Massoneria bolognese

Massoneria bolognese

1802 | 1929

Scheda

Le prime notizie certe sulla massoneria bolognese risalgono all’inizio del XIX secolo, anche se in precedenza avevano operato alcune logge. La loggia il Casino degli amici nacque nel 1802, durante il regno napoleonico seguita da Gli amici dell’onore nel 1806. Tra il 1831 e il 1848, durante la dominazione austro-pontificia, i massoni bolognesi s’incontravano nella loggia Concordia, della quale furono Venerabili Francesco Guerzi, Livio Zambeccari, ma non il barnabita Ugo Bassi, anche se è certo che fu massone (“Rivista della Massoneria italiana”, n.3336, 1884). Zambeccari - Gran maestro ad interim del Grande oriente italiano o Goi, che aveva sede a Torino - nel 1859 riorganizzò la Concordia, quasi subito ribattezzata in Concordia umanitaria, alla quale si aggiunse la Severa nel 1861, mentre ad Imola operava la Forum Corneli. Guerzi era Venerabile della Concordia e Camillo Versari prima e Lorenzo Salvi poi della Severa.

Nel 1863 le due logge bolognesi si unirono e diedero vita alla Galvani, con Salvi Venerabile e Giosue Carducci tra i principali dirigenti. La sede fu prima in via Fondazza e poi in via del Poggiale 18 (oggi via Nazario Sauro). Nel 1866 fu “costruita” la Felsinea riservata ai docenti universitari, con Luigi Cremona Venerabile. Tra il 1866 e il 1868, per dissensi politici e culturali, dei quali s’ignora tutto, le logge entrarono in sonno o furono “demolite”. Mentre non si sa come fu “demolita” la Galvani, della Felsinea si hanno notizie contraddittorie. Secondo il “Bollettino del grande Oriente della Massoneria in Italia” sarebbe stata operante dal 1865 al 1867 (Fasciolo I, II, III marzo-maggio 1867, p.79). Nella stessa rivista la Felsinea figura nell’elenco «delle logge uscite dopo il giugno 1865 dalla nostra Comunione» (p.82).  All’epoca erano quattro le organizzazioni nazionali della massoneria, tutte in contrasto tra loro, anche se la più importante era il Goi con sede a Firenze. Le altre avevano sede a Torino, Milano e Palermo. Nella nota Il simbolismo della ex-Loggia Felsinea – uscita nel “Bollettino” n. IV, V e VI, giugno-agosto del 1867, p.196 – si legge che era stata fondata nel febbraio 1866, che aveva aderito al Goi un mese dopo, ma che nel 1867 era uscita per aderire al Centro milanese. Non si conoscono i motivi del distacco, anche se pare che fossero di natura politica. Qualche vaga notizia sul dissenso si ricava da Ai FF. LL. MM. della Famiglia italiana. I FF. LL. MM. della Felsinea, salute e fratellanza, sd (1866), pp.14. Il massone bolognese Romeo Monari ha scritto che la politica divideva il mondo massonico, i cui aderenti avevano in comune solo il sentimento anticlericale. Poteva così accadere che in un collegio elettorale si presentassero un candidato di destra e uno di sinistra divisi dalla linea politica, ma uniti da un legame segreto, perché affiliati alla stessa loggia. Clamoroso, nel 1867, lo scontro tra Marco Minghetti e Giuseppe Ceneri. A parere di Monari nelle logge bolognesi esisteva un notevole contrasto politico tra «autorevoli rappresentanti del partito costituzionale» e «Fratelli rispettabilissimi per le loro virtù morali e civili, ma che per le loro opinioni notoriamente rivoluzionarie, per il loro passato troppo, diremo così, di azione e per le relazioni che stringevano molti di essi al Garibaldi, al Mazzini e al Saffi, erano tenuti d’occhio dall’autorità politica e non di rado anche arrestati» (R. Monari, Ricordando Giosue Carducci.., p.14). Ma questi contrasti non erano solo di natura politica e non fu facile riunire su scala nazionale – come avvenne nel 1867, nel 1877 e di nuovo nel 1887 – i quattro gruppi dei vari riti nel Goi della massoneria.

All’interno del Grande oriente – la cui sede ufficiale fu trasferita da Firenze a Roma, dopo il 1870 – si formarono almeno quattro gruppi con riti diversi. I principali erano quello di Rito simbolico e quello di Rito scozzese antico e accettato. Importanza minore avevano quelli dei Rosa croce e degli Areopagi dei cavalieri di Kadosch. Non a caso, la grande scissione del 1908 – che portò alla nascita della massoneria di Piazza del Gesù, dal nome della sede (sia pure a partire dal 1918), come l’altra è stata chiamata per lungo tempo la massoneria di Palazzo Giustiniani – nacque per un contrasto all’interno del Rito scozzese. La crisi della massoneria bolognese – indipendentemente dalle cause – durò a lungo. La “Rivista della Massoneria Italiana” – nata a Firenze nel luglio 1870, dopo la chiusura del “Bollettino”, con il sottotitolo “Periodico ebdomadario semiufficiale del Grande Oriente della Massoneria in Italia e sue colonie” e che, in seguito, assumerà il titolo di “Rivista massonica” – nei numeri 3, 4 e 5 del 1870 pubblicò gli elenchi delle logge attive in Italia, nei quali Bologna non figurava. Nessun delegato bolognese intervenne all’Assemblea massonica costituente, riunitasi a Roma nell’aprile-maggio 1872 (come nessuna era intervenuta a quella di Napoli del 21-23.6.1867 che aveva sancito un’unione provvisoria tra le quattro centrali), e nessuna loggia bolognese figura nell’elenco pubblicato nel numero 6 del 1873 della rivista. Nel maggio 1874 i bolognesi disertarono l’Assemblea costituente di Roma e nel 1876 il periodico massonico annotò che in Emilia erano attive le logge di Reggio Emilia, Parma e Modena (n.1314, 1876, p.13). All’inizio del 1881 la rivista scrisse che a Bologna «Si sta alacremente lavorando per la fondazione» di una loggia (n.2, 1881, p.26). Un anno dopo annunciò che il consiglio dell’ordine del Goi aveva approvato e rilasciato la relativa “bolla” per la costruzione della rispettabile loggia Rizzoli di Bologna (n.1, 1882, p.10), la cui sede fu inaugurata il 16.6.1883 da Giuseppe Barbanti Brodano (n.13-14, 1883, pp.209-210).

Giosue Carducci – uno dei protagonisti dei dissidi del 1867-68 – non pare sia entrato nella Rizzoli dopo essere uscito dalla Felsinea (F. Conti, Storia della massoneria italiana, Bologna, il Mulino, 2003 p.71 e p.369) e nel 1890 si fece trasferire alla Loggia propaganda massonica di Roma. Primo Venerabile fu Aristide Venturini che diede grande impulso all’istituzione, tanto che la rivista scrisse: «A Bologna la Loggia Rizzoli raccoglie intorno a sé numeroso e autorevole elemento» (n.1-2, 1883, p.22). La sede fu prima in via Val d’Aposa, poi in Piazza Nettuno 2 e, a partire dal settembre 1903, in Vicolo Bianchetti 4. Il nuovo Venerabile Carlo Castellani, eletto alla fine del 1883, dovette però subire la “demolizione” della loggia ordinata dal Gran maestro Adriano Lemmi il quale intervenne per evitare che «si estinguesse» a causa della «non completa omogeneità di tutti i Fratelli». Per evitare i soliti contrasti politici e culturali, Lemmi dispose la costruzione di due nuove logge «le quali emulandosi degnamente» avrebbero potuto svolgere la loro attività ( n.9-12, 1885, p.165). Nel novembre 1885 o nel maggio 1886 fu “costruita” la VIII Agosto con Francesco Magni Venerabile. Gli successero Felice Massano e Carlo Carli restato in carica sino al 1890. Seguirono ancora Massano (1891-93), Enrico Golinelli (1893-97), Giacomo Gaiani (1897-98), Guglielmo Fabbri (1898-1900), Golinelli (1900-06, quando dovette lasciare la carica perché eletto nel Supremo consiglio dei 33) e Alfredo Grassi (1907-14). Nella VIII Agosto coabitavano il senatore Enrico Pini, uno dei capi del partito conservatore, e l’onorevole Genuzio Bentini autorevole esponente del PSI. La mediazione tra i due era affidata a Golinelli iscritto al PRI e sindaco di Bologna dal 1902 al 1904. Dopo la morte di Golinelli e l’elezione di Grassi, la loggia fu sdoppiata e “costruita” la Carducci destinata ad accogliere i massoni di destra. I socialisti, che sarebbero dovuti restare nella VIII Agosto, “edificarono” la Ça ira, di rito simbolico, con Odoardo Pesaro Venerabile.

Negli anni seguenti sorsero l’Emancipazione a Vergato, l’Andrea Costa e l’Aurelio Saffi a Bologna. Secondo una pubblicazione cattolica, nel 1914 Arturo Gazzoni era Venerabile della Ça ira, Guido Sanguinetti della Carducci e Gino Lanci dell’Emancipazione di Vergato (La massoneria svelata nei suoi uomini e nelle sue intenzioni, pp.21-3). Il massone bolognese Carlo Manelli ha scritto che nessuna loggia bolognese - indipendentemente dal rito seguito - aderì alla scissione promossa nel luglio 1908 da un gruppo di esponenti della destra politica per dare vita all’Ordine massonico di Rito scozzese antico ed accettato e alla Gran loggia d’Italia con sede in Piazza del Gesù 47. Non pesante, ma politicamente significativa la scissione subita dalla massoneria bolognese nel 1914 quando il congresso nazionale del PSI, tenutosi nell’aprile ad Ancona, stabilì l’incompatibilità tra iscrizione al partito e adesione alla massoneria. A Bologna uscirono Bentini, Oreste Vancini e Mario Longhena. Con una lettera pubblica dichiararono di restare nella loggia Augusto Dalmazzoni, Lodovico Farnè, Giovanni Frascari, Ugo Lenzi, Aurelio Minghetti, Emanuele Sacchetti. Il PSI bolognese, per non espellerli, considerò la lettera come una «esplicita dichiarazione di dimissioni». Ad Imola uscirono dalla loggia Silvio Alvisi, Ferdinando Bassi, Anco Capra, Romeo Galli, Attilio Morara, Tullo Padovani e Arturo Zambianchi. Vi restarono Nullo Gardelli, Carlo Guidicini e Mario Vannini. Quanto all’uscita di Bentini, molti anni dopo il mensile massonico ha scritto: «Esortato da autorevoli F.F. a non spezzare una prestigiosa carriera politica, si separò dalla sua loggia bolognese ma non dall’Ordine, cui rimase riservatamente legato» (Biografie massoniche, in “Rivista massonica”, n.6, 1974, p.378).
Nel giugno 1914 il PSI di Bologna vinse le elezioni amministrative sconfiggendo la lista di destra e quella di centro promossa dalla massoneria. Il quotidiano massonico “Giornale del Mattino” espresse egualmente soddisfazione per la fine del lungo periodo delle amministrazioni conservatrici e appoggiò il “comune socialista”. A causa dell’atteggiamento neutralista del PSI, la massoneria mutò presto opinione e si trasformò nella principale forza d’opposizione al “comune rosso” negli anni della prima guerra mondiale. La Pro Patria et Rege - la coalizione dei partiti interventisti, meno i cattolici condusse dure battaglie contro gli amministratori socialisti. I presidenti della Pro Patria furono quasi tutti massoni a cominciare da Luigi Silvagni* e Eugenio Jacchia*. Jacchia, divenuto Venerabile nel 1915 o nel 1916, lasciò la carica nel 1918 quando fu eletto nel governo dell’Ordine del Grande oriente.

Negli anni della guerra a Bologna erano aperte la VIII Agosto, la Carducci che diventerà la Carducci-Saffi, la Costa e la Ça ira che si unirono nel 1918. Il Sindaco socialista Francesco Zanardi disse che tra i responsabili degli attacchi - spesso fisici - contro l’amministrazione «i più audaci e senza scrupoli furono i massoni» e «furono parimenti massoni quelli che mi denunciarono» al tribunale militare (Atti consiglio comunale, 8 aprile 1916, pp.760-1). Al termine del conflitto il “Giornale del Mattino” chiese le dimissioni della giunta socialista e approvò le aggressioni fisiche contro Zanardi. I principali esponenti della massoneria bolognese sin dall’inizio sostennero il Fascio di combattimento di Leandro Arpinati, a cominciare da Lenzi, divenuto Venerabile della VIII Agosto nel 1919, e Jacchia nominato il Grande oratore del Goi. In un comizio della lista di destra - per le elezioni amministrative del 1920 - Aldo Oviglio disse che «bisognerà in seguito usare altre armi, se mai quella del voto» [...] «fosse insufficiente a liberare la città» dall’amministrazione socialista (“il Resto del Carlino”, 30.10.1920). Oviglio, un alto grado della massoneria, intervenendo il 16.1.1921 ai lavori del governo del Goi, sostenne che i massoni bolognesi erano pronti ad allearsi «anche con i clericali pur di disfarsi dei socialisti». Il 27.2.1921 Jacchia, sempre al governo del Goi, disse che il fascismo «fu una vera fortuna» perché liberò Bologna e la regione «da una mano di delinquenti e di pazzi» (I brani sono tratti da A.A. Mola, Storia della Massoneria italiana dall’Unità alla Repubblica, Milano, Bompiani, 1976, p.437). Nella seduta del 27.2 Jacchia – secondo Conti che ha letto i verbali del consiglio del Goi – aggiunse: «Se non ci fossero stati i fasci l’Emilia sarebbe stata tutta alla mercè dei socialisti. Qualunque parola che svalutasse il fascismo in quelle regioni sarebbe perniciosa» (F. Conti, op. cit., p.286).

La massoneria bolognese fiancheggiò il fascismo sino alla “marcia su Roma” e oltre. Nel maggio 1921, alle elezioni politiche, a Bologna sostenne la lista fascista, che comprendeva anche Mussolini, e approvò le direttive contenute nella circolare del 19.10.1922 del Gran maestro Domizio Torrigiani, nella quale si legge che il fascismo «Parve in verità una rivolta necessaria e fu una liberazione» (Rivista, n.7-8, 1922, pp.146-50). A Bologna i contrasti tra i massoni fascisti – che erano maggioritari – e quelli antifascisti dovevano essere non piccoli, se il Gran maestro sentì il bisogno di fare visita alla VIII Agosto l’8.1.1921 e alla fine del maggio 1922. Non si conosce molto di questo contrasto salvo quanto scrisse il 3.6.1922 ai venerabili delle tre logge bolognesi. Lo aveva colpito «l’eccezionale turbamento cagionato in questi giorni dalla lotta politica» (n.5-6, 1922, p.130). L’atteggiamento dei massoni bolognesi mutò dopo il voto antifascista espresso a grande maggioranza, il 28.1.1923, dall’assemblea nazionale delle logge italiane riunite a Roma. La svolta antifascista divenne definitiva quando il Gran consiglio del fascismo, il 3.2.1923, stabilì l’incompatibilità tra massoneria e fascismo. Il 18.6.1923 la VIII Agosto, su proposta di Salvatore Dalmazzoni, approvò un documento che propugnava «accordi con altri partiti al di fuori dell’orbita del fascismo» (A.A. Mola, op. cit., p.456). Il documento ebbe il voto di Giuseppe Pavone (già Venerabile della loggia Carducci), Jacchia e Lenzi. Con la lettera inviata ai venerabili il 21.7.1923 il Gran maestro mise la parola fine al dialogo con il fascismo. Dall’1.1.1922 a Bologna funzionava una loggia aderente alla Gran loggia di Piazza del Gesù, i cui membri erano e restarono fascisti (F. Conti, op.cit., p.280) Il 23.7.1923 il questore informò il prefetto di Bologna che i fascisti avevano aperto una loggia aderente a Piazza del Gesù (la stessa di cui riferisce Conti?) con sede in via Mazzini 40 e comunicante con quella del Goi di Vicolo Bianchetti (ASB, GP, 1923, b.1.390, cat.7, fas.2). Fascisti e nazionalisi tentarono più volte di mettere a sacco la sede della VIII Agosto. Da una biografia di Lenzi risulta - ma non si hanno conferme che nell’aprile 1921 un gruppo di nazionalisti tentò di penetrarvi. Pure a vuoto andò un assalto fascista il 18.12.1922. Riuscirono quelli sferrati il 12 e 13.9.1924 quando i fascisti, dopo avere abbattuta la porta con una trave, saccheggiarono la Casa massonica. Bruciarono l’archivio (ma molte carte e oggetti erano stati messi in luogo sicuro da tempo) e asportarono l’elenco degli iscritti. Lo stesso giorno depositarono una bara e arredi massonici – razziati nella loggia davanti all’abitazione di Jacchia in via d’Azeglio 58. Nei giorni seguenti “L’Assalto”, il settimanale del fascio, cominciò a pubblicare l’elenco dei massoni. Dopo tre puntate la pubblicazione fu sospesa perché, come ammise il giornale, gravava sul foglio una «minaccia di sequestro», avendo Lenzi fatto ricorso alla magistratura. L’1.1.1925 l’abitazione di Jacchia fu perquisita, primo di una lunga serie di interventi polizieschi contro esponenti della massoneria.

Dopo la legge contro le società segrete, del maggio 1925, la VIII Agosto cessò di funzionare. Di fatto, era già chiusa quando, il 9.10.1925, le logge italiane entrarono in sonno e tardivo giunse il decreto di autoscioglimento emesso dal Gran maestro del Goi il 22.11.1925. Lenzi, dopo avere subìto bastonature e intimidazioni, all’inizio del 1929 fu arrestato a Roma mentre partecipava a una riunione clandestina per ridare vita alla massoneria. Il 25.9.1929 fu assegnato al confino per 5 anni e inviato a Ponza. Liberato per condono, subì numerosi arresti. Non risulta che altri massoni bolognesi siano stati arrestati durante la dittatura. Non risulta neppure che la massoneria abbia aderito alla Resistenza. Vi presero parte singoli massoni come Romolo Trauzzi e Mario Jacchia figlio di Eugenio. Erano massoni Vancini e Pietro Busacchi uccisi dai fascisti il 9.8.1944 e il 21.11.1944. Tra i massoni antifascisti Manelli ricorda Leonida Vischi morto in esilio, del quale si ignora tutto, e un non meglio identificato Zanaldi che fu «sindaco di Bologna dopo la liberazione» (La Massoneria a Bologna, p.201). Giuseppe Dozza, sindaco per un ventennio dopo la Liberazione, non era massone. Se Manelli si riferisce a Francesco Zanardi, va precisato che fu sindaco dal 1914 al 1920 e che non era massone. [O]

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