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Monumento di Giovanni Donati

monumento composito 1813 circa

Schede

L’avvocato centese Giovanni Donati aveva rapidamente percorso i gradini della scala sociale della Bologna napoleonica, ricevendo nel 1806 l’ordine della Corona Ferrea, una delle massime onorificenze del tempo e ricoprendo il ruolo di presidente della Corte d’Appello del tribunale di Bologna. Il 17 settembre 1813, pochi giorni dopo la sua morte, i suoi esecutori testamentari acquistano per erigergli una tomba un arco nel Chiostro della Cappella.
Il progetto del monumento è affidato all’architetto Ercole Gasparini e verrà eseguito dallo scultore Giacomo De Maria. Come spesso avviene alla Certosa il monumento è realizzato con materiali poveri come la terracotta e il gesso, disposti su una intelaiatura in mattoni a forma di arco trionfale. Al centro della struttura si trova una nicchia che conteneva un’urna cineraria posta su un alto plinto, rubata nel 1991. Ai lati della nicchia sono murati due bassorilievi con geni appoggiati a faci rovesciate, simbolo della fine della vita. Uno di essi regge una corona mentre l’altro è intento a scrivere i meriti del defunto su una tavoletta. Al di sopra della nicchia è rappresentato un fascio littorio, allusivo all’attività di magistrato del defunto. L’attico è occupato dall’iscrizione latina fiancheggiata da due urne lacrimali e coronato dal busto erma del defunto con strumenti della professione come il tocco da magistrato, i volumi di diritto e la lucerna, riferimento alla vita che si spegne.
Il ricco campionario di motivi neoclassici messi in opera dall’architetto viene tradotto puntualmente dallo scultore, qui come in altre occasioni alla Certosa interprete sensibile delle idee del collega.

Il foglio conservato presso l’Archiginnasio, con le sue due proposte per una stessa tomba, è lo stadio embrionale del monumento a Giovanni Donati, posto nel Chiostro III. Il monumento, commissionato dai fratelli, verrà eseguito nel 1813, a pochi mesi dalla morte dell’avvocato centese. Il monumento è riprodotto dai repertori del Terry, del Salvardi e dello Zecchi con attribuzione all’architetto Gasparini e allo scultore Giacomo De Maria. Il foglio esposto è certamente opera dell’architetto neoclassico Ercole Gasparini, secondo la prassi tradizionale, che affidava l’ideazione ad un architetto o ad un decoratore. Gasparini realizzò numerosi monumenti per il cimitero, dove lavorò anche per la ristrutturazione degli spazi comuni.

La prima idea, a sinistra, inserisce nell’arco una trabeazione su alto podio, retta da lesene corinzie, con al vertice un sarcofago. Al centro lo spazio è diviso in due piani paralleli: in alto la lapide sormontata dal medaglione con l’effigie del defunto di profilo, in basso due giovani geni simmetricamente affrontati, colti nell’atto di scriverne su tavolette i meriti. Il sarcofago in alto presenta al centro della cassa gli strumenti allusivi alla professione giuridica (fascio littorio, bilancia, spada e volumi) che nella versione finale verranno distribuiti al vertice della struttura, ai lati del busto di Donati, e al centro dell’attico. Il coperchio della cassa è dominato da una corona, allusiva all’onorificenza (cavaliere della Corona Ferrea) attribuita all’avvocato. Nell’idea a destra Gasparini si avvicina maggiormente all’esito finale. Alla trabeazione si sostituisce una struttura ad arco trionfale ad un solo fornice con al centro, entro una nicchia, una imponente urna cineraria. Il corpo del vaso è decorato da rami d’alloro mentre sulle spalle l’architetto immagina due piccole maschere teatrali di profilo. Sull’alto plinto dell’urna ritroviamo la corona ferrea sormontata dalla N capitale, allusiva all’imperatore Napoleone, dispensatore dell’onorificenza. Nella realizzazione finale il plinto verrà invece occupato da una ghirlanda e da una farfalla, allusiva all’anima (psichè). Il motivo della farfalla è comunque già presente in alto, ai lati dell’arco. Al centro dell’architrave è stato spostato il fascio littorio, attributo principale della giustizia e delle sua amministrazione nel mondo romano. Il vertice a gradoni, ormai è simile alla versione finale, con la lapide tra le urne lacrimali, e l’erma del defunto tra emblemi della professione. I geni funebri ai lati della nicchia mantengono il loro aspetto infantile e reggono simmetricamente, invece delle tavolette della prima versione, torce rivolte verso il basso e ghirlande di alloro.

Il bel foglio acquerellato di collezione privata presenta una versione definitiva del monumento, quasi un disegno preparatorio per la riproduzione come farebbero pensare le due scritte latine che ricordano a sinistra “Hercules Gasparinius Architectus invenit” e a destra “Jacobus De Maria Sculptor fecit”. La descrizione è aderente nei minimi dettagli al progetto eseguito. Si riconosce la nicchia squadrata al centro della quale si trova la struttura ad arco trionfale a un solo fornice. All’interno della nicchia è collocata l’urna a due manici con al centro un testa alata di gorgone, più drammatica di quella effettivamente realizzata. Ai lati stanno i due geni funebri, appoggiati a faci rovesciate, uno di loro scrive su un tavoletta, mentre l’altro regge una corona. La descrizione dettagliata si sofferma sul fregio e sulle patere, simmetricamente disposte ai lati dell’arco. L’architrave è occupata da un fascio littorio da cui pende l’onorificenza della Corona ferrea e a cui sono legate le bilance della giustizia. L’iscrizione al vertice riproduce quella latina presente sul monumento, fiancheggiata da urnette lacrimali. Il busto-erma del defunto corona il tutto tra gli oggetti della professione, a sinistra il tocco da magistrato, appoggiato su una pila di codici, a destra una lucerna posta su altri volumi, a fianco di un calamaio, oggi perduto. La provenienza del disegno dalla stessa serie della Biblioteca dell’Archiginnasio è ipotizzabile grazie alla scritta a penna “Camillo Ambrosi”, leggibile in basso a destra.
Il monumento, realizzato in terracotta da De Maria, riproduce perfettamente il progetto. Sfortunatamente è stato privato dell’urna a causa di un furto avvenuto negli anni ’90 del XX secolo.

Antonella Mampieri