Pincherle Salvatore

Pincherle Salvatore

11 Marzo 1853 - 10 Luglio 1937

Note sintetiche

Scheda

La sera del 10 luglio 1936 cessava improvvisamente di vivere SALVATORE PINCHERLE, professore nel nostro Studio dal novembre 1880, matematico di grande fama, insigne maestro, figura nobilissima per altezza di ingegno, per dignità di carattere, per semplicità di vita, informata a giustizia, a bontà, ad austera disciplina del dovere.

Nato a Trieste l’11 marzo 1853 ebbe la prima iniziazione matematica nel Liceo imperiale di Marsiglia, dove la sua famiglia si era trasferita. Normalista in Pisa (dal 1870 al 1874) quando il Dini stava approntando nei corsi universitari il materiale che poi venne alla luce nei «Fondamenti per la teorica delle funzioni di variabile reale», acquistava insieme colla padronanza della materia, l’abitudine mentale a quel rigore di metodo che quel grande maestro sapeva portare nella scuola come base agli studi di analisi.
Ma non minore forse fu l’influenza della geniale personalità del Betti, che fortemente risentiva delle idee e dei metodi, in fatto di teoria delle funzioni, promossi dal Riemann. La sua istituzione matematica, già così bene avviata, si compiva con un anno di perfezionamento (1877-78) presso le scuole universitarie di Berlino, dove ascoltava le lezioni del Kummer, del Kronecxer, e, con particolare interesse del Weierstrass. Tornato in Italia nell’autunno del 1878, riprendeva l’insegnamento nel Liceo Foscolo in Pavia, dove era entrato professore nel 1875, ed in quella università svolgeva la Teorica delle funzioni analitiche secondo Weierstrass, allora nuova per l’Italia, con un corso libero che ebbe, a frequentatori di eccezione, Casorati e Beltrami. Di quella teoria fece poi oggetto di una pubblicazione, che fu per il pubblico degli studiosi una rivelazione. Nella primavera del 1880 fu nominato, in seguito a concorso, professore di analisi algebrica e Geometria analitica nella Università di Palermo, e nell’autunno dello stesso anno fu chiamato al medesimo insegnamento nella nostra Università, ed in questa sede è rimasto fino al termine della sua vita.Nel 1912 aveva fatto passaggio alla cattedra di Analisi infinitesimale, e nel 1928, collocato a riposo per aver raggiunto i limiti di età, era entrato nella classe degli emeriti. Fin dal primo anno di sua permanenza fra noi ebbe l’incarico della Geometria superiore, che successivamente mutò in quelli di Matematiche superiori, di Analisi superiore, di Teoria delle funzioni.
Dopo il collocamento a riposo non tralasciò dal fare ogni anno corsi di conferenze e di lezioni integrative su varie parti della materia, che illuminava colla sua vasta cultura, che si stendeva anche in campi contigui, ed esterni alla pura matematica. Colla sua venuta fra noi, nel 1880, con quella contemporanea dell’Arzelà e del Donati, si iniziava una nuova èra per la scuola matematica bolognese, che nonostante le sue antiche tradizioni e la presenza di illustri maestri, quali il Chelini, il Cremona, il Beltrami, solo allora poteva aver completati i corsi necessari alla laurea. Le funzioni di variabile reale furono introdotte nel nostro Studio dall’Arzelà, secondo l’indirizzo del Dini, con quel brillante successo che a tutti è noto. La teoria delle funzioni analitiche, secondo il Weierstrass, nuova per l’Italia, fu introdotta dal Pincherle nel suo insegnamento. Per naturale disposizione dello spirito e per iniziazione culturale portato all’ecclettismo, il Pincherle non seguì pedissequamente l’indirizzo del Weierstrass, ma diede ai suoi corsi ed alle sue ricerche una intonazione personale, contemperando le direttive del Weierstrass coi metodi seguiti dal Cauchy e dal Riemann nella teoria delle funzioni di variabili complesse. Fin dai suoi primi saggi traspare la tendenza alla generalizzazione, ed alla ricerca delle leggi, nella generazione degli enti analitici per successive trasformazioni, o, come Egli diceva, per operazioni funzionali, che da elementi semplici e noti danno origine ad altri via via più complicati. Studiò quelle operazioni intrinsecamente, o, come Egli diceva qualitativamente, cioè non in vista della soluzione numerica di un determinato problema, ma della ricerca delle condizioni essenziali che effettivamente entrano in gioco nel procedimento risolutivo, e delle classi di problemi in cui tali condizioni sono soddisfatte.

Seppe poi, con intuito felice, ridurre tutte le operarazioni, che normalmente intervengono nelle teorie analitiche, ad un unico principio: «Considerare gli enti matematici come totalità di elementi semplici, e studiare le trasformazioni che quegli enti subiscono per operazioni elementari eseguite sugli elementi onde sono costituiti». Nella rappresentazione mediante sviluppi in serie, sono elementi semplici i termini della serie, in quella mediante integrali definiti, la quantità sotto il segno (il differenziale). Nella Teoria delle funzioni analitiche tutti gli enti che si considerano (funzioni analitiche) si possono ottenere con trasformazioni omografiche da un’unica base, costituita dalle potenze con esponenti interi, positivi, negativi o nulli della variabile complessa. La totalità delle funzioni analitiche fu perciò da Lui considerata come uno spazio lineare ad infinite dimensioni, determinato da quella base, e la Teoria delle funzioni, come studio di trasformazioni, che operano sugli elementi di quello spazio alla stregua di operazioni aritmetiche nel campo numerico. Questa veduta, che costituisce una delle più geniali caratteristiche dell’opera matematica del Pincherle, forse risente della tendenza alla aritmetizzazione, coltivata nella scuola del Weierstrass. Ma, nel campo funzionale sono punti le funzioni analitiche, ed alla determinazione di ciascun punto occorre una infinità numerabile di coordinate, e, nella interpretazione aritmetica, i numeri sono enti ideali riferiti ad un sistema di numerazione con una infinità numerabile di. unità distinte. La classe delle trasformazioni lineari in tale spazio ha la potenza del continuo. Questi concetti sono ora abbastanza ovvi; ma al tempo in cui il Nostro pubblicava i suoi primi saggi su tale argomento (1882) l’introduzione di un cosifatto indirizzo nella analisi matematica era cosa di assoluta novità. Prima di intraprendere lo studio generale ed astratto delle operazioni funzionali, secondo tale veduta, il Pincherle ha esaminato classi particolari (già abbastanza vaste), di tali operazioni, e ne ha successivamente ampliata la estensione per due strade diverse: 1°) Riducendo a forma generale ed astratta i procedimenti escogitati dai maestri della scienza per lo studio dei problemi particolari da essi considerati. 2°) Studiando direttamente, da un punto di vista intrinseco, le classi di operazioni che presentano più diretta e vasta applicazione, e riducendo la risoluzione dei casi già studiati nel quadro di una scienza universale per quella vastissima classe di operazioni che Egli disse Distributive. Come prime basi dell’edificio da costruire, pose lo sviluppo in serie di funzioni analitiche; al modo di Weierstrass, e la rappresentazione mediante integrali definiti del Cauchy.

In relazione con queste due rappresentazioni analitiche introdusse due operazioni fondamentali, che poi vide potersi ridurre ad un unico concetto: 1°) Il prodotto ordinato dei singoli termini di uno sviluppo in serie di funzioni analitiche f(x) = Σ φ n (x) per gli elementi di una successione (caratteristica) ψ n (x) di funzioni analitiche (o di costanti numeriche), che trasforma la funzione data f(x) = Σ φ n (x) nella funzione F(x) = Σ φ n (x) ψ n (x). Questa trasformazione è studiata sotto il triplice aspetto: a) Determinazione qualitativa delle classi di funzioni F(x) che corrispondono a determinate classi di funzioni f(x), in relazione colla successione caratteristica ψ n (x); b) Sviluppo di una data funzione F(x) in serie di funzioni analitiche. c) Condizioni di effettiva esistenza funzionale degli enti analitici formalmente ottenuti. 2°) L’operazione caratterizzata da una funzione ψ n (x, y) delle variabili x, y, per mezzo della quale ogni funzione analitica φ (x) viene trasformata nella funzione F(x) = ∫ ψ (x, y) φ (x)dy (c) considerata sotto il triplice aspetto: a) Generazione per integrazione definita di nuove classi di funzioni analitiche. b) Inversione della operazione indicata, cioè dell’integrale definito, o, come più tardi si disse: risoluzione della equazione integrale di prima specie F(x) = ∫ ψ (x, y) φ (y)dy nella quale la (c) funzione caratteristica ψ (x, y) è quella che fu di poi detta Nucleo della equazione integrale. c) Condizioni di validità effettiva per le operazioni considerate. È del 1882 uno studio completo del caso che considera gli elementi caratteristici ψ n (x) come costituenti un sistema di funzioni limitate nel loro insieme, in un dato campo. Ed in quella memoria, dovendo definire il concetto, allora nuovo nell’analisi, di sistemi di funzioni limitate nel loro insieme, si premette un Lemma, che comprende come caso particolare il teorema (di copertura) che 12 anni dopo il Borel enunciava e che è diventato classico (col nome di Borel) nella teoria della misura. Le memorie pubblicate negli anni 1886-96 studiano le operazioni rappresentate da integrali curvilinei della forma: F(x) = A(φ) = ∫ A(x, y) φ (y)dy, (c) e le loro inverse, dal punto di vista della teoria generale delle operazioni funzionali, indipendentemente cioè dalla espressione analitica della funzione caratteristica (Nucleo) A(x, y). Dalle considerazioni generali, per speciali determinazioni del Nucleo si deducono risultati interessanti, che comprendono come casi particolari le trasformazioni di Euler, di Laplace, di Abel...; si dimostra che il problema della inversione di quegli integrali racchiude quello dello sviluppo di una data funzione in serie di funzioni analitiche. Si osserva che le operazioni A permutabili colla derivazione trasformano le potenze intere della variabile in polinomi (di Appel) della stessa variabile; sono cioè omografie nello spazio funzionale. Lo studio generale dello sviluppo di una data funzione in serie di funzioni A n (x) procedenti secondo una data relazione ricorrente (proprietà comune alle funzioni sferiche, cilindriche ed alle loro varie generalizzazioni), ha dimostrato che questo problema equivale a quello della risoluzione della equazione funzionale corrispondente ad un Nucleo di forma.

Queste speciali proprietà di tali sistemi di funzioni, lo indussero allo studio intrinseco delle relazioni ricorrenti, cioè delle equazioni alle differenze finite, a ciò eccitato anche dalla corrispondenza con Hermite che in quel frattempo, aveva trovato relazioni di ricorrenza, nei sistemi di polinomi che intervengono in problemi di approssimazione, da lui studiati, nello stesso modo che sono integrali di equazioni alle differenze del secondo ordine i termini delle ridotte di frazioni continue atte alla rappresentazione approssimata di irrazionalità numeriche. Il Pincherle si impossessò della questione, studiando il problema inverso: prese come punto di partenza l’equazione ricorrente generale dell’ordine n, e si propose di stabilire, in relazione con essa, un algoritmo, analogo a quello delle frazioni continue. In questo campo tutto era da rifare: incominciando dalle equazioni alle differenze, da lungo tempo trascurate dagli analisti. A quei nuovi studi il Pincherle ha dedicato tutta la sua attività scientifica negli anni dal 1889 al 1895, ad essi si riferiscono le memorie pubblicate in quel periodo, e da quel copioso, interessantissimo materiale è risultata intera e completa una teoria delle equazioni e delle forme lineari alle differenze, secondo indirizzi moderni, ed il nuovissimo algoritmo delle frazioni continue algebriche generalizzate. Lo studio delle forme lineari alle differenze rientra in quello delle Operazioni funzionali distributive, e questo studio Egli riprese nel 1895 da un punto di vista più strettamente sintetico. Definita la derivata funzionale della operazione A’(φ) mediante la formula A(x, φ) — xA(φ), trova per ogni operazione funzionale distributiva A, comunque concepita, le formule, analoghe a quelle di Maclaurin e di Taylor, nel che sono fondamentali in questa teoria; e dimostra la esistenza di un campo funzionale di convergenza nel quale esse sono valide. Sostituendo poi nella formula la derivata colla sua espressione data dal teorema di Cauchy, trova che qualunque operazione funzionale distributiva nel campo delle funzioni analitiche può essere rappresentata dalla formula: A(φ) = ∫ A(x,φ) φ(y)dy (c) che è appunto quella, con singolare intuito, da Lui segnalata fin dal 1886. Dall’esame delle formule scritte risulta inoltre che il problema della inversione della operazione A ed in particolare quello della ricerca delle radici di tali operazioni, si riconduce a quello della integrazione di una equazione differenziale lineare di ordine infinito. Considerando, infine, le operazioni distributive che conservano quella proprietà formale anche per somme di infiniti elementi (e sono tali quelle che operano nel campo funzionale da lui studiato), ha trovato che tali operazioni si identificano colle omografie in tale spazio, ed ha scoperto che, mentre per queste omografie si conservano tutte le altre proprietà generali delle omografie in uno spazio ad un numero finito n di dimensioni, così non è per ciò che riguarda la degenerescenza, che per n = ∞ si presenta sotto due forme diverse, da Lui partitamente studiate. E questa scoperta che ha notevole importanza in quella teoria potrebbe ben avere nella scienza il nome di Lui.

Il materiale contenuto nelle opere pubblicate fino al 1900 è sistematicamente raccolto nell’opera: Le operazioni distributive e le loro applicazioni all’analisi, composta in collaborazione con uno dei migliori suoi discepoli e pubblicata nel 1901. Fra le applicazioni analitiche che di poi ne fece, riprendendo sotto nuovi punti di vista i problemi fondamentali dello sviluppo in serie di funzioni analitiche e l’inversione degli integrali definiti, sono da ricordare quelle riguardanti gli sviluppi in serie di fattoriali, le funzioni determinanti, e gli studi sulla trasformazione di Laplace. Ulteriori progressi nella teoria generale delle operazioni si trovano nella considerazione e lo studio della iterazione finita ed infinita di una data operazione, come nuova operazione funzionale. Lo scarto della permutabilità ha dato luogo ad una nuova definizione di derivata funzionale, in rapporto ad una data operazione B. La nuova definizione A'(φ) — A • B(φ) — B • A(φ), comprende l’antica, pel caso speciale che la operazione B rispetto alla quale si intende di definire la derivazione, sia la moltiplicazione per la variabile x. Di questa nuova definizione di derivata, che dà più largo respiro al Calcolo funzionale, e di quelle operazioni che il Pincherle chiama normali, Egli si è occupato anche in questi ultimi tempi, ed ha lasciato inedita una memoria, che ora si pubblica negli «Annali di Matematica».

La poderosa produzione matematica del Pincherle è stata appena toccata in questa rapida scorsa, che potrà solo valere a ricordare l’opera di Lui nella creazione di un nuovo interessante ramo di Scienza pura. A quell’opera, tipicamente originale, non soccorrevano adeguatamente gli ordinari sussidi analitici; molto c’era da rifare e molto da completare, anche nei primi elementi della analisi: e non c’è ramo di questa scienza dove Egli non abbia lasciato traccia. E se il più delle volte quelle sue scoperte troppo tardarono a trovare universale riconoscimento, ciò dipende dal fatto che, nel campo della pura astrazione, le novità tanto più sono profonde e discoste dalle consuetudini, tanto più tardano ad essere apprezzate nel loro giusto valore, e, nel caso del Pincherle, bisogna mettere in conto anche la modestia veramente eccessiva dell’uomo, che lo tratteneva dall’annunciare la novità e la importanza dei suoi risultamenti. Non c’è esempio in tutta la sua vita di scienziato che Egli abbia mai reclamata la priorità dell’opera sua, anche quando era palese e manifesta. Tuttavia il suo valore di scienziato era ben noto e pregiato dai matematici di grido, ed ebbe degno riconoscimento. Fu uno dei XL della Società italiana delle scienze, socio della R. Accademia dei Lincei, accademico benedettino della nostra Accademia, socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Torino, del R. Istituto Lombardo, del R. Istituto Veneto, della Accademia Pontaniana, Socio straniero della Royal Society di Edimburgo, della Accademia delle Scienze di Baviera e di quella di Coimbra, membro onorario della Società Elvetica della scienze, delle Società matematiche di Mosca e di Calcutta, dottore Honoris causa dell’Università di Oslo; ebbe diviso in parti eguali con Luigi Bianchi il premio reale dell’Accademia dei Lincei per la matematica, e, nel 1928, quando fu collocato a riposo, ebbe il premio Sacchetti dal Comune di Bologna.

Alle doti di grande scienziato univa quelle di maestro insigne. Chi è stato suo scolaro non può dimenticare il fascino delle sue lezioni: non solo per l’altezza degli argomenti, per l’impeccabile ordinamento della materia, per la chiarezza, che non lasciava dubbi in nessuno degli ascoltatori, ma per quel senso, direi quasi religioso, di devozione alla scienza e di rispetto alla scuola, che Egli per primo mostrava e sapeva infondere agli scolari. Del suo insegnamento ben a ragione fu detto che nel modo migliore raggiungeva il fine più elevato: quello di risvegliare nei giovani il desiderio del sapere, il tormento della ricerca, la gioia della conquista, sia pur piccola, ma nuova e personale. Fu autore di ottimi libri di testo, nei quali la rigorosa sistemazione logica si accompagna sempre con la semplicità e la chiarezza. Fu attivissimo membro ed autorevole presidente di commissioni di esami e di concorsi in ogni ordine di scuole: appartenne al Consiglio di amministrazione della Università, ed al Consiglio Superiore della Pubblica istruzione, è stato per più trienni preside di facoltà, e fu più volte membro della Giunta delle scuole medie. In quei delicati uffici l’opera Sua, sorretta da vasta e soda cultura in ogni ramo di scienza, guidata da retti sensi di equanimità e di giustizia ha lasciato traccio benefiche. Membro di Accademie e di Società scientifiche, non limitava la sua attività alla pubblicazione negli Atti delle sue memorie, ma prendeva parte attiva alla vita accademica. La Fondazione della Unione Matematica Italiana e la pubblicazione del «Bollettino», che sotto la sua direzione ha assunto posto cospicuo fra i periodici matematici in Italia e fuori, sono meriti suoi preclari. Ma maggiori benemerenze Egli si è acquistato verso la Scienza e verso la Civiltà nella organizzazione del Congresso Internazionale dei Matematici di Bologna nel 1928. L’assemblea dei Delegati dei Comitati matematici nazionali adunata a Toronto nel 1924, in occasione di quel Congresso Internazionale, aveva nominato Lui presidente della Union Internationale Mathématique col mandato di fare (a Bologna) un Congresso che fosse veramente Internazionale, e di presentare al Conseil intemational des Recherches il voto approvato da quella Assemblea, perchè fosse tolta ogni limitazione di natura politica alla partecipazione dei matematici a congressi internazionali. Ma quel voto contrastala colle direttive del Segretariato generale della Union Internationale Mathématique, che, invece di convocare al Congresso di Bologna i comitati matematici dei vari paesi, notificava ad essi ufficialmente: «qu’on ne peut plus dire que le Congrès de Bologna est relevant de l’Union Internationale Mathématique». L’organizzazione del Congresso di Bologna si trovava così come campata in aria... fra la diffidenza degli uni e la palese ostilità degli altri! La soluzione fu trovata col lasciar perdere l’Union Internationale ed il Conseil international de Recherches, e porre il Congresso sotto gli auspici della Università di Bologna: istituzione fuori ed al disopra di ogni competizione politica, per antica fama veramente internazionale, aperta ai dotti di tutto il mondo.

Il gran nome del nostro Studio, l’opera svolta con animo invitto, con fine tatto, con ferma tenacia dal Nostro, che in questa occasione dimostrò qualità egregie di perfetto organizzatore, sortirono esito fortunatissimo. Il Congresso di Bologna è anche oggi ricordato dagli stranieri, qui affluiti in gran numero da ogni parte del globo, come uno dei meglio riusciti, anzi (essi lo dicono), come il migliore fra tutti: ed ha fra tutti il vanto singolarissimo di aver superato la crisi di passaggio dal regime ristretto di grette esclusioni nazionalistiche, che la guerra aveva lasciato in retaggio ai congressi internazionali, ad un regime di piena indipendenza da ogni ragione politica, quale appunto si conviene alla Scienza, per sua natura essenzialmente e squisitamente universale. Ma solo coloro che gli furono dappresso, compagni di lavoro e di passione, sanno quel che a Lui ha costato di fatiche, di amarezze, di rinunce, di sacrifici, quello splendido successo!

Testo tratto dal Necrologio di Ettore Bortolotti. In collaborazione con l'Archivio Storico dell'Università di Bologna.

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