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La pandemia di febbre spagnola

Sociale Primavera 1918 - Inizi del 1919

Schede

Nel 1918, con indicibile violenza e su una popolazione spossata da quattro anni di guerra, giunge anche in Italia la terribile “spagnola”. L’epidemia, che in Europa ha avuto una prima ondata in primavera colpendo dapprima la Spagna (donde il nome), poi la Francia, la Scozia, l’Italia, la Grecia, gli Imperi centrali, l’Inghilterra, i paesi scandinavi, riprende virulenza in autunno, con una seconda ondata, e questa volta invade l’intero continente.

Dal punto di vista clinico si manifesta con febbre violenta, preceduta o meno da brividi, cefalea intensa, dolori diffusi agli occhi, alle articolazione e alle masse muscolari; la sindrome evolve in tosse con espettorato spesso emorragico, cianosi, tachicardia e coma da shock tossico. Il bilancio e’ terribile: solo in Italia si contano 274.041 morti diretti e circa 500.000 da causa indiretta. L’Italia, paese ancora prevalentemente agricolo, con scarse cognizioni di igiene e profilassi, si affida a metodi aleatori (pulizia personale, tenersi lontano dagli influenzati, garze davanti alla bocca … ecc.) e alle terapie allora conosciute, come canfora, caffeina, fenacetina, chinino, per lo più inefficaci. Il governo, presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, e le autorità locali cercano di limitare il panico con provvedimenti che rasentano l’ipocrisia, come il vietare i cortei funebri e il suono delle campane alla morte degli influenzati, l’imposizione del silenzio stampa, il dare la colpa al nemico tedesco o addirittura ai reduci che tornano laceri e sudici dalla guerra infinita. Anche sulle cause biologiche non si hanno idee chiare: si sospetta dapprima il virus Hemophilus influentiae scoperto da Pfeiffer (allievo di Koch), poi si pensa ad un sinergismo moltiplicatore delle reciproche virulenze visto il riscontro con una epizoozia suina influenzale (il cosiddetto virus”A”. Ricordiamo che il tipo “A2” sarà responsabile della epidemia di asiatica del 1957). L’identificazione del virus resterà a lungo un mistero, soprattutto per le sua capacità di mutazione, al punto che scienziati statunitensi, utilizzando il microscopio elettronico (siamo nel 1951) esaminarono i cadaveri ibernati di eschimesi deceduti per spagnola senza trovare traccia del virus. Solo di recente, all’alba di questo XXI secolo, nuove indagini sui corpi di una spedizione canadese ibernati nelle aree polari, e di recente venuti alla luce per il ritiro dei ghiacci, sembrano avere fatto un po’ di luce. All’inizio del 1919, lentamente, l’epidemia (o meglio la pandemia) si esaurisce: nel giro di un anno aveva visto coinvolta la metà del genere umano.

William Musiani, 2018

La pandemia coinvolse anche i cimiteri, in quanto si sentì la necessità di creare aree di sepoltura separate per motivi di igiene e sicurezza. Un esempio è quello del Cimitero della Certosa di Bologna, che al suo interno predispone sia il 'Campo ospedali' sia il 'Campo infetti', riservato a chi moriva nelle case di cura oppure a causa di malattia. Già in occasione delle diverse ondate epidemiche di Colera dell'800 era stata realizzata la 'Torre dei colerosi', un ossario circolare posto all'esterno del perimetro funebre, nel punto in cui oggi si trova l'ingresso monumentale verso via Andrea Costa. Le ossa dei defunti vi venivano collocate dall'alto ed esposte al vento, ritenendo che in questo modo venissero igienizzate. I morti di colera venivano innanzitutto sepolti a terra in fosse più profonde del normale collocate in campi separati, ed a scadenza del periodo di sepoltura le ossa venivano raccolte e portate nell'ossario. (aggiornamento 2021)