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Sepoltura e traslazione di Ugo Bassi e Giovanni Livraghi

8 Agosto 1849

Schede

Dopo la loro esecuzione, i cadaveri di Ugo Bassi e Giovanni Livraghi vennero sepolti insieme, coperti con poca terra e qualche rudere, in una cavedagna (ovvero una strada o viottolo all'interno di un podere) del fondo Micheli, che nel 1849 si estendeva a cavallo dei portici che dal Meloncello conducevano alla Certosa, a valle della strada per il cimitero. Sin dal giorno successivo alla condanna a morte, la fossa fu ricoperta di fiori, ghirlande e bandiere tricolori. Ai contadini che lavoravano in quel podere i bolognesi domandavano dove fossero stati sepolti i due fucilati: «noi li conducevamo e loro prendevano delle manciate di terra da questa sepoltura, in modo che, dopo sette giorni, c'era una buca». Nonostante gli austriaci avessero posto un picchetto di granatieri a guardia della zona, per troncare definitivamente quel «pellegrinaggio», alla mezzanotte del 18 agosto 1849 la polizia pontificia esumò i due cadaveri, che vennero traslati all'interno del Cimitero ed inumati in maniera occulta: quello di padre Bassi nel Recinto dei Sacerdoti, mentre quello di Livraghi nel Recinto dei militari. I soldati imposero a Carlo Sibaud – custode della Certosa e a conoscenza dell’ubicazione delle tombe – di «non rivelare il luogo ove il Bassi era stato sepolto, con minaccia di punizione, e dovette dare anche la parola d’onore. I becchini furono invece minacciati di bastonate, se avessero fiatato». La regolarizzazione amministrativa di queste due inumazioni clandestine giunse solamente diversi mesi dopo, il 1° marzo 1850: il Municipio rilasciò difatti in quella data il nulla osta per la sepoltura in Certosa di quelle salme e di altri giustiziati le cui salme furono malamente interrate nella cavedagna del fondo Micheli nel febbraio precedente.

All’indomani della liberazione di Bologna dal doppio giogo austriaco e pontificio, il 15 giugno 1859, il canonico Giuseppe Brusa presentò istanza affinché alle spoglie di padre Bassi venisse dato «onorato sepolcro», ma solo nel luglio successivo si addivenì all’esumazione, su supplica della sorella Carlotta. Il 6 agosto (il 7 nella ricostruzione di Nestore Morini pubblicata sul Resto del Carlino del 3 ottobre 1917) si procedette alla ricollocazione dei resti mortali del barnabita nella tomba della famiglia Bisi (in quanto Carlotta aveva sposato Giovanni Bisi), posta nella prima fila dall’alto, verso la volta dell’ipogeo (n. 86). Rinchiusa in una cassetta, alla salma furono finalmente concesse le esequie nella Chiesa di San Girolamo, prima di procedere allo spostamento della stessa nella Sala delle Catacombe. «Lontana dalla vista e dalla venerazione del pubblico», sulla lapide fu incisa una semplice epigrafe: «UGO BASSI – MARTIRE DELLA LIBERTÀ». In questo stesso lasso di tempo, poiché non reclamate da nessun membro della famiglia, le spoglie di Livraghi vennero disperse nell’ossario comune.

Il 16 agosto, di passaggio per Bologna dopo aver commemorato il decennale della scomparsa di Anita alle Mandriole di Ravenna, Giuseppe Garibaldi fece visita sulla tomba del suo «amico dolcissimo», pronunciando un breve discorso. Questo un passaggio: «[…] Bassi si riunì alla prima legione Italiana a Rieti. Cappellano maggiore dell’esercito Romano, ei volle servire nella legione da semplice soldato. Uomo valoroso, assisteva ai combattimenti disarmato, preferiva un focoso cavallo, e siccome forte e svelto della persona, cavalcava egregiamente. Nei conflitti, il più forte della mischia era il suo posto, ove la sua cura primiera era il trasporto dei feriti. Il suo cavallo, le sue spalle, servivano sovente al pietoso ufficio. La sua voce animatrice udivasi spesso nella battaglia. Il 30 aprile, Bassi rimaneva [prigioniero] dei Francesi, per non abbandonare un ferito, ad onta delle sollecitazioni dei nostri. Il petto di Bassi portava segni d’onorevoli cicatrici. I suoi panni erano forati da palle nemiche. Aiutante mio in varie fazioni, io potevo difficilmente trattenerlo vicino a me. Sovente mi diceva egli con quella sua angelica ingenuità: “Io voglio chiedervi una grazia: mandatemi ne’ luoghi alle commissioni di maggior pericolo”. Bassi! Masina!… Quando Bologna non si erga una statua coi piedistalli che sostengano i simulacri delle sozzure e delle nostre vergogne, o sarà schiacciata sotto il peso di barbare dominazioni o di Bologna non si troveranno nemmeno le vestigia! Bassi accompagnò la legione; ovunque la sua parola potente affascinava le popolazioni, e se Dio avesse ultimate le sciagure d’Italia, la voce di Bassi avrìa trascinate le moltitudini sui campi di battaglia! All’Italia formata al Cimento Dio non tolga la favella d’un Bassi! Egli non vacillò ad accompagnarmi nell’ultima prova, quando la speranza di difendere l’immortale Città era svanita. Egli s’adoprò meco a rialzare lo spirito dei nostri compagni, abbattuto dalla mancanza de’ prodi morti e feriti. Io lo chiamai nella mia barca a Cesenatico, ove la fortuna ci sorrise per l’ultima volta. Quale sorriso di congedo! Nella barca fatale quali persone io guidavo! Bassi, Ciceruacchio e due figli, e la donna dell’anima mia! Bassi, Anna, cadaveri all’altro giorno! […] Ciceruacchio ed i figli smarriti nelle foreste di Ravenna e perseguitati come belve! Bassi sbarcò meco nella Mesola ed a pochi passi dissemi: “Io ho pantaloni rossi (li aveva indossati per mancanza d’altri) e posso compromettervi: vado in cerca di cambiarli”. Io sorreggeva la mia compagna spossata, morente, senza un sorso d’acqua dolce per calmare la sua sete. Bassi s’incamminava, io lo vedevo allontanare con indifferenza. Era schiacciato dalla soma delle sciagure… e Bassi si incamminava al supplizio!».

Nell’aprile 1938, con una lettera aperta pubblicata sul “Resto del Carlino”, il direttore del Museo Civico di Bologna Pericle Ducati, su sollecitazione dello storico Umberto Beseghi (biografo di Ugo Bassi) e del direttore del Museo Civico del Risorgimento Giovanni Maioli, propose lo spostamento della tomba di Ugo Bassi dalla Sala delle Catacombe al Monumento-Ossario dei Caduti della Prima guerra mondiale – al fine di saldare propagandisticamente in un unico ambiente i caduti del Risorgimento, della Prima Guerra Mondiale e della “Rivoluzione fascista”: «Come Italiano del tempo di Mussolini, vorrei vedere la tomba di Ugo Bassi in altro luogo, cioè nella nicchia che, nel solenne e austero sepolcreto dei Caduti in Guerra e per la Rivoluzione, si trova di fronte all’altare sormontato dal Crocefisso. Colà, dentro un semplice sarcofago, potrebbero essere sepolti i resti di Ugo Bassi […]». E così accadde: nel 1940 venne predisposta l’arca marmorea progettata dall’Ufficio tecnico del Comune, che fu collocata nella nicchia prospiciente all’altare presente nella cripta del Monumento-Ossario. La cerimonia di traslazione si tenne l’8 agosto, a cui parteciparono tra gli altri il Duca di Bergamo Adalberto di Savoia-Genova e i discendenti del padre barnabita.

Andrea Spicciarelli

BIBLIOGRAFIA: U. Beseghi, Ugo Bassi, vol. II, Il martire, Parma, Donati 1940, pp. 270-276; E. Bottrigari, Cronaca di Bologna, vol. II, 1849-1859, a cura di A. Berselli, Bologna, Zanichelli 1960, pp. 179 e 494; G. De Ruggero, Ugo Bassi in “Il Comune di Bologna. Rivista mensile municipale”, 9(1929), p. 14; P. Ducati, Per una più degna sepoltura ai resti di Padre Ugo Bassi in “Il Resto del Carlino” (20 aprile 1938); N. Morini, Il cappello di Ugo Bassi in “Il Resto del Carlino” (3 ottobre 1917).