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Ignazio Magnani

6 maggio 1740 - 19 agosto 1809

Scheda

La famiglia Magnani (altra rispetto a quella omonima senatoria) proveniva da Villa d’Ajano nella montagna bolognese: il nonno Giuseppe aveva condotto un’osteria a Gattamarza, e il padre Francesco era stato avvocato a Bologna ed aveva sposato la figlia, Teresa, del medico Stancari Carrati. Ignazio Magnani nacque il 6 maggio 1740 (Carrati, Nascite, B 876 c. 7). Studiò diritto civile e canonico con don Filippo Vernizzi, prevosto e canonico della collegiata di San Petronio, e criminale con l’avvocato Luigi Antonio Nicoli. Nel 1761 si laureò in Legge e fu aggregato al Collegio dei Giudici. Tornato a Bologna dopo un breve soggiorno di studio a Roma, nel febbraio del 1763 fu annoverato fra i dottori del Collegio canonico e civile, e poco dopo divenne lettore di Pratica criminale. Ebbe inoltre la cattedra di Legge, creata per lui, nel seminario arcivescovile, e fu avvocato camerale del Senato e difensore dei rei. In quest’ultimo ufficio conseguì grandissima fama con memorabili orazioni, fra cui quelle in occasione delle famose cause Albergati e Lucchini. Favorevole al mutamento politico portato dai Francesi, fu, oltre che confermato nell’ufficio di difensore dei rei, nominato giudice di Appello.

Chiamato anche alla carriera politica, nell’ottobre e nel dicembre 1796 fu deputato ai primi due Congressi cispadani, e del primo fu anche segretario. Nei comizi elettorali in San Paolo del 9 aprile 1797 fu eletto a far parte dell’Amministrazione centrale del Dipartimento del Reno, e la sua ascesa venne confermata dalla nomina a membro del Direttorio. Costituita la Cisalpina, fu per breve periodo ministro plenipotenziario alla corte di Torino. La fama e la stima conseguite gli permisero di superare indenne il periodo della breve restaurazione e della reggenza austro-russa: nel gennaio 1800 fu anzi nominato giudice del Tribunale della Rota, e nel maggio successivo lo si trova fra quelli che offrirono “qualcosa in denaro contante e scarpe” alla truppa austriaca (Memorie storiche relative, ms.). Dopo Marengo fu giudice del Tribunale di Revisione a Bologna, andò a Lione e da quella Consulta fu nominato membro del Collegio elettorale dei Dotti e poi del Consiglio legislativo.

Alla creazione del Consiglio di Stato nel 1805 fu assegnato alla Giustizia. Tornò a Bologna nel 1807, nominato primo presidente della Corte d’Appello, e contemporaneamente consigliere di Stato in servizio straordinario. Il 22 dicembre dello stesso anno fu insignito del titolo di commendatore dell’Ordine della Corona di Ferro. Candidato al Senato, non poté esservi chiamato perché lo colse la morte, per “podagra al petto” (Foglio sepolcrale D 52 n. 4050), il 19 agosto 1809. Aveva sposato Rosalia Lodi, figlia del notaio Giovanni Antonio, che non gli diede figli, e che fu sua erede universale. I funerali gli furono fatti il 21 agosto nella chiesa di San Domenico (Memorie ms. B 3212), sotto la cui giurisdizione era la casa ai numeri 989 e 990 della via Larga di San Domenico (ora via Marsigli 9-11), appartenuta alla famiglia fin dal 1715, quando era stata acquistata da Francesco di Giuseppe dei Magnani di Villa d’Ajano (Guidicini, Cose Not., II, p. 13). Una nota biografica e umana viene riportata nel 1847 da Savino Savini nella rivista “Il mondo illustrato – Giornale universale” di Torino:

"Una vita che intera si dedicò a salvarne di molte altre, e dai più inesorabili falciatori di teste, che sono i pubblici carnefici, dev'essere una vita d'angiolo benedetto dal Cielo e dagli uomini. E una tal vita condusse l'avvocato Ignazio Magnani di Bologna, difensore famoso nelle famosissime cause del marchese Albergati, il commediografo, accusato di uxoricidio, del conte Lucchini, l'ingegnoso ladro del Monte di pietà, e d'altre molte. Nacque nel 1740, la sua prima istruzione fu dura e pedantesca, ma dopo governando la propria mente da sé apparò completamente le scienze che ad uomo di foro e di gabinetto si convengono. D'anni 28 fu nominato pubblico lettore di pratica criminale nella bolognese Università; poi avvocato de' poveri. In questo pietoso uffizio non cercò la fama sua, ma la salvezza degl'inquisiti, e spesso l'ottenne; ma quando no, egli era dolente più de' condannati. Fu mirabilmente schietto nel dire l'opinion sua innanzi a tutti, e i magistrati e il principe spesso ebbero a convenire ne' suoi biasimi sulla barbara maniera con che si trattavano i delinquenti ed anche li processati, i quali potevano essere come i giudici medesimi, e più de' giudici, mondi di colpa.

L'avvocato Zandini racconta di lui un fatto onorevolissimo in queste parole: “Con tanto fervore adoperavasi il Magnani nella difesa de' rei che qualche volta fu veduto commuoversi fino alle lacrime. E questo accadde specialmente allorché ebbe a difendere Luigi Marchesi in sul fiorire dell'età fattosi reo d'omicidio doloso. Dal padre di costui egli era stato molti anni addietro scampato dal pericolo di affogare in un fiume. Non mai gli era uscito dall'animo quel benefizio e considerava propria la sventura del misero padre. Pose quindi ogni studio a mostrare che il Marchesi al delitto gravissimo fu provocato e conchiuse che dovevasi far grazia all'età; ma il tribunale convinto del dolo lo condannò alle forche. Questa sentenza, benchè preveduta, gli passò il cuore; pure non si sconfortò né abbandonò l'arringo, ma con improvvisa e vivissima orazione mostrò quale e quanto obbligo egli avesse verso il padre del suo cliente; e voltosi al cardinale Ignazio Boncompagni, che ai giudici presiedendo con autorità di principe poteva graziare, gli schierò innanzi, tuttoché lontano da ogni superbia, i meriti proprii e chiese che donando al condannato la vita concedesse grazia al difensore non meno che al difeso, pregò, scongiurò, pianse; a tal che il cardinale, vedendolo così intenerirsi, fu mosso a pietà, s'intenerì anch'egli e commutò la pena capitale in quella del remo. Maravigliosa eloquenza che natura solo può dare né si acquista per istudio o fatica”. Coprì Magnani ragguardevoli posti civili e diplomatici nel 1796-97 e dopo ancora, quali sarebbero di rappresentante, ambasciatore, giudice ecc., e fu caro al grand'uomo del secolo, dal quale meritò la decorazione di commendatore della Corona di ferro. Morì nell'agosto 1809, e il monumento gli fu dipinto al cimitero da Fancelli Pietro e Muzzarelli Giuseppe".

Silvia Benati