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Realismo borghese alla Certosa

1850 - 1900

Schede

Alla metà dell’Ottocento, un nuovo atteggiamento verso l’arte prende forma, influenzato dal positivismo e dalla nuova concezione scientifica della storia. Ormai, come lo dichiara Gustave Courbet nel 1861, l’arte ha come scopo la “rappresentazione di cose reali ed esistenti”. Il filtro nobilitante del Neoclassicismo svanisce a poco a poco e gli artisti si focalizzano sull’analisi della società e la rappresentazione oggettiva e libera di pregiudizi della realtà. Gli artisti ricercano la veridicità e la moralità, presenti nella primitività dei contadini e degli operai che simboleggiano una forma di vitalità incorrotta dalla società. Abbandonano i soggetti mitologici o aristocratici per interessarsi a paesaggi o personaggi locali. Questo movimento, definito Realismo o Verismo, particolarmente sviluppato nella pittura, si osserva anche nella scultura, attraverso le opere di artisti italiani come Adriano Cecioni (Bambino con gallo, La Madre), Vincenzo Gemito (Il Pescatorello), o la produzione naturalista di Vincenzo Vela (La preghiera del mattino), con un’attenzione sempre rivolta a personaggi umili e atti quotidiani.

Nell’ambito cimiteriale però, in cui le sculture e i monumenti vengono commissionati dalle famiglie dei defunti o dai defunti stessi prima della morte, quest’aspetto di umiltà e di marginalità viene limitato dalla componente economica. Rari sono i casi in cui un contadino, un artigiano o un operaio può permettersi di finanziarsi il monumento funerario. In Certosa fa eccezione il monumento scolpito da Tullo Golfarelli nel 1895 che rappresenta il fabbro del municipio di Bologna, Gaetano Simoli, il quale aveva risparmiato una vita intera per poter acquistare un monumento funebre. Per la sua eccezionalità, questo monumento diventa l’emblema della lotta e della dignità dei lavoratori. Nell’ambito cimiteriale, osserviamo quindi l’emergenza di un altro tipo di realismo – borghese - che prosegue l’analisi della società avviata dagli artisti veristi ma rivolgendo lo sguardo alla borghesia emergente. La classe borghese conosce una crescita ininterrotta durante l’Ottocento, plasmandosi attorno ad un ideale unitario che si manifesta nella cura della loro apparenza, attraverso sia l’abbigliamento sia l’arredamento e l’ornamentazione della casa. Con il miglioramento delle condizioni di vita, aumenta anche il tasso di alfabetizzazione: la borghesia diventa classe intellettuale, promuovendo la riuscita sociale che si costruisce attraverso gli studi e che si misura grazie al livello di ricchezza. Si individuano allora due valori principali della borghesia, il denaro e l’intelletto. Col passar del secolo, la classe borghese domina gli ambiti dell’economia, della politica e della cultura, manifestandosi attraverso l’acquisto di opere d’arte. In scultura, il realismo borghese è un movimento che riporta le caratteristiche di questo gruppo sociale in dettagli concreti delle figure, sia negli abiti sia nelle acconciature, o nelle espressioni del viso. La scultura funeraria permette in particolar modo di celebrare la loro elevazione sociale, non attraverso un’idealizzazione dei soggetti come succedeva in passato per la classe nobile o aristocratica, ma piuttosto attraverso la loro rappresentazione accurata e raffinata.

Artista di educazione neoclassica ma di inclinazione verista, Lorenzo Bartolini simboleggia il passaggio dall’idealizzazione dei soggetti a un’inclinazione naturalistica. È presente in Certosa attraverso il Monumento Malvezzi Angelelli, commissionato originariamente nel 1820 in memoria di Elisa Baciocchi. L’artista decise di integrare la figura di Elisa in un gruppo allegorico che simboleggiava “La Magnanimità che abbraccia il suo destino”. Durante la lavorazione del marmo, delle venature nere apparvero sul viso della statua raffigurante Elisa, e suo marito, il principe Felice, rifiutò di pagare un nuovo blocco di marmo, affermando che era l’artista che doveva comprarlo in segno di riconoscenza verso la principessa che l’aveva nominato direttore della Scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti a Carrara. Questo provocò una disputa che impedì l’esecuzione dell’opera come era stata concepita in origine, e la statua fu venduta al marchese Massimiliano Malvezzi Angelelli che la pose sulla tomba della sua famiglia, all’interno della Sala del Colombario presso la Certosa. Quest’opera dal simbolismo forte è profondamente ancorata nel neoclassicismo: l’idealizzazione del volto della figura femminile, la posa rigida, seduta sul trono con una lancia in mano, i panneggi morbidi della toga e l’acconciatura all’antica rimandano all’iconografia neoclassica. Un elemento annuncia però i primi segni della mutazione verso il realismo: il fanciullo appoggiato sulla gamba dell’allegoria. Anche se raffigurato come un nudo neoclassico, coperto solo da un leggero panneggio, la posa disinvolta del ragazzo e il naturalismo dei tratti del suo corpo infantile evidenziano l’inclinazione verista dell’artista.

Una delle figure di transizione tra il classicismo del primo Ottocento e il realismo della fine del secolo è Giovanni Dupré, che ricerca il naturalismo nelle forme e nei sentimenti. Un esempio del suo stile composito si trova alla Certosa nel Monumento Pallavicini, realizzato nel 1875 e collocato nella cappella progettata dall’architetto Antonio Zannoni. Il marmo può essere considerato realista in quanto Dupré ritrae il generale Giovanni Pallavicini con fedeltà, ispirandosi a ritratti settecenteschi noti ed effettuando anche un viaggio a Vienna per osservare di persona il tipo di abito militare indossato dal generale. Mentre di solito Dupré valorizza la bellezza suggestiva e spirituale delle sculture, privilegia in questo caso la fedeltà storica e la rappresentazione onesta e accurata del soggetto. Il generale Pallavicini è raffigurato in abiti settecenteschi molto dettagliati, con un’acconciatura ricercata, tipica del periodo. L’opera, anche se adeguata al gusto verista dell’epoca, non rientra nel realismo borghese, poiché rivolge lo sguardo verso il passato e non raffigura una persona borghese, ma piuttosto un personaggio dell’aristocrazia militare. Però, anche se Dupré non aderisce mai alla cultura borghese, il naturalismo delle sue opere rimanda alla ricerca della veridicità promossa dal realismo.

Augusto Rivalta (1835-1925), allievo di Dupré, segue l’indirizzo verista accennato dal maestro realizzando in Italia numerosi monumenti celebrativi e lavorando in modo particolare nel cimitero di Staglieno a Genova. In Certosa esegue il monumento Minghetti, realizzato attorno al 1872. L’opera è commissionata dalla madre, raffigurata nell’altorilievo, in omaggio ai suoi figli deceduti. Non si contraddistingue per la qualità compositiva dell’insieme, ma per l’esecuzione dei dettagli, in particolare dei due coniugi e dei tre fratellini. Nel bassorilievo collocato alla base del monumento e contornato da una cornice a rilievo con fiori, troviamo i ritratti dei tre fratelli Minghetti: Giuseppe, Emanuela e Teresa. La scena illustra l’immagine intima di una famiglia borghese: i due fratelli più grandi, vestiti in modo raffinato, sono riuniti attorno alla culla della sorellina, coperta da un delicato panneggio. Il fratello, seduto su una sedia moderna, adotta una posa pensierosa, mentre la sorella effettua un gesto affettuoso con la mano destra. L’artista non rappresenta un’immagine ultraterrena, popolata da angeli e da allegorie, ma sceglie invece di raffigurare la contemplazione del riposo silenzioso della morte. Contrariamente alla tradizione precedente, gli abiti indossati dai bambini sono fortemente semplificati rispetto agli abiti degli adulti, rispecchiando in modo realistico la loro giovinezza, accentuando così la tragicità della morte. L’abbigliamento e i mobili indicano qui, come di consueto, lo statuto sociale borghese della famiglia.

Uno degli artisti maggiori della cultura realista borghese alla Certosa è Carlo Monari (1831-1918), allievo del classicista Cincinnato Baruzzi. Riceve alcune commissioni di opere pubbliche ed è particolarmente presente nel cimitero, eseguendo quasi trenta opere tra piccoli ritratti, busti e sculture di grandi dimensioni. Riprende la matrice classica derivata dalle lezioni del maestro e ci integra il nuovo linguaggio verista, con scelte spesso innovative: utilizza delicate patinature nei capelli e nei panneggi, e si serve di diversi strumenti per dare al marmo finiture differenti, le quali donano alle figure un aspetto di raffinato realismo. In Certosa esegue nel 1867 il modello per il Monumento ai Martiri dell’Indipendenza. L’imponente opera in gesso, collocata nella Sala delle Tombe nel 1883, raffigura un leone ferito, ruggente, appoggiato su delle armi e sulla bandiera nazionale. Commemora la cacciata degli austriaci da parte dei bolognesi l’Otto agosto 1848. Per onorare la memoria dei bolognesi caduti durante i moti e le guerre risorgimentali, Monari sceglie il motivo del leone, animale simbolico presente nello stemma di Bologna. La composizione potrebbe essere stata progettata pensando ad opere precedenti, come il Leone di Lucerna realizzato dal neoclassico Berthel Thorvaldsen nel 1821 che ricorda i membri della Guardia Svizzera Reale morti tentando di proteggere Luigi XVI nel 1792. La scultura rappresenta un leone agonizzante, appoggiato su delle armi, nell’atto di proteggere la bandiera nazionale prima di morire eroicamente. L’opera di Monari rimanda anche all’opera zoologica realistica più tarda di Antoine-Louis Barye, che realizza nel 1833 un Leone che schiaccia un Serpente, simboleggiando la ferocità e la potenza attraverso un leone colossale. Ma nell’opera di Monari, non c’è più né il senso di pathos eroico evocato da Thorvaldsen, né l’idea di lotta romantica progettata da Barye, ma piuttosto l’immagine del dolore e della morte. Nonostante stia ruggendo e gli sia rimasta la sua bestialità, il leone è ferito al fianco, sta arretrando e ha i peli rizzati. Rimangono vivi il simbolismo e lo slancio tragico, ma il leone, invece di essere idealizzato, viene raffigurato nella sua realtà mortale. E infatti, quando viene deciso di costruire un grande monumento sulla Montagnola, in occasione del 50° anniversario della battaglia, il lavoro di Monari, prima scelto come modello, è poi ritenuto inadeguato. Infatti, secondo la Commissione d’arte incaricata di esaminare il progetto, “il Leone, così com’è rappresentato, con una ferita al fianco e colla bandiera abbassata, sta a significare una sconfitta”. È questo senso di fragilità, di solito cancellato nelle opere neoclassiciste e romantiche, che porta il Consiglio comunale a bandire un concorso per la presentazione di un nuovo bozzetto, ed è il progetto di Pasquale Rizzoli che verrà poi accettato ed eseguito.

Ma l’opera emblematica del realismo borghese in Certosa è sicuramente il monumento dedicato a Enea Cocchi, realizzato da Monari nel 1867-68, contemporaneo a simili temi proposti da Vela e Dupré. La composizione del monumento, dedicato al giovane uomo deceduto all’età di diciotto anni, rinnova un celebre modello neoclassico, certamente noto allo scultore. Infatti, la posa naturale e disinvolta del fanciullo ricorda il Monumento a Letizia Bonaparte eseguito da Canova nel 1807. La sedia stile classico del monumento canoviano è stata sostituita da una poltrona stile Napoleone III, di moda nel 1867, le cui frange sono scolpite con precisione nei dettagli. Il panneggio classico indossato da Letizia Bonaparte si trasforma nel monumento di Monari in un abbigliamento maschile caratteristico dell’Ottocento, che evoca il sontuoso stile dandy, costituito dai classici tre pezzi: giacca, pantaloni e panciotto. La presenza di un orologio da taschino, oggetto ottocentesco tipico, è tradita dalla catenella che pende dall’abbottonatura del panciotto e che giunge sino al taschino. Inoltre, l'epigrafe posta nel basamento del monumento, che legge “Qui riposa Enea Cocchi, giovanetto di cuore generoso e d'ingegno svegliato”, e il libro sfogliato che il fanciullo tiene aperto con l’indice della mano destra simboleggiano un altro aspetto importante della cultura borghese: gli studi. Con il monumento a Enea Cocchi, Carlo Monari è l’antesignano del realismo borghese che si diffonderà nella scultura funeraria in Certosa a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento.

Altro artista di rilievo che lavora abbondantemente alla Certosa nell’Ottocento è Alessandro Massarenti. Allievo a Bologna di Massimiliano Putti e Salvino Salvini, termina i suoi studi a Firenze con Giovanni Dupré. Negli anni di maturità, si allontana però dal linguaggio purista e dal naturalismo romantico di Dupré per avvicinarsi a un realismo dalle forti connotazioni sentimentali. Presente in numerose esposizioni nazionali, Massarenti è molto attivo in ambito cimiteriale a Bologna e a Ravenna, dove lascia monumenti di grande qualità plastica, memori del realismo borghese. Un esempio tra i numerosi è la Tomba Zanichelli, databile al 1886 e dedicata al fondatore della casa editrice dello stesso nome. L’artista unisce nel monumento il severo busto realistico del defunto, vivacemente volto a destra, e nei pilastri una ricca decorazione a grottesche neorinascimentali con elementi vegetali e animali molto simbolici. In basso, un angioletto asimmetricamente appoggiato a sinistra in atteggiamento dolente, reggeva, prima di essere rubato, uno dei nastri dello stemma della casa editrice, posto su una pila disordinata di libri. Alessandro Massarenti esegue anche nel 1889 la Tomba di Angelo Minghetti, fondatore dell’omonima azienda ceramica. Il monumento, totalmente realizzato in maiolica, unicum nel cimitero, oppone alla lunetta robbiana e alla fitta decorazione neorinascimentale il ritratto dai forti accenti veristi e scapigliati del defunto.

Contemporaneo a Massarenti, con il quale condivide la stessa formazione accademica, è lo scultore bolognese Enrico Barberi, che realizza nel 1891 il Monumento marmoreo Bisteghi. Artista meditativo, cura in maniera ossessiva ogni dettaglio, dal crudo realismo del defunto alla minuziosa resa dei tessuti, dei volti, e dell’intaglio neorinascimentale del letto. Contrappone a questi elementi un maestoso angelo Liberty che sottolinea la capacità di Barberi di adattarsi al nuovo gusto simbolista e Liberty che si diffondeva in Europa in questo periodo. Il monumento Cavazza del 1893, con il Cristo dai forti particolari veristici e l’altare tardo gotico dal delicato tappeto marmoreo con la fitta decorazione neorinascimentale, è uno dei primi esempi in Certosa del nuovo gusto di revival che si diffondeva in città grazie all’opera di Alfonso Rubbiani. Enrico Barbieri è quindi uno scultore a cui piace fondere gli stili e che personifica la transizione tra realismo borghese e movimento Liberty. Il realismo borghese è un movimento che trova la sua maggiore diffusione nelle commissioni private, in particolare in ambito cimiteriale. Le sculture di questo movimento ci offrono uno sguardo su uno spaccato della società e dell’arte ottocentesca, caratterizzate dall’emergenza esponenziale della borghesia e da un interesse sempre più importante per il naturalismo e le rappresentazioni oggettive della realtà.

Clothilde Guégan, 2021

Bibliografia di riferimento: Definizione «realismo», Enciclopedia Treccani; Articolo «Il realismo borghese tra vialetti e statue a Staglieno», La Repubblica;  Articolo «Freud, Bologna e la Certosa, 1 Settembre 1896», Storia e Memoria di Bologna; «Monumento di Enea Cocchi», Storia e Memoria di Bologna; Articolo «Aristocrazia e borghesia. Evoluzione della scultura in Certosa nell’Ottocento», Storia e Memoria di Bologna; Articolo «La Certosa, un luogo rappresentativo di stili e arti del Novecento, 1900-2000», Storia e Memoria di Bologna.