la magnificenza e la qualità di splendidi e superbi edifizi così sacri che profani che ella racchiude dentro le mura, è necessario aggiungere che essa non lo è meno se la si considera nei suoi dintorni". "Da qualunque parte si esce voi non vedete infatti che cose degne di ammirazione. Uscendo dalla città dalla parte di occidente avete la chiesa di San Giuseppe, il Chiostro dei Certosini e qualunque altra chiesa che merita di essere vista. Dal lato di levante avete la chiesa di San Vittore, ove si dice abbia dimorato Bartolo per tre anni; e un bellissimo ed ampio palazzo del Cardinal Guastavillani, che val la pena di essere veduto; senza contare un infinito numero di case di piacere dei cittadini di Bologna, tra le quali ricorderemo soltanto quella del Senatore Volta, ove è stata trovata la celebre iscrizione enigmatica D. M. Aelia Laelia Crispis, ecc. che ha altrettanto tormentato dotti quanto quella delle chiesa del Quai a Ferrara. Noi rimandiamo i curiosi che desiderano conoscere le diverse spiegazioni finora date, al libro dell'illustre Conte Malvasia, così conosciuto nella Repubblica delle lettere per le numerose opere che ha dato in luce. Se poi uscite da Bologna dal lato tra ponente e mezzodì. Vedete la chiesa di Santa Maria di Reno d'una costruzione molto antica dove due papi, parecchi cardinali e molti grandi uomini hanno vissuto. In una parola, da tutte le parti la vista ha ragione di accontentarsi: sono pianure, pendii piacevoli, fertili colline seminate di ville, che danno un aspetto meraviglioso; e quantunque l'Appennino si estenda fino alla mura di questa bella città i pendii sono sì dolci e sì facili, che senza fatica si arriva a Pianoro, villaggio assai piacevole a dieci miglia da Bologna e sulla via di Firenze".

Labat ci parla con grande competenza a quel che egli assicura, di una delle produzioni per le quali Bologna è pur nota (oltre che per il diritto!) in tutto il mondo, la Mortadella! "Tra le manifatture di Bologna non è certo la minore quella delle salsicce: si sa che cosa sono perché note e diffuse in tutti i luoghi. Io ne ho mangiato in America! Mi pare tuttavia che siano migliori nel luogo dove si fanno. Mi sono informato esattamente di cosa sono composte e dove si fanno; e mi hanno detto delle cose così diverse, che non oso dirle qua per paura di passare per un mentitore, pur non dicendo che la verità; ma forse mi hanno ingannato. Gli uni dicono che le migliori sono composte di carne di piccoli asini, gli altri vogliono che si tratti della carne del cinghiale, altri pretendono che vi si impieghi la carne del maiale domestico e altri infine sostengono che vi si mescola la carne del maiale con quella del bue o di vitello in porzioni uguali: da tutto ciò risulta che tutti cercano di avvolgere in un mistero questo loro prodotto. E fanno bene, perché tutti vorrebbero imitarli, e allora il commercio che essi fanno di queste carni cadrebbe del tutto. Quanto a me credo che quello della carne di asini sia un racconto fatto per divertire: è vero che il paese e i dintorni producono molti asinelli, ma la razza si sarebbe già estinta dato che si facessero sempre le salsicce! Convengo che la carne di cinghiale deve avere più gusto e un certo sapore che non ha la carne del porco domestico, ma dove andare a trovare tanti cinghiali? L'America, che ne è piena, a stento potrebbe produrre a sufficienza. Io concludo dunque che si adopera carne di maiale domestico e che vi si può mescolare quella di bue o di vitello. Quanto alle dosi non dirò niente, perché io posso essere stato ingannato e non voglio ingannare gli altri. I salumi grossi e piccoli sono della medesima carne e son preparati alla stessa maniera; non differiscono che per il loro volume. Si taglia in fette sottili la carne che vi si vuol impiegare, sia maiale, sia vitello o bue, si mette a macerare in una tinozza con del buon aceto, del sale, del pepe, del garofano, delle scorze di legno d'India, che in Italia si chiama cannella garofanata, e delle foglie di lauro. Quando la carne è stata un certo tempo in tanto liquido, si trita più minimamente che sia possibile e la si riduce in pasta: si mescola allora tutto questo complesso salato con le spezie che sono giudicate a proposito e necessarie per dare il gusto e l'odore che esse devono avere e si insacca nelle budelle o nelle vesciche del maiale che son già state disposte per contenerlo e si fa saccare moderatamente e a piacere". 

E ci piace di finire colla visione larga, illuminata, piena di colore, che di Bologna ebbe il grande Goethe. Sostando a guardare e a pensare sulla torre degli Asinelli: "Sul far della sera, mi sono finalmente appartato da questa antica città veneranda e dotta, da tutta questa folla, che, sotto i suoi portici sparsi per quasi tutte le vie, può andare e venire, al riparo dal sole e dalla pioggia, e baloccarsi, e fare acquisti e attendere ai fatti suoi. Son salito sulla torre a consolarmi all'aria aperta. Veduta splendida! A nord si scorgono i colli di Padova, quindi le Alpi svizzere, tirolesi e friulane, tutta la catena settentrionale, ancora nella nebbia. A occidente, un orizzonte sconfinato, nel quale emergono soltanto le torri di Modena. A oriente, una pianura uniforme fino all'Adriatico, visibile al sorgere del sole. Verso sud i primi colli dell'Appennino, coltivati e lussureggiati fino alla cime, popolati di chiese, di palazzi e di ville, come i colli del Vicentino. Era un cielo purissimo; non la più piccola nuvola; solo all'orizzonte una specie di nebbione secco. Il custode della torre mi assicura che codesto nebbione da sei anni non si decide a scomparire; ma che col cannocchiale, ha potuto distinguere benissimo i colli vicentini con le case e le chiesette, ciò che ora avvien di rado anche nei giorni sereni. Questa nebbia si estende infatti a preferenza verso la catena settentrionale, ciò che rende la nostra cara patria un vero paese di Cimmerii. Il brav'uomo mi ha fatto notare inoltre la posizione e l'aria salubre della città anche per il fatto che i suoi tetti sembrano nuovi, vale a dire che le tegole non sono per nulla intaccate dal muschio o dall'umidità. E bisogna convenire che i tetti sono veramente belli e puliti; forse anche la bontà delle tegole vi avrà contribuito in parte, un fatto che nei tempi antichi se ne cuoceva qui una quantità eccellente". Il pensiero di Bologna accompagnò intenso e profondo il Goethe sino a Roma, e con la bellezza della città eterna contribuì a radicargli nell'anima il senso dell'immortale!

Albano Sorbelli

Da 'Bologna, tappa obbligatoria per gli scrittori stranieri' tratto dalla rivista 'Il Comune di Bologna', maggio-giugno 1939. Trascrizione a cura di Zilo Brati.

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