L'illuminazione pubblica di Bologna

L'illuminazione pubblica di Bologna

1846 | 1915

Scheda

«La città nostra andrà ben presto illuminata nel suo centro, e nelle vie de' principali teatri da quel genere moderno di luce viva, che la scienza chimica ha saputo derivare dal carbon fossile». Così, nel 1846, i Bolognesi venivano informati della costruzione della prima officina del gas. L'impresa venne realizzata ad opera dei banchieri inglesi - ma operanti a Parigi - Giovanni Grafton ed Edmondo Goldsmith, ai quali l'amministrazione municipale aveva concesso il servizio di erogazione, ottenendo in cambio gas a prezzo ridotto da utilizzare per l'illuminazione pubblica. Nell'ottobre del 1847 fu realizzato il primo impianto; esso però era limitato ad alcune vie centrali di Bologna, e ancora nel 1856 i lampioni a gas erano soltanto 158, a fronte di 558 lumi a olio risalenti, pur con qualche modifica migliorativa, alla prima illuminazione pubblica del 1801.

Così Enrico Bottrigari nella sua Cronaca di Bologna (Zanichelli, 1960) ricorda come nell'ottobre 1847 "è stata posta ad effetto in questi ultimi giorni di ottobre l’illuminazione a Gaz della parte centrale della Città; ma l’economia colla quale il municipio ha trattato colla Società Anglo-Francese, porta il grave inconveniente di una meschina luce, essendo i Fanali troppo distanti fra loro, eccettuate due sole strade, quella del Mercato di Mezzo cioè, e dei Vetturini. Arrogi che i negozianti ed i privati Cittadini non vogliono approfittare della nuova luce, la qual cosa induce la Società stessa a guardar la cosa per sottile. Si spera pertanto che il Municipio, riconosciuto l’errore, sarà per ripararvi trattandosi di cosa indispensabile al pubblico ed al decoro della Città". Successivamente il 7 marzo 1849 ricorda come finalmente "abbiamo veduto la Piazza Maggiore e le circostanti vie illuminate colla luce del gaz. E' lecito sperare che questa volta le prove siano riuscite a bene. Solo rimane a desiderarsi che oltre le strade centrali, siano egualmente illuminate le altre vie della Città, e che il numero de' fanali sia più copioso di quello che scorgesi nella Piazza maggiore, quantunque al confronto della vecchia illuminazione, siasi fatto un notevolissimo progresso. Lo spettacolo, tanto desiderato dai Bolognesi, sarebbe stato di maggiore appariscenza, se un vivo splendore di luna non avesse menomato d'alquanto l'intero effetto". Nel 1855 accadde poi che "l'illuminazione a gaz della Città è caduta in pessime mani! Una nuova società composta di un Prosperini e un Ballarini, (intriganti speculatori conosciuti per tali in tutta Bologna) cui si è aggiunto un altro dilettante di speculazione, certo conte Biagio Bianconcini, ci dà un gaz non solo puzzolente, ma poco illuminante! I conduttori delle botteghe insieme ad altri stabilimenti hanno protestato. ...Codesti bricconi speculatori, hanno seguito le esperienze fatte dal loro socio Bianconcini, fabbricando il gaz con legna, e con Cani e Cavalli morti." In effetti, dopo i primi entusiasmi, la diffusione del gas attraversò un periodo di stasi; l'officina subì numerosi cambi di gestione e soltanto nel 1862, quando subentrò la Compagnia ginevrina del gas, il nuovo sistema di illuminazione pubblica si estese rapidamente a tutta la città: nel 1867 si potevano già contare 1534 fanali a gas. Anche negli anni successivi l'illuminazione pubblica crebbe, sebbene ad un ritmo più contenuto, estendendosi lentamente alle zone limitrofe al centro cittadino: nel 1894 erano arrivati a 1932, mentre il numero delle fiamme private era di 26965, corrispondenti a 3869 abbonati. A quell'epoca i becchi dei lampioni funzionavano ancora a fiamma libera: essi «erano formati da un piccolo cilindro di steatite dal quale il gas usciva con debole pressione attraverso una fenditura praticata nella parte superiore: poiché il potere illuminante del gas era dato dall'incandescenza delle particelle di carbonio contenute in sospensione, i becchi venivano costruiti in modo da introdurre nella fiamma la maggior quantità possibile di queste particelle pere levare al massimo la loro temperatura».

Soltanto a partire dal 1900, infatti, cominciarono ad essere introdotti anche a Bologna i lampioni con il sistema a reticella, ideato da Carlo Auer attorno al 1884, grazie al quale era possibile ottenere risparmi notevolissimi e migliori prestazioni e che avrebbe permesso al gas di contrastare la luce elettrica ancora per molti anni. In quello stesso anno, il Comune deliberò di municipalizzare il servizio di somministrazione del gas. Questa decisione, fortemente innovativa rispetto alla tradizionale concezione liberale della pubblica amministrazione, era infatti finalizzata in parte a realizzare un profitto, ma soprattutto a stare al passo con il progresso tecnologico: «Una pubblica amministrazione ha davanti a sé un tempo indefinito, e così ha il modo di compensarsi delle spese considerevoli delle innovazioni, mentre le compagnie hanno un tempo limitato, e quindi non hanno interesse a fare quelle innovazioni e quei miglioramenti del servizio che fossero indicati dal progresso della scienza, e che nel periodo della concessione non potessero essere effettuati». Con la municipalizzazione, il personale della Compagnia ginevrina, accenditori compresi, passò direttamente alle dipendenze del Comune. Anche le modalità di svolgimento del lavoro non subirono sostanziali modifiche: ad ogni accenditore di fanali era affidato il servizio di un determinato numero di fiamme, comprendente l'accensione e lo spegnimento, la sorveglianza dell'illuminazione, la pulizia del materiale e le piccole riparazioni. In ognuna delle quattro zone in cui era suddivisa la città si trovava un 'quartiere', al quale facevano riferimento un certo numero di accenditori. Nel 1909, ad esempio, erano previsti 55 accenditori di fanali pubblici, 20 di fanali privati e 21 soprannumerari, che avevano il compito di sostituire il personale mancante.

Gli accenditori dovevano trovarsi nella sede del proprio quartiere dieci minuti prima dell'ora della partenza. La sera, al segnale dato dall'ispettore, partivano per accendere i lampioni e ne riscontravano il regolare funzionamento; alla mattina dovevano spegnerli, riparando le irregolarità riscontrate se possibile, oppure, tornati al quartiere, denunziare i guasti e tenersi a disposizione per le eventuali riparazioni. Dato che ciascun fanale andava pulito ogni sette giorni, al mattino gli accenditori effettuavano anche la pulizia, a rotazione, di una parte dei fanali che erano loro affidati. Infine, dovevano presidiare a turno il quartiere, in numero di due o tre per notte, tenendosi a disposizione per ogni evenienza. Il tempo libero degli accenditori di fanali si concentrava pertanto nel pomeriggio, e probabilmente anche la torre di neve mostrata in fotografia fu realizzata nelle ore pomeridiane.

Otello Sangiorgi

Testo rielaborato da Cent'anni fa Bologna: angoli e ricordi della città nella raccolta fotografica Belluzzi, Bologna, Costa, 2000.

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