Pizzardi Francesco

Pizzardi Francesco

1 Marzo 1846 - 6 Novembre 1919

Note sintetiche

Scheda

Francesco Pizzardi, marchese bolognese appartenente ad una famiglia di recente nobiltà (il titolo era stato acquistato nel 1831 per “sistemare” finalmente la posizione familiare, divenuta assolutamente preminente nella provincia bolognese in epoca napoleonica grazie agli acquisti di terre e palazzi che gli avi di Francesco poterono effettuare al momento della vendita dei beni ecclesiastici, impiegando la forte liquidità accumulata nel secolo XVIII), era figlio di Luigi, primo sindaco di Bologna al tempo dell’Unificazione italiana e di Maria Marescotti Berselli, morta giovanissima dopo aver dato alla luce il quarto figlio. Francesco era il primogenito. Dei suoi fratelli a Bologna si ricorda in particolare Carlo Alberto, che alla propria morte, avvenuta senza eredi nei primi anni ’20, lasciò il proprio ingentissimo patrimonio agli ospedali ed alla città di Bologna. La sua vicenda personale fu diversissima da quella dei fratelli Carlo Alberto e Camillo (l’unica sorella, Carolina, lasciò Bologna per Napoli al momento del matrimonio). Tutt’altro che interessato al mondo degli affari e della politica condusse sin da giovanissimo vita scapestrata, creando non pochi pensieri alla volitiva nonna materna, Elena Gozzadini Marescotti, che sempre si occupò dei nipoti orfani, ed al padre. Sicuramente soffrì per la mancanza della madre e per la presenza a dir poco saltuaria del padre, tutto dedito agli affari ed alla politica. Passò inoltre lunghi anni in collegio a Siena.

Intorno ai vent’anni vestì l’uniforme degli ussari di Piacenza (ne resta una simpatica fotografia, nella quale si fece ritrarre in atteggiamento decisamente informale: la giacca, la sciabola e la sabre-tache gettate con noncuranza su un tavolino, e lui in camicia, con berrettino storto in testa, sigaro in bocca e aria sbruffona seduto su una sedia con lo sguardo rivolto all’obiettivo), ma già a quel tempo i suoi interessi si dimostrarono altri: il gioco (a causa delle forti somme sperperate ai tavoli da gioco, mentre era nell’esercito venne anche “inabilitato “ temporaneamente “per cagione di prodigalità”) e la caccia. Nel 1869 fu al centro di una triste vicenda: uccise in duello alla pistola il giovane Giuseppe Mazzacorati, sembra per questione di donne. Nel frattempo era maturata in lui, anche grazie alla conoscenza delle raccolte egizie di Pelagio Palagi che si poterono osservare nella città di Bologna nel 1871, una vera passione per l’Oriente ed i suoi misteri (era epoca in cui relazioni di viaggio e narrazioni di avventure in terre inospitali erano diffusissime, ed ottenevano sempre un larghissimo successo). Nel 1877-78 effettua un lungo viaggio in India (cfr: Da Bologna all'India: il viaggio del signor marchese Francesco Pizzardi (1877-1878), a cura di Angelo Varni, Bologna, Bononia University Press, 2006), di cui restano lettere e souvenir, ma le sue passioni trovano sfogo anche in Sardegna, tra Macomer, la Maddalena e Oristano, dove per mesi effettua battute di caccia nell’inverno 1880-81; a Parigi e a Londra, a Singapore e in Indonesia (1883). Della sua passione per la caccia restarono, lasciati in eredità al fratello Carlo Alberto, una ingente raccolta di animali impagliati, che Francesco conservava in un appartamento appositamente tenuto in affitto in palazzo Montanari a Bologna (che poi venne donata ai Musei universitari di Bologna). Muore a Montecarlo il 6 novembre 1919.

Spigolando tra le pagine di Da Bologna all'India: il viaggio del signor marchese Francesco Pizzardi (1877-1878): Francesco parte da Bologna il 13 ottobre 1877, con la “Valigia delle Indie”, il mitico treno che da Modane a Brindisi attraversava la penisola intera trasportando corrispondenza e viaggiatori tra Londra e Bombay negli anni tra il 1870 ed il 1914, e che era stato attivato dagli inglesi per meglio raggiungere i Dominions indiani passando attraverso l’Egitto, grazie all’apertura del Canale di Suez. Il viaggio aveva frequenza settimanale, e riduceva la durata del viaggio dai 100 giorni prima occorrenti per effettuare il viaggio da Marsiglia, con il periplo dell’Africa, alla metà del tempo. Nelle sue lettere, che, ribadisce, sono per “uso” familiare, non dunque destinate alla pubblicazione, Francesco annota le sue impressioni un po’ su tutto, e proprio la sincerità delle sue annotazioni e dei suoi commenti lo rende, oggi, tanto interessante e divertente. Si trovano considerazioni sulle popolazioni locali, spesso condite di un forte sarcasmo: “vi si vede gente di tutti i colori; il nero però predomina; ma non credo sia sempre un distintivo di razza orientale: e sono sicuro che se ad alcuni di questi neri si infliggesse un bagno con una violenta saponata, si scoprirebbe che essi sono semplicemente Europei di razza sporca” (p.36). E’ decisamente conscio del valore dell’appartenenza alla società aristocratica, ma… “Siamo colmati di gentilezze (sulla nave tra Aden e Bombay)… credo che dobbiamo tutte queste dimostrazioni all’essersi saputo che abbiamo lettere di raccomandazione pel Viceré, ed in parte anche a quello straccio di corona ducale, e marchionale che brilla sulle nostre carte da visita, e che sugli inglesi fa sempre un effetto straordinario” (p.43). E ancora, annotando che per rispetto ed amicizia gli inglesi a Bombay fanno scortare lui e i suoi compagni dai policeman a cavallo, scrive “questo fa sì che siamo presi per pezzi grossi e tutti i policeman ci salutano per la strada. Mi par d’essere “Arlecchino finto Principe”” (p.50). I locali, del popolo o dell’aristocrazia, non vengono risparmiati: il corteggio del maraja, con processioni di elefanti bardati, suonatori di vari strumenti, battitori ecc. gli strappa questo commento “non ho mai veduto uno spettacolo più strano, più grottesco e più pittoresco di questo. Immagina la marcia dell’Aida in grande, in molto grande” (p.54), o ancora “ieri vennero a pranzo altri 4 Nabab, sono più bruti che uomini; immagina un Orangoutan con 2 o 3 milioni di pietre preziose addosso” (p.61). In merito alla religione, autoctona o importata: dopo aver assistito a cerimonie religiose annota “ I sacerdoti vennero ad inchinarsi… poi una delle nautch presentò un piatto con due lumini accesi, domandandoci qualche cosa per il loro Dio. Pare che anche qui Dio, o chi per lui, abbia un gran bisogno di quattrini” (p.100), mentre, parlando degli abitanti di Goa, colonia portoghese, dopo aver descritto pratiche di conversione forzata attuate dai missionari nei secoli passati, dice che i cattolici locali “sono falsi, ladri e vili. E’ portentoso vedere come la religione cattolica stampa in ogni luogo un marchio indelebile di viltà e corruzione. … il lerciume, ecco un’altra delle qualità che molto spesso distingue i seguaci della nostra santa religione. Tutti gli altri indigeni sono pulitissimi…”. I suoi corrosivi commenti non risparmiano nulla e nessuno: annota che è curioso che in Italia si parli tanto del loro viaggio, e lo si critichi anche. Secondo lui non c’è nulla da criticare, e poi, se sapessero che noia! “ho passato e passo dei giorni di noja colossale. Ma questo dipende molto dai miei gusti. Io non amo che la caccia: le visite ai monumenti e alle rovine alla lunga mi seccano, e la vita di società che qui bisogna fare mi secca più dei monumenti” (p.112). Per chiudere, ecco la sua postilla alle lettere che gli comunicano che, poco dopo la morte del Re Vittorio Emanuele II, anche il Papa Pio IX è deceduto: “Mi pare che i nostri pezzi grossi se ne vanno uno ad uno. Buon viaggio!”

Mirtide Gavelli

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Bologna post unitaria
Bologna post unitaria

Quadro socio politico della Bologna post unitaria nel periodo 1859-1900. Intervista ad Alberto Preti. A cura del Comitato di Bologna dell'istituto per la storia del Risorgimento italiano. Con il contributo di Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. www.vedio.bo.it

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Lettura (La)
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Articoli di argomento vario: Touring Club, esplorazioni, cultura funeraria, criminologia e brigantaggio, miniere di zolfo, fusione delle campane, eloquenza, pedagogia, scultura. Estratti dal periodico 'La Lettura - rivista mensile del Corriere della Sera', Milano, 1905/1906

Eredità di Carlo Alberto Pizzardi (L')
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La storia di Bologna passa anche attraverso la generosità del marchese Pizzardi, al quale si devono restauri illustri e due dei maggiori ospedali cittadini.