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Enrico Panzacchi

16 Dicembre 1840 - 5 Ottobre 1904

Scheda

Enrico Panzacchi, secondo genito, nasce ad Ozzano il 16 dicembre del 1840 da Maria Labanti e da Patrizio, fattore ed amministratore delle tenute di casa Malvezzi de Medici. Uomo di cultura, impegno politico ed instancabile produttore di testi, si forma inizialmente a Bologna sotto la guida del futuro cardinale Francesco Battaglini. Dopo breve tempo passato nella facoltà di Giurisprudenza in qualità di studente, si iscrive alla Facoltà di Lettere di Pisa laureandosi nel 1865 in filologia. Tra i suoi professori vi sono Pasquale Villari ed Alessandro d’Ancona. In qualità d’insegnante, trascorre brevi periodi in varie località d’Italia per poi essere trasferito al Liceo Galvani di Bologna. Nel 1872 diviene professore di storia e critica d’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna fino al 1895. In questo stesso anno ottiene la cattedra di professore ordinario di estetica e storia dell’arte oderna all’Università di Bologna, che reggerà fino al 1904. Nel 1872 conosce e sposa Emilia Massarani Prosperini dalla quale avrà il suo unico figlio, Giuseppe. Il 1888 lo vede insignito della Laurea honoris causa in filologia, presso l’Università di Bologna, in occasione dell’VIII centenario dell’Alma Mater. Successivamente, dal 1891 al 1896, oltre all’insegnamento universitario, parallelamente diviene anche direttore della Pinacoteca. Oltre agli ottimi risultati ottenuti in ambito Accademico, Panzacchi ricopre incarichi politici di rilevanza, sempre nel settore dell’istruzione, tentando di migliorare il sistema e le condizioni economiche di studenti meritevoli ed insegnanti. Dal 1868 viene eletto più volte come Consigliere comunale della città di Bologna. Il 1882 lo vede eletto per la prima volta come deputato e nel 1896 ricopre la carica politica di presidente dell’Associazione liberale monarchica e diviene successivamente sottosegretario dell’istruzione pubblica. Nonostante i suoi numerosi impegni lavorativi produce negli anni una notevole quantità di testi che rispecchiano i suoi interessi culturali che acquisiscono più o meno successo. Nelle sue produzioni sono presenti poesie, racconti, novelle, libretti di melodrammi anche per Ottorino Respighi. Amico e seguace del Carducci, nei suoi componimenti (dai tratti decadenti) anticipò la tematica pascoliana e dannunziana. Enrico Panzacchi si spegne a Bologna il 5 ottobre 1904. E' sepolto alla Certosa di Bologna, Campo Carducci - lato ovest, sarcofago 12.

Angela Pierro

Giuseppe Lisio in occasione della morte gli dedica un lungo ricordo nella rivista 'La lettura', e viene anche così ricordato: Uno degli uomini più amabili in società, dalla conversazione fine ed attraente, un vero fascinatore dell'arte della parola, sia che parli in pubblico, sia che si diletti con gli amici, sia che corteggi le artiste ne' camerini o le signore nei palchetti. E saprà vivere senza urtare nessuno; e saprà diventare a tempo debito uomo di parte e di governo, e saprà guidare l'opinione pubblica, massime in arte. (...) Nel 1868 egli cominciò a mischiarsi tra le lotte politiche. (...) Con quali idee e con qual colore? A que' tempi imperava in Bologna il partito verde-malva, ovvero moderatissimo; gli contrastava, con poca fortuna, un partito avanzatissimo, color di rosa a petto dei nostri partiti estremi. (...) Tra il verde-malva degli uni e il rosso-scarlatto degli altri, questi si dissero azzurri: un'audace schiera di giovani, che conquistò ben presto il Municipio. Il Panzacchi ne fu l'assessore per l'istruzione. Il migliore ordinamento della scuola elementare si deve a lui. (...) Singolar ricordo, istruttivo anche oggi, merita l'opera dell'assessore per la laicità della scuola. (...) Quando gli azzurri cominciarono a dividersi, e da una parte il baccarini e il Cairoli con i così detti progressisti formarono il partito democratico, dall'altra i meno avanzati so fusero con il vecchio partito moderato, il Panzacchi rimase con questi ultimi; anzi de' liberali monarchici bolognesi, a poco a poco, divenne e rimase, fino alla morte, il capo riconosciuto, l'oratore ufficiale. (...) Quante volte su l'orizzonte dell'arte sorgeva alcuna opera nuova, si affacciava alcun autore ignoto o mal noto, dalla nuova bellezza o grandezza egli si sentiva prontamente soggiogato; e se ne faceva banditore sincero, appassionato, senza nessun rammarico per sè, senza nè pur l'ombra dell'invidia. Così, quasi sostenuti dal braccio e dalla voce poderosa del Panzacchi, entrarono nella conoscenza e nella estimazione del pubblico bolognese ed italiano Giosuè Carducci, Riccardo Wagner, il pittore Luigi Serra, il Segantini, e tanti altri minori. Questa la nota seria: la nota comica è data dalla continua, fenomenale distrazione, che gli acquistò fama proprio meritata. (...) Il Panzacchi fu novelliere, critico, oratore, poeta. Da qualunque dei quattro aspetti lo si osservi, il carattere d'uomo e di scrittore già disegnato non si smentisce mai. (...) Chiunque abbia sete di cultura legga l'aureo libricino L'Arte nel secolo XIX, dove si passa in rapida rassegna quanto l'Ottocento ha prodotto di grande, di singolare nelle manifestazioni letterarie, plastiche, musicali. (...) Diceva egli cose nuove, straordinarie? No. Ho sempre innanzi alla fantasia una commemorazione del XX Settembre da lui tenuta dieci anni addietro nel popolare teatro Brunetti. (...) uscito di là, rimessomi da quella specie di turbamento, mi domandavo: "ma che cosa ha detto?" E mi schieravo innanzi ad una ad una le idee, le immagini: e non una mi riusciva nuova o di ignota bellezza. Eppure, tanta era la felicità e la forza che tutto prendeva nell'architettura artistica del discorso, tanta era l'impressione che ogni concetto faceva su di noi traverso la parola vivificante, la voce calda, misurata, potente, che tutto sembrava nuovo e grande. (...) Ecco difatti quel che ci racconta un geniale architetto bolognese, Tito Azzolini, che nell'Accademia di Belle Arti conviveva quasi con il Panzacchi e gli era amico intimo e devoto: Quando doveva preparare una conferenza, egli si astraeva dal mondo; i colleghi, gli amici lo vedevano passeggiare nel cortile grande dell'istituto, adorno di verde per suo desiderio, con la pipa in bocca, pensoso, incurante di tutto, ed a tratti rientrare nello studio per fermare sulla carta alcune idee; indi riprendeva la passeggiata. (...) Ne' si creda che scarso e ristretto sia l'influsso esercitato dal Panzacchi poeta. "A petto del Carducci - egli diceva con modestia - io sarò sempre un gran malvone" in politica ed in poesia; e così fu senza dubbio; ma l'editore Zanichelli può anche ricordare che, nell'Italia meridionale specialmente, per qualche decennio, le liriche del Panzacchi erano ricercate e lette assai più che quelle del Carducci. E di certo, prima che le signore e i giovani dallo stomaco delicato si fossero avvezzi al forte cibo carducciano, essi leggevano e gustavano molto meglio il Panzacchi. (...) Voglio ricordare qualcuna delle liriche che rimarranno, senza dubbio. Poesia di sensi veramente umani, e profonda, pare a me, il Prometeo liberato; quivi s'immagina che il centauro Chirone rinunzi all'immortalità per sciogliere dai ceppi Prometeo, il liberatore degli spiriti. (...) Attraente nell'umorismo melanconico e nella sana morale, Accanto al fuoco: dove Don Giovanni Tenorio è rappresentato vecchio, mentre passa in rivista i ricordi d'amore. (...) Il massimo della forza plastica di rappresentazione il Panzacchi raggiunge nei primi versi del Centauro. (...) La perfezione del suo genre raggiunge il Panzacchi in altre due liriche, dove il sognatore rapito si manifesta intero. Un s'intitola Sognando. Il poeta cammina sui margini del fiume dell'Oblio; di mezzo alla corrente vede la testa bionda di Ofelia, addormentata, che nuota e canta. (...) L'altra, che riferisco intera, e non finisce mai di piacermi è Mentre tu canti. Qui armonizza la vaghezza del fantasna sognato con la pittoresca lineazione del personaggio: e ne nasce un effetto strato di musica e poesia insieme: La voce tua m'arriva / Di sopra la muraglia umida e nera, / La tua voce pel caldo aere giuliva / Sotto il nitido sol di primavera. / Nell'aria si diffonde / Una gentil soavità d'amore, / Sulla nera muraglia che t'asconde / Spuntan le rame d'un mandorlo in fiore. / Ma non t'ho visto in volto, / Non so s'abbi nel cor gioia o tristezza. / Ma nelle note tue, mentre t'ascolto, / Mi sembra di sentir la tua bellezza. / Quel mandorlo io vorrei / Essere, un'ora, per virtù d'incanti; / E sulla testa tutti i fiori miei / Ti lascerei cader, mentre tu canti.