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Monumento di Giacomo Malvezzi Campeggi

sarcofago post 1827

Schede

L’arco dove si trova il monumento viene acquistato nel 1806 da Antonio Malvezzi - Campeggi per commemorare il padre Giacomo. Il monumento che oggi si ammira non è quello originario ma si tratta di una esecuzione posteriore. Il primo sepolcro viene indicato dalle fonti come opera di Giuseppe Fancelli. Si trattava dunque di un dipinto murale eseguito da un artista specializzato negli ornati e il suo aspetto originario lo si può dedurre dall'acquerello realizzato da Petronio Rizzi. L’opera che l’ha sostituita è realizzata in stucco e gesso e appare come la riproposizione fedele, in tre dimensioni, dell’originale dipinto. Appaiono però alcune differenze. Segnaliamo la semplificazione della cimasa - ora semicircolare – e l’aggiunta dei grifi alla base del sarcofago. La decorazione a stucco mostra grande perizia e freschezza esecutiva e il volto del Cristo appare già influenzato dalla cultura classicista del secondo decennio dell’Ottocento. Nella guida della Certosa edita nel 1873 viene segnalato come esecutore di questa seconda versione Pietro Trefogli, ben presente con altri suoi lavori nel cimitero e tra gli scultori ornatisti più richiesti dalla comittenza locale per la decorazione di chiese e palazzi.

Il progetto del monumento conservato presso la Fondazione CaRisBo viene giustamente dato da Franca Varignana al Fancelli per l’esecuzione del monumento. Come da lei riportato, nella raccolta a stampa del Terry viene indicato come spetti al nostro in gran parte "sul disegno del Segretario Carlo Bianconi tratto dal monumento eretto in marmo l’anno 1488 nel chiostro di S. Maria del Popolo in Roma a Nestore Malvezzi Cavaliere Gerosolimitano". L’opera che ammiriamo oggi però non è più quella dipinta, ma una simile nell’impostazione eseguita mirabilmente in stucco e gesso, e che la guida Chierici del 1873 indica come eseguito da "Trifogli Svizzero", mentre la guida Gatti del 1890, più precisa, ci segnala che è un "sarcofago sostenuto da due sfingi, con molti ornati all’intorno, opera del modellatore Luigi Trifogli". Evidentemente la fragilità del sepolcro dipinto ha convinto la famiglia a sostituirlo, apportando molte varianti, come nella lunetta superiore e nel sarcofago (con grifi alati e non sfingi), e possiamo immaginare che sia successo poco dopo il 1825, in quanto le raccolte Zecchi e Salvardi indicano ancora esistente quella eseguita dal Fancelli. Il sepolcro rispecchia il rispetto e la devozione verso i monumenti rinascimentali, di cui in Certosa vengono collocati alcuni originali provenienti dalle chiese soppresse. Appare qui l’unico simbolo dichiaratamente cristiano – il Cristo e due cherubini – in un sepolcro del cimitero di fase giacobina, che viceversa è permeato di elementi laici, paganeggianti e massonici. Per quanto riguarda la prospettiva della Sala della Pietà riprodotto nel rovescio del foglio CaRisBo, vogliamo immaginare che non sia del Fancelli, ma più probabilmente della mente che l’ha progettata, Angelo Venturoli. Tra i tanti cantieri architettonici neoclassici della Certosa è questo quello tra i più piccoli, ma viceversa tra i più raffinati, dove tutto è giocato sui volumi e gli incroci delle scale e nulla è concesso alla decorazione e all’ornato. Vogliamo quindi pensare che l’architetto ha riutilizzato verso il 1816 il foglio del Fancelli. I dubbi sorgono sia per le correzioni prospettiche applicate sopra strisce di carta incollate sul foglio, sia perché non viene riprodotto il sotterraneo effettivamente realizzato: infatti appaiono loculi e varchi non costruiti.

Roberto Martorelli