La manifattura ceramica Minghetti

La manifattura ceramica Minghetti

1850 | 1967

Scheda

Giacomo Minghetti, giovane bolognese affascinato dall’astro napoleonico, seguì l’aquila imperiale nella campagna di conquista della Spagna. Ferito a Saragozza fu curato da una famiglia di Figueras dove incontrò Margarita Julian che sposò e rientrò a Bologna dove gli nacquero ben dieci figli che dovette mantenere con molti sacrifici. Angelo Minghetti, decimo dei figli di Giacomo, fu costretto al più presto a trovarsi un lavoro qualunque e iniziò come garzone presso un fornaio. Questo del forno fu un fausto presagio, che tuttavia non  poteva soddisfare chi aveva qualità innate per potere aspirare a più alte mete, e, dopo vari tentativi, pensò di cambiare il forno del panettiere con quello del vasaio e, valendosi di un amico, riuscì ad entrare nella Cooperativa Ceramica di Imola ove apprese i primi rudimenti dell’arte. In seguito iniziò una modesta lavorazione domestica  cuocendo i suoi vasetti nella stufa di cucina, poi riuscì a realizzare un piccolo laboratorio con qualche aiutante. I suoi primi lavori non erano perfetti ma, a seguito di suggerimenti che gli dava un amico antiquario, risultavano tali che potevano passare per antichi. Dopo questi primi anni di apprendistato Angelo Minghetti inizia la  sua piena attività di ceramista nel 1850, imitando le maioliche rinascimentali italiane e perfezionandone la tecnica esecutiva. Inizialmente le difficoltà economiche furono rilevanti e in famiglia si ricordava che, in occasione della cottura di un’opera importante, non riuscendo ad ottenere la temperatura necessaria nella fornace per improvvisa carenza di legna, Angelo entrò in casa e, sotto gli occhi  esterrefatti della moglie Carolina, fece a pezzi un armadio per alimentare il fuoco. In seguito suscitò un vivo interesse fra gli antiquari italiani e stranieri (inglesi, francesi, tedeschi e svizzeri) e partecipò con le sue maioliche alle maggiori esposizioni nazionali ed internazionali e tante furono le ordinazioni che fu costretto a trovare sedi idonee alla crescente sua produzione.

Dal primo laboratorio  nei pressi della Montagnola si sposta nel 1854 a Palazzo Malvasia dove ha anche l’abitazione, e nel 1858 inaugura una fornace a Palazzo Pepoli per poi trasferirsi nel 1877 in via San Vitale 87, dove avevano già fabbricato stoviglie i Roversi e le ceramiche i Rolandi e i Fink a partire dal 1764. In un convegno di ceramisti a Torino, in occasione della mostra ivi tenuta nel 1884, egli fu salutato “felice innovatore dell’arte ceramica italiana”. Angelo dimostrò anche il suo coraggio civico nella storica mattina dell’8 agosto 1848, quando fu svegliato dalla voce di un suo compagno di lavoro che gli gridava dalla strada in puro dialetto ”Anzlèin tu mô al cadnàzz e métet a correr!”, cioè “Angiolino prendi il catenaccio (il vecchio fucile del padre) e corri”, perché alla Montagnola si preparavano le barricate in quanto gli Austriaci erano a Borgo Panigale e venivano verso la città. Verso sera le truppe straniere, entrate baldanzose in città, dovettero ripiegare davanti al disperato impeto e al coraggio e alla rabbia dei bolognesi, più o meno armati con vecchi fucili, con scuri e mazze e perfino con sassi e coltelli. Gli operai di Angelo utilizzarono anche le fascine di legname che venivano utilizzate per il forno della fabbrica.Angelo, ferito a un braccio, tornò a casa alla sera, insieme ai suoi lavoranti, come un bravo artigiano che ha terminato la sua giornata di lavoro.

Nella Certosa di Bologna il bel monumento sepolcrale, eseguito in maiolica in stile dei Della Robbia, ci mostra il busto di Angelo, modellato da Alessandro Massarenti, minerbiese che insegnò all’Accademia di belle Arti di Ravenna, che lo presenta quale egli fu: un uomo intelligente e risoluto, un uomo che, malgrado i penosi inizi, aveva raggiunto nella vita l’alta meta che si era prefissa. Un uomo fortunato. Nel 1885 Angelo Minghetti muore e subentrano i figli: Gennaro e Arturo. Il primo si specializza nel decoro a grottesche e il secondo nella pittura di figure e paesaggi. Gennaro insegna anche alla scuola ceramica di Faenza  e stringe buoni rapporti con il suo fondatore Gaetano Ballardini (da cui la Scuola prende nome). La figlia Cesira sposa Cesare Zanichelli, figlio di Nicola, fondatore dell’omonima Casa Editrice, e i Minghetti, grazie anche alla parentela con i Zanichelli e con l’illustre cugino Marco, hanno l’opportunità di stringere rapporti d’amicizia  con  uomini famosi che frequentavano, presso la libreria Zanichelli, il Cenacolo carducciano quali Carducci, il suo caro discepolo Ferrari, Guerrini, Stecchetti, Panzacchi, Albertazzi, Bistolfi, Testoni, Murri, avv.Ceneri, Righi, Marconi, il sindaco Dall’Olio e con Rubbiani, Sézanne e Achille e Giulio Casanova della società bolognese “Aemilia Ars”. La Fabbrica di maioliche Minghetti e la manifattura di ricami “Aemilia Ars” divengono a Bologna, verso la fine dell’800, i più importanti produttori di opere di alto artigianato artistico, note ed apprezzate in tutto il mondo.

Ai circa 30 lavoranti si affiancano via via artisti locali, quasi tutti insegnanti delle Accademie di Belle Arti, come Scorzoni e poi docenti quali Massarenti, Colombarini, Pasqualini, Carpigiani e Vincenzi per la scultura e Scabia, Lambertini, Corticelli, Zagni e Santi per la pittura. Gennaro Minghetti aveva studiato canto, perché aveva una bella voce tenorile, e in un primo momento pareva deciso a seguire la carriera lirica. All’inizio del ‘900 entrano a far parte della Fabbrica anche i figli di Gennaro e di Arturo: Angelo, figlio di Gennaro, diplomato in scultura e famoso tenore, Aurelio, che diverrà un apprezzato critico d’arte, e le figlie  Margherita e Itala che sono abili decoratrici insieme alle figlie di Arturo, Eleonora e Laura. La produzione media era di circa 4000 pezzi l’anno e l’argilla chiara era fornita dalle cave di Paderno, ora completamente esaurite La vita di fabbrica si svolge con molto entusiasmo e in grande armonia sotto la direzione di Gennaro che, essendo stato un valido tenore e Accademico Filarmonico della celebre istituzione musicale bolognese, dirige anche l’esecuzione di brani corali, sopratutto verdiani, che allietano l’attività dei dipendenti durante le lunghe ore di lavoro.

Durante e dopo la prima guerra mondiale tuttavia diminuiscono le ordinazioni e la fabbrica attraversa periodi di forti difficoltà economiche. Nel 1925 muore Gennaro e il 15 giugno 1927 la fabbrica si trasferirà fuori Porta Maggiore in Via Filippo Argelati, nel 1929 lascia la fabbrica anche Arturo e nel 1930 lasciano la fabbrica i miei genitori: la figlia di Gennaro Itala e suo marito Luigi Santi, entrambi decoratori. Pur tuttavia Arturo fino al 1932 seguiterà a dipingere le sue maioliche  nella sua abitazione di via Oriani e a cuocerle in fabbrica. Rimane il prof. Alcino Cesari che nel 1962 cede fabbrica e il negozio di Piazza Galvani alla moglie Dora Nicoli.  Nel 1967 cessa l’attività della fabbrica e nel 1989 chiude il negozio. La Fabbrica Minghetti di maioliche artistiche, ispirate allo stile neorinascimentale, ha una produzione nota in tutto il mondo, in particolare in Francia e negli Stati Uniti. Le maioliche Minghetti sono inconfondibili per i decori a grottesche e a raffaellesche, per i putti e i draghi alati e per i “giochi” di colore azzurro, verde chiaro e giallo su fondo bianco. Famoso è il servizio realizzato da Gennaro Minghetti e dai suoi collaboratori per il francese Antonio di Borbone Orléans, Duca di Montpensier, in occasione delle sue nozze nel 1886 con l’Infanta Eulalia di Spagna, composto all’origine da novecento pezzi, fra cui enormi candelabri e giardiniere, centri tavola, alzate, fruttiere, modellati per la parte scultorea da Alessandro Massarenti. Detto servizio è da considerare il capolavoro di Gennaro in cui egli profuse i tesori della sua fantasia e dell’arte sua. Altri servizi analoghi vengono forniti alle famiglie bolognesi Hercolani e Pepoli.

Altre opere insigni prodotte dalla fabbrica Minghetti, veri capolavori  dell’arte ceramica, sono: l’ancona d’altare nella Cappella Calzoni (1895) e l’Arca nella Cappella Spada (1896),  entrambe in due cappelle absidali nella Basilica di San Francesco a Bologna; il monumento funebre di Angelo Minghetti presso la Certosa di Bologna (1892) recentemente restaurato; le statue, i bassorilievi e le maioliche policrome della Cappella Stucky al Cimitero di Venezia (1905); la pala d’altare con il trittico nella Chiesa di S. Giovanni in Monte a Bologna che rappresenta S. Anna fra due figure di angeli (1905); gli altorilievi nel Palazzo Ronzani a Bologna; un colossale busto di Emanuele Filiberto a Torino (1884); i due grandi busti raffiguranti gli imperatori romani Tiberio e Caligola a Londra (Victoria and Albert Museum), altri due busti simili per dimensioni, rappresentanti i due eroi omerici Achille e Paride, sono stati acquisti dal 2005 nel patrimonio della Fondazione della Cassa di Risparmio di Bologna; due enormi busti di Enrico IV di Navarra e di Maria de’ Medici; un vaso alto 2,30 m., presentato all’Esposizione mondiale di Vienna del 1873, il primo di queste dimensioni ad essere eseguito a gran fuoco. Nel vaso è raffigurato il Trionfo di Bacco sul carro trainato da tigri.

Tante famiglie bolognesi  - e non solo - conservano gelosamente le maioliche Minghetti, per lo meno le famose innumerevoli Madonnine col manto finemente decorato e le inconfondibili statuine del Presepio ispirate alle sculture di Giuseppe Maria Mazza.

Giovanni Santi

Bologna, luglio 2012

 

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