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Armando Minguzzi

1884 - 22 Giugno 1940

Scheda

Padre del più noto scultore Luciano e proveniente da una famiglia romagnola di mugnai, Luciano Minguzzi (Imola, 1884 - Bologna, 22 giugno 1940) si trasferì molto presto a Bologna per coltivare la sua passione per l’arte, frequentando prima i corsi di intaglio presso la scuola d’arte poi i corsi regolari di scultura presso l’Accademia di Belle Arti. Dopo la Grande Guerra, aveva dovuto accontentarsi di costruire protesi in legno, presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli, per i soldati mutilati. Era un lavoro che però lo appassionava perché oltre alla dimostrazione della propria abilità nello scolpire gli dava la possibilità di esprimere l’estrosità del proprio ingegno inventando e applicando via via accorgimenti che permettevano movimenti più sciolti a chi portava quegli arti; con la consapevolezza di fare qualcosa di veramente utile sentendo che quanto aveva appreso aveva ora una giustificazione logica umana.

Successivamente fu assunto come aiuto di studio dallo scultore Pasquale Rizzoli (1871-1953), l’autore del Monumento all’Otto agosto 1848 alla Montagnola di Bologna, che ricorda la cacciata degli austriaci dalla città. Quando poi, finalmente, potè dedicarsi alla scultura, realizzò due opere monumentali per i caduti in guerra, a Castello d’Argile e a Tossignano in Romagna, considerate dal figlio Luciano, «nelle sculture di quel genere, fra le più significative di tutta la regione». Minguzzi è presente con opere significative all’interno della Certosa di Bologna dove realizzò svariate opere in stile liberty e simbolista. Ricordiamo fra tutti il Monumento dedicato nel 1928 ai motociclisti Olindo Raggi (1806-1926), bruno centauro dal cuore leonino e dai nervi d’acciaio e Amedeo Ruggeri (1889-1932), realizzato in bronzo.

L'artista fonda un laboratorio artigianale che viene segnalato nel volume edito dalla Provincia di Bologna 'Industrie artistiche e botteghe artigiane bolognesi' (1928). "Il Prof. Armando Minguzzi, scultore imolese ha fondato a Bologna da anni un laboratorio per l'intaglio del legno e per la produzione del mobile antico chiamandolo 'vétera nova'. Ispiratosi alle migliori creazioni del nostro Rinascimento ed alle forme più classiche ha adattato il mobile alle necessità delle case moderne; mentre come scultore, ha continuato una notevole produzione per monumenti sepolcrali, e, dopo la guerra, per monumenti celebrativi della Vittoria e a ricordo dei Caduti. La produzione di Minguzzi, sparsa in Italia e all'estero, forma ricca decorazione di palazzi e di musei". Viste le profonde insoddisfazioni, Armando cercò più volte di dissuadere il figlio ad intraprendere la carriera e la vita dello scultore: quando dichiarò fallimento, Armando preso dallo sconforto tentò il suicidio, ma venne soccorso in tempo dal figlio, che si era recato nel suo studio per mostrarlo ad un compagno di corso. Il padre aveva inoltre lasciato una lettera di addio che il figlio ebbe la premura di non mostrare mai a nessuno, compresa la madre Violante Fiorini.

Il figlio Luciano lo ricorda così: “Armando scuro di capelli di carnagione olivastra, dagli occhi vivaci e penetranti ma dall’espressione malinconica. Introverso, sognatore sublime che affrontava le cose con uno strano scetticismo, una innata timidezza. Era malinconico perché la vita lo aveva bastonato, malinconico per il suo passato di sofferenze, veniva da una famiglia romagnola di mugnai. Mio padre era un “intagliatore” del legno. Mi ha lasciato un senso profondo del lavoro artigianale, del lavoro di bottega. Sin da piccolo bazzicavo attorno ai suoi strumenti. Non mi voleva scultore: troppa fatica, troppe insoddisfazioni e preferì mandarmi a scuola di ragioneria.”

Carolina Calegari