Salta al contenuto principale Skip to footer content

Leoni

1820 | 1828

Schede

I due leoni analizzati rappresentano al meglio il gusto dell’età neoclassica che, partendo dalle tombe pontificie, scolpite da Antonio Canova a Roma, vede la presenza di questi animali sia per caratterizzare la virtù del defunto, sia a protezione del sepolcro. Con l’aquila, il leone è certamente l’animale più rappresentato nell’antichità classica e nel Vicino Oriente. Esso simboleggia la forza, la nobiltà, la maestà, il coraggio e l’ardore. Il leone è iconograficamente legato alla virtù cardinale della Fortitudo e nell’Iconologia di Cesare Ripa è attributo dell’Etica e del Governo di se stesso. Inoltre quando la forza è sottoposta o all’Eloquenza o alla Giustizia, Ripa sceglie sempre un leone per rappresentarla. Ma come emblema della Forza egli sceglie l’elefante. L'animale nel suo insieme e alcune parti del suo corpo, come la testa e le zampe, sono ampiamente utilizzate in molte delle arti applicate, anche nella sfera funeraria. Nel caso specifico della Certosa, la scelta di far eseguire i due leoni ha la valenza di porre dei guardiani a protezione del recinto funebre.

Le due sculture sono opera di Giovanni Putti e collocate una di fronte all’altra, ai lati del viale del Chiostro Maggiore, perfettamente speculari, differenziandosi solo per minimi dettagli. La posizione è volutamente scenografica, avendo la funzione di chiudere visivamente l'emiciclo sud del chiostro, progettato da Tubertini e Marchesini e terminato nel 1834. A sua volta l'emiciclo è in relazione con quello simmetrico collocato al lato opposto del chiostro, chiuso dal scenografico ingresso dei 'Piangoloni' (1809) che vede ancora una volta protagonista Giovanni Putti. Ambedue i felini sono ritratti accucciati su un basamento rialzato, in posizione vigile, con la testa sollevata e lo sguardo l’uno rivolto verso l’altro. Seguendo il profilo superiore del leone, partendo dal muso e procedendo lungo la criniera, la schiena e la coda, ci si rende conto di come l’artista lo abbia voluto raffigurare a grandezza naturale. Il muso è circondato da una folta e mossa criniera, con la bocca semiaperta, i grandi occhi che poco hanno del felino e molto dell’umano, aspetto quest'ultimo tipico dello scultore Giovanni Putti, che si deduce osservando la coppia di leoni del vicino Monumento ad Anna Maria Ferreris (1821). L’esecuzione degli occhi, in particolare, è stata molto curata e sono da rilevare le due orbite oculari, in cui, per rendere l’effetto delle pupille, lo scultore ha creato un incavo. La fronte è resa correttamente da un punto di vista naturalistico, evidenziando le masse muscolari sopra gli occhi. Anche la criniera risulta essere molto realistica e, partendo dal muso, scende in ispidi ricci lungo il collo, arrivando fino alla base della schiena e all’inizio delle zampe anteriori. Scorrendo dall’alto verso il basso, si noterà come la criniera da ispida diventi sempre meno rilevata, terminando in piccoli riccioli. Il corpo del leone è invece liscio al tatto, a dare l’idea del pelo che, in questa zona dell’animale, è corto.

Le due sculture in terracotta furono cotte ognuna in due grandi blocchi, tagliati al centro all'altezza del petto. Sono state oggetto di restauro nel 2013 grazie ad un cantiere scuola dell'Accademia delle Belle Arti di Bologna.

Paola Sema, Roberto Martorelli