Piramide

Piramide

Scheda

"Poliedro a più facce triangolari, che dal piano di base si riducono in un solo punto di vertice comune. La figura piramidale più comune nell’arte è quella usata dagli egiziani nelle loro più antiche e colossali creazioni architettoniche, delle quali un centinaio circa sfidarono i secoli sul lembo orientale del deserto di Libia e parlano tuttora eloquentemente della grandezza di quel Popol tenace, che ad antiqui mostri / Giganteggianti in eternal granito (Zanella) si prostrava “sepolto nelle sue caste e nel suo rito”.

La piramide fu certamente conosciuta anche da altri popoli; essa entra nell’archeologia sacra degli antichi peruviani come in quella degli etruschi, che a Chiusi avrebbero sepolto il loro re Porsenna in una piramide (Plinio). Se non che i meravigliosi edifici geometrici conservano un proprio secreto, non acora svelato. I dotti sono scesi nel cuore di quelle immense moli, fra le tenebre secolari, alla luce di fiaccole che l’aria viva non agita. Vi trovarono la immensa necropoli regale; i geroglifici tradirono l’arcano di quelle tombe. In alcune di esse una bianca statua ha gli eguali lineamenti del defunto; perocché credevasi che le salme anche dopo la morte dovessero servire di sostegno all’anima, e questa non potesse convenientemente adattarsi alla vita extra-terrena in una conformazione diversa delle sue membra viventi. Ma un mistero religioso o scientifico rende la piramide impenetrabile come un enigma. Ne tentarono la chiave Erodoto; Diodoro Siculo; Strabone; Platone, che le riteneva osservatori astronomici; Aristotele che loro conferiva un mandato politico e sociale, avendole – secondo lui – i Faraoni fatte costruire per dare occupazione al loro popolo affinché non si ribellasse. Altri pensarono che Cheope edificasse la grande piramide per dare lavoro ai prigionieri di guerra. L’arado Ebù-Abd-el-Hokm fantasticò nell’attribuire al grandioso monumento l’officio di deposito degli immensi tesori regali, delle opere artistiche, delle invenzioni scientifiche. I teosofi stimarono invece avessero simbolo religioso: l’anelito dell’anima che come una fiamma aspira al cielo e si erge nell’azzurro; la vita umana, il cui principio si innalza dalla base (Noel). Gli egittologi più recenti concludono che esse erano consacrate alla scienza, figurando con le loro facce triangolari l’unità e la trinità per eccellenza, e con la base quadrata il mondo. Le osservazioni astronomiche, geodetiche e geografiche erano compiute nella grande piramide, libro immenso aperto agli iniziati. Gli ermetici hanno per la piramide un culto particolare. “Ogni scienza da essa deriva, ogni scienza ad essa conduce; per comprendere la Luce basta scomporre la Piramide, e studiarne le parti”. Così parlavano i magi a Ram, druido e figlio di druidi, quando si reca in Egitto a ricercarvi alcuni “Dei, isolati in città recinte da mura enormi, che pretendevano conoscere tutti i Misteri del mondo e si assorbivano nella contemplazione di una Piramide” (Saunier). Scrive un autore massonico: “La base della Piramide rappresenta il punto di partenza della perfezione ed il vertice il punto di arrivo... Alla base... v’è tutto il popolo massonico, cioè tutti gli iniziati, che sono esseri perfettibili. Alla cima – dopo le diverse altezze di perfezionamento avvenuto, vi è il Gran Maestro – ch’è come il Sommo Sole – che sintetizza le perfezioni, le virtù, il pensiero dell’anima massonica e personifica il Grande Architetto” (A. Imbriaco). Le dimensioni delle piramidi dimostrano ch’esse furono costruite secondo un metodo astronomico o geografico determinato. Il monolito che si trova nella così detta “camera del re” avrebbe servito a dare le misurazioni per le piene del Nilo. La grande piramide è una formula geometrica gigantesca (Day). Il Persigny, invece, è del parere che le piramidi avessero lo scopo di stornare dalla valle niliaca le bufere del deserto, e si ricorda, a proposito, che la lotta fra il gran fiume e il deserto, fra Osiride e Tifone, è tema arcaico nell’Egitto, ed a significarlo nella teologia simbolica si diceva che Osiride aveva chiuso nell’uovo primitivo – d’onde era stato tratto il mondo – dodici piramidi bianche, per indicare i beni infiniti di cui voleva colmare gli uomini; ma Tifone, suo fratello, avendo aperto quell’uovo, vi introdusse pure dodici piramidi nere, sorgente di tutti i mali sparsi sulla terra. Certo è che quel gran popolo tentò in mille modi di riparare ai danni del Simoun cocente, che infuria spaventoso, e la postura delle piramidi alla foce del Nilo sarebbe stata scelta con criteri pratici. Infatti il Persigny rileva che la sabbia non si è ammonticchiata alla base delle piramidi che di qualche piede, mentre sollevò quasi la famosa sfinge.

E’ però facile indurre che alla stabilità delle piramidi contribuì la loro figura, per cui la superficie che si presenta è più atta a resistere alle violenze dei tempi, delle stagioni e degli uomini; e da ciò nasce l’argomentazione analogica che crea il simbolo della piramide, come quello della fermezza. “Niuna forma è più atta e più potente a durar contro ogni avversa violenza” (Ruscelli); nel palazzo del Quirinale si dipinse la allegoria della Confirmazione con la piramide al lato; e gli araldisti cortigiani, trasportando il senso materiale nell’immateriale, ponevano nel blasone la piramide, per significare la virtù, la costanza, la gloria. (Ginanni). Citiamo – ad esempio – uno degli elogi riportati dal Ripa, dedicati al cardinale Salviati, istitutore pio e beneficente di Roma, insieme ad una figurazione allegorica con la piramide: Pyramidis Pharia moles operosa Puella / Cur se sublimen tallit ad astra manu? / Gloria sic pingi voluit, qua vertice Coelum / Contingens magno parta labore venit. L’impresa della piramide non scrollata dai venti furiosi fu quella degli accademici Ostinati di Viterbo (Gelli)." (Testo tratto da: Giovanni Cairo, "Dizionario ragionato dei simboli", Ulrico Hoepli, Milano, 1922 - febbraio 2022).

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Opere

Documenti
Piramidi di Egitto (Le)
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Architettura - Le Piramidi di Egitto. In Salvatore Muzzi; Miscellanea artistica, scientifica e letteraria; Bologna, 1843. Collezione privata. © Museo del Risorgimento Bologna | Certosa.