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Il mistero dei Meek

1820

Schede

L'accesso al cimitero dei non cattolici presso la Certosa di Bologna è costituito da un angusto passaggio protetto da un cancelletto aperto durante le ore canoniche, sovrastato da una scritta semicancellata dal tempo. Il quadro non stimola la curiosità perché, sbirciando dall'esterno, ciò che vi si scorge fa pensare ad un'appendice dell'ordinario camposanto che si allunghi per alcuni metri al di fuori del perimetro cimiteriale anziché ad un'area particolare. Anch'io sarei passato oltre se un ferragosto di pochi anni or sono non mi avesse sorpreso un improvviso rovescio di pioggia che mi fece ritenere giudizioso ripararmi sotto al portico del piccolo campo cimiteriale. In attesa del sole, che non avrebbe dovuto tardare, prestai attenzione alle lapidi allineate lungo la parete coperta. Quaranta o poco più pietre tombali ricordano con dovizia di riferimenti e generosità di ingombro coloro che giacciono ed il doloroso ricordo lasciato ai sopravvissuti che li conobbero. Gli epitaffi ci rammentano di uomini, donne e giovinette venuti a Bologna per lo più nel secolo XIX e qui rimasti. Non personaggi famosi, non nomi illustri che abbiano attirato l'attenzione prima e la penna di studiosi poi, ma figure che, arrivate nella nostra città spontaneamente o costrette dalle circostanze, sono state interpreti di avvenimenti che non dovrebbero sfuggire alla nostra memoria per l'originalità o la drammaticità dei casi. Fra le tante, una mi ha attirato l'attenzione per le ridotte dimensioni e la concisione dell'epitaffio: una coppia di sposi, proveniente da una regione della Scozia, vi è sepolta dal 1820, morti nello stesso giorno.

Perché dalla Scozia a Bologna e perché nello stesso giorno...? Grazie ad Internet e prendendo come inizio della ricerca il nome della regione di provenienza dei due evidenziata sulla lapide, mi è stato possibile contattare un professore, studioso di storia locale che, sorpreso, ha risposto alla mia domanda circa le generalità dei due chiedendo una foto della tomba perché colà non risulta che la coppia abbia avuto nella nostra città il riconoscimento di una decorosa sepoltura. Intensificati i rapporti e scambiati i documenti è stato possibile circostanziare un episodio di storia cittadina non certo destinato a modificarla, ma comunque degno di interesse per l'eccezionalità della vicenda e dei suoi interpreti. Nell'estate del 1820 una coppia di stranieri risaliva la penisola sperando di raggiungere Venezia. Si confidarono al cocchiere che li accompagnava a Bologna da Firenze, ultima tappa prima della città lagunare; questi lo disse poi al locandiere che lo riferì all'autorità pontificia durante l'interrogatorio a cui fu sottoposto. I due non si facevano illusioni su ciò che li aspettava a Venezia ma la fortuna non fu dalla loro parte neppure nella scelta del luogo ove soccombere. La coppia si fermò a Bologna e qui è rimasta, vittima di un equivoco in patria e sconosciuta a noi: eppure la loro storia era cominciata poco tempo prima sotto ben altri auspici. Janet Heugh e George Meek, entrambi membri della Chiesa Presbiteriana Scozzese, si erano sposati sul finire dell'anno precedente a Falkirk. Venivano da famiglie di pari estrazione sociale ed i rispettivi padri, grazie al lavoro, al coraggio e ad attenti matrimoni erano riusciti a raggiungere posizioni di rilievo e a divenire rispettabili cittadini nel villaggio fra Glasgow ed Edimburgo. John Heugh, padre di Janet, non ancora maggiorenne si imbarca, quale commissario di bordo, su di una nave diretta in India. Naufrago nell'oceano Indiano, riesce comunque a raggiungere Calcutta, poi Burmah poi ancora Città del Capo, arricchendosi con l'incombenza di fornitore delle truppe inglesi colà stanziate. Tornato all'età di ventisei anni in Scozia si sposa, diventa proprietario terriero ed azionista della costituenda Falkirk Bank Company che gli frutta notevoli profitti. È ricordato come John Heugh of Gartcows, dal nome di una sua proprietà. Il padre di George, John Meek studia medicina e con la specializzazione di chirurgo si stabilìsce a Falkirk attorno al 1756. Per quattro anni opera nella professione e non ci fu nella comunità persona più conosciuta e rispettata per coerenza e correttezza di comportamento. La moglie, figlia unica di un commerciante di malto, gli porta in dote vasti possedimenti ed altri ne eredita dalla madre. Il dottor John Meek è anch'egli fra i fondatori della banca sopra ricordata. Le consistenti ricchezze gli permettono di acquisire terreni nella zona di Falkirk, ove comincia ad essere conosciuto come dottor John Meek of Campfield, dal nome di una grossa proprietà terriera, e questo riferimento avrà una qualche importanza nel malinteso di cui si dirà in seguito. Si fregia del titolo di esquire.

Oggi due strade di Falkirk sono dedicate al ricordo delle prestigiose famiglie. Dall'unione del dottor John Meek con sua moglie Agnes Muirhead nacquero due maschi e cinque femmine. Il primogenito, John anch'egli, si era dedicato alla professione di mercante a Glasgow, ma era morto nel 1784 all'età di venticinque anni. Delle sorelle, due erano già morte quando George si sposò, essendo divenuto suo malgrado il capostipite della famiglia. Dagli studi che intraprese sembrerebbe che le sue inclinazioni non fossero esattamente in armonia con quelle dei maschi della casata. Non scelse una professione come il padre o un'attività mercantile come il fratello ma, dopo avere frequentato la grammar school di Falkirk, passò all'università di Galsgow dove a trentatre anni si laureò Master of Arts avendo studiato arte, lingue, letteratura, filosofia e storia. Pare avesse intenzione di dedicarsi alla Chiesa, idea che poi abbandonò. È legittimo ritenere che il suo ripensamento sia stato forzato, oltreché da un caduta di vocazione, anche dalla presa di coscienza d'essere l'unico maschio di una casata i cui beni, senza ulteriore discendenza maschile, si sarebbero dispersi nelle doti delle sorelle. Janet e George si sposarono il 18 ottobre del 1819, lui benestante esquire di cinquantasei anni, lei figlia ventiquattrenne di un altrettanto rispettabile gentleman di Falkirk. Partirono per il viaggio di nozze e si fermarono a Londra ove trascorsero l'inverno, poi si diressero alla volta dell'Italia. Famosi personaggi hanno incluso nel grand tour europeo il nostro paese a partire dal XIV secolo ed i loro diari, comodamente riveduti e riscritti una volta tornati in patria, non mancano di riferimenti alla città di Bologna. Ma Janet e George non avevano intenzione di far passare alla storia il loro viaggio di nozze; così non ci hanno lasciato diari, ma non è azzardato immaginare perché scelsero l'Italia. Forse fu per accontentare la giovane sposa attratta dal fascino esotico che ispirava il nostro paese ad un abitante dell'allora lontanissima Scozia; probabilmente George desiderava vedere quei monumenti ed i resti di quella civiltà sui quali al liceo prima ed all'Università poi aveva certamente meditato. Giunsero a Bologna il cinque agosto del 1820 ma quello non era né l'anno né il mese opportuno per venirvi e d'altronde l'uomo e la donna vi fecero sosta solo perché obbligati dalle circostanze. "Una terribile siccità per tutto il territorio, con un calore orribile, sempre uguale e costante per due mesi e più ...sulli primi di agosto si fece un triduo alla B. V. della Pioggia, che non ottenendosi la grazia fu prolungato a otto giorni ma invano; motivo per cui da alcuni devoti fu fatto un triduo al SS. Crocefisso dé Servi ... non ottenendosi la grazia fu replicato per altri tre giorni, ma per allora non si ottenne la sospirata pioggia..." Così ci tramandano le cronache. Quasi non bastasse l'afa e l'arsura a rendere tormentati gli ultimi giorni della coppia, il contesto politico cittadino era febbrile: le classi popolari risentivano pesantemente della crisi economica ed i nuovi assetti della proprietà fondiaria, conseguenti alle vicende napoleoniche, tardavano a dare i risultati sperati. Le classi borghesi, che maggiormente avevano tratto beneficio dalla costituzione del Regno d'Italia, erano in fermento. I recenti moti di Avellino e Napoli avevano avuto grande risonanza in città e riacceso velleitarismi mai del tutto sopiti. Gli studenti, in gran parte romagnoli, erano in agitazione. L'elemento liberale — ex impiegati ed ex ufficiali del regno d'Italia nonché alcuni nobili di grande prestigio — intravedevano l'auspicato ritorno ad un recente passato. Di notte si registravano omicidi, poche le strade sicure. Si lamentavano assalti a mano armata a carrozze subito fuori le mura cittadine. Si temevano le conseguenze del passaggio di un'armata austriaca diretta a soffocare il nuovo regime costituzionale napoletano. Il sette di agosto il Cardinale Legato di Bologna viene informato in tutta segretezza che compagnie di truppe ungheresi erano arrivate di rinforzo alle guarnigioni austriache di Ferrara e Comacchio.

In questo contesto di generale disagio ed insicurezza Jane e George Meek scesero alla locanda I Tre Mori. Vi giunsero in condizioni disperate e neppure l'alloggio li favorì. Nello Stato delle Anime della parrocchia di San Gregorio è citata al numero 87 di via dei Vetturini la locanda ed osteria Ercolani, nome che le deriva da un certo Astorre Ercolani che l'aveva comperata nel febbraio del 1644... ma che agli avventori ed ai forestieri di passaggio era nota come I Tre Mori (o Tre Moretti) dall'insegna sulla quale risaltavano i busti di tre saraceni, con in evidenza la specialità della casa: "buoni salami". Non abbiamo — o non sono riuscito a trovare — descrizioni dello stato della capacità ricettiva del locale ma, stando alla descrizione che ne ha fatto alcuni decenni prima un viaggiatore francese, si doveva trattare di una locanda di ripiego, presso la quale alloggiare solo quando le migliori erano occupate, essendo i Tre Moretti "una orrenda bettola ...alla quale non manca nulla per essere sgradevole, la sporcizia, i parassiti e la sfrontatezza dei domestici..." (Riportato da G. Roversi ne "Viaggiatori stranieri a Bologna" ed. L'Inchiostroblù). Forse col tempo le cose potranno essere migliorate, ma non si ricorda visitatore illustre della nostra città che abbia preso alloggio presso la locanda in questione. La coppia aveva lasciato tracce di un breve soggiorno a Firenze presso la locanda "all'Aquila Nera" in via della Forca, locale preferito dai forestieri all'epoca granducale, poi era proseguita per Bologna. Non erano nobili di fama, né militari di rango, né alti prelati e per tanto il loro arrivo non ha lasciato tracce nelle gazzette. Tuttavia un cronista del tempo ha ricordato l'arrivo e le dolorose conseguenze in una nota manoscritta con queste concise parole: "Due inglesi partiti da Roma attaccati di tifo vollero precisamente recarsi a Bologna per lasciarvi le loro spoglie il che accadde poco dopo il loro arrivo". C'è dell'imprecisione in questa notizia attinta sicuramente posteriormente da fonte di seconda mano; tuttavia l'approssimazione coglie l'essenza del fatto: l'arrivo dei due era stato il preludio di una tragedia che avrebbe avuto pochi giorni di gestazione. Morirono entrambi il 12 dello stesso mese, dopo una solitaria agonia, in una desolante stanza di una locanda di second'ordine, sprofondati in un dolore inenarrabile, senza il conforto della presenza di una persona cara, sostenendosi vicendevolmente. Racconta Agostino Corticelli locandiere ed unico testimone del fatto al funzionario del Governo Pontificio incaricato dalla Commissione Provinciale di Sanità di verbalizzare l'accaduto: "...aggiungo poi che questa mattina (parla il giorno 13 agosto) è pervenuta alla mia locanda con altri forestieri il vetturale che condusse i coniugi Meek e che da me interpellato se il defunto Giorgio fosse ammalato quando partì da Napoli, ha risposto che quando partì da Napoli era sano ma che essendo stato il medesimo a levare alcuni sassi in vicinanza di Fondi facendo alcune miglia a piedi prese un riscaldamento per cui di ritorno stava poco bene, ed essendo intenzionato a voler partire proseguì il viaggio quantunque malato"viaggiando" di notte continuamente fino a Firenze. Che si fermò a Firenze due o tre giorni e quantunque peggiorato in salute volle continuare il viaggio fino a Bologna abbenché qualora fu per salire il Legno a Firenze fosse portato sul medesimo e coricato sulla pedana del Legno per non aver potuto assidersi nel luogo apposito. Giunto poi a Bologna si infermò in modo che fu portato sul letto ove è morto, sebbene avesse divisato di proseguire sino a Venezia". Né il cronista bolognese né il vetturale aggiunsero un particolare che immalinconisce vieppiù il dramma: la donna era in attesa. La successione dei terribili fatti che nell'arco di una sola giornata segnò il destino di una delle famiglie più in vista di Falkirk è cadenzata dalla lettura dei certificati di sepoltura custoditi presso l'archivio storico della Certosa di Bologna: all'una e tre quarti antimeridiane nasceva morto il loro piccolo. Alle tre antimeridiane moriva il padre ed alle tre e mezza pomeridiane la madre, a conseguenza dell'aborto, dicono gli atti, trascritti secondo quanto riferì un domestico della locanda, incaricato allo scopo. Il locandiere sostenne che i due erano stati assistiti da un medico e da una infermiera. Questo è probabile com'è pure probabile che abbia voluto mostrare zelo postumo di fronte alle Autorità. Di certo non pose altrettanto impegno nel custodire il ricco bagaglio che la coppia portava e del quale si persero le tracce. Il locandiere sostenne che se ne era impadronito l'agente di viaggio che aveva portato i due a Bologna; c'è da scommettere che, se interrogato, quest'ultimo avrebbe ritorto sul locandiere lo stesso addebito.

IL MISTERO | Un sacerdote bolognese scrisse ai parenti e riferì dei luttuosi accadimenti. In Scozia presero due decisioni: inviare una somma allo stesso sacerdote per erigere una tomba ed inviare un delegato a Bologna per riferire circa la cadenza delle morti, informazione necessaria per decidere delle eredità. Il gentleman tornò in Scozia riferendo che la moglie era deceduta mezz'ora prima del marito, e questa informazione ebbe effetti radicali sull'assegnazione delle eredità. George era rimasto l'unico maschio della casata dei Meek, quindi erede del cospicuo patrimonio di famiglia, fatte salve le doti delle sorelle: la sua morte, se antecedente a quella della moglie, ne avrebbe reso quest'ultima legittima proprietaria, proprietà trasmissibile a sua volta ai suoi eredi. Questo non avvenne; le sorelle di George mantennero il patrimonio (e forse anche la dote di sua moglie) e came into sufficient wealth to be termed heiresses divennero cioè tanto facoltose da essere conosciute come "ricche ereditiere", scrive un cronista del tempo quando le vicende dei due divennero pubbliche, suscitando grande interesse fra i concittadini. Malauguratamente sia presso l'Archivio di Stato di Bologna che presso l'Archivio Storico del Comune non è stato possibile rintracciare gli elenchi dei forestieri in entrata ed uscita dalla città che sia i gestori di locande che i privati dovevano consegnare giornalmente alla Polizia Pontificia. Da questi elenchi sarebbe stato possibile individuare il gentleman e scoprire se avesse legami con questa o quella famiglia e quindi ci fosse qualche interesse particolare in ballo. Per inciso neppure presso gli archivi di Falkirk è stato possibile individuare il personaggio in questione. I documenti che il nostro avrebbe dovuto e potuto consultare presso la Certosa sarebbero stati gli stessi che mi sono stati forniti oggi. Il cimitero dei non cattolici era nel 1820 già perfettamente organizzato e la modesta tomba dei coniugi Meek porta il numero ventinove oggi come allora, a testimonianza che dal 1801 altri ventotto protestanti erano stati sepolti e regolarmente classificati in un ben ordinato camposanto. Stante la venalità dei personaggi che allora ruotavano attorno ai viaggiatori forestieri (locandieri, servitori, vetturini, agenti di viaggio, postiglioni, maniscalchi, guide, mozzi di stalla ecc.) sempre intenti a cercare di spillare qualche scudo all'avventore di turno, non è neppure da escludere un accordo prezzolato fra il gentleman ed il domestico per fornire false informazioni circa i decessi, ma che questo equivoco sia stato fatto in buona o cattiva fede non riveste per noi importanza alcuna. Sono passati quasi due secoli da quel tragico agosto e chi abbia goduto poi di quelle ricchezze è un problema che oramai non interessa nessuno, neppure in Scozia. A noi — intendo dire a noi bolognesi — interessa caso mai restituire onore all'anonimo prete che ricevette il denaro per la tomba, diffamato quale ladro in Scozia.

Quando nel 1854 lontani parenti vennero per onorare i poveri resti, rimasero vittime di un equivoco. Furono accompagnati, all'interno del perimetro della Certosa, in quello che sino a non moltissimi anni or sono era conosciuto come "il cimitero dei fanciulli" e, indicata una croce di legno sulla quale riuscirono a leggere la parola campfield, fu detto loro che li giacevano le spoglie dei coniugi. Tornarono scandalizzati a Falkirk denunciando la disonestà del prete al quale trentaquattro anni prima era stato mandato denaro bastante per erigere una decorosa tomba. Nel loro resoconto il sacerdote si era tenuto il denaro e aveva speso allo scopo il minimo necessario per una rozza croce. Naturalmente ciò non corrisponde a verità. I riferimenti per rintracciare il sepolcro sono sempre stati disponibili ed il loculo, completato nell'ottobre di quell'anno con una pietra tombale modesta quanto a dimensioni e succinta quanto ad epitaffio, non è mai stato spostato. Non esiste una spiegazione documentabile per l'abbaglio preso ma forse un celebre compatriota dei visitatori può avanzare un'ipotesi sostenibile: Charles Dickens. Per quanto oggi non sia consuetudine farlo, nel XIX° secolo la Certosa di Bologna era inserita nel circuito turistico della città per i suoi monumenti funerari che ne facevano uno dei cimiteri più famosi d'Italia. Prova ne sia che nel 1828 Stendhal la raccomandava con calore come cosa da vedere al cugino Roman Colomb che si preparava ad un viaggio in Italia. Quando, alcuni anni prima, l'autore di David Copperfield vi si recò in visita lo fece in compagnia di "un piccolo cicerone locale ...di carattere allegro, una specie di furetto interessato a fare vedere solo quello che faceva comodo a lui ed onore alla Certosa", trascurando ad esempio di mostrare le tombe dei poveri che invece non sfuggirono a C. Dickens. A questo individuo doveva esser famigliare il "cimitero dei fanciulli" perché, come lui stesso afferma, vi erano sepolti cinque dei suoi figli. Niente di più plausibile che sia stato lui stesso — o qualcuno del suo stampo e professione — ad accompagnare i forestieri e che, ricordando l'esistenza della croce, vi abbia indirizzato i visitatori, sperando che accontentandoli ne avrebbe ricavato una buona mancia, senza sapere che, in realtà, quello che sosteneva era solo una mezza menzogna. Infatti sotto quella croce giaceva soltanto uno dei Meek, il piccolo nato morto nella locanda in via dei Vetturini. In quei tempi, quando una partoriente moriva assieme alla sua creatura, a Bologna si usava seppellirli assieme. Nel caso dei Meek si ritenne giusto separali, interrando il piccolo in terra consacrata ed i coniugi, uniti nella stessa tomba, nell'area esterna, non consacrata, riservata ai non cattolici, protestanti od ebrei che fossero. Per tutti questi anni Janet e George non hanno avuto nella nostra città chi li ricordasse, chi sapesse chi fossero. Forse la solitaria agonia in via dei Vetturini meriterebbe ai nostri una traccia nelle guide che ricordano i personaggi che riposano all'ombra del colle della Guardia.

Enrico Piana

Testo tratto dalla "Strenna Storica Bolognese", anno LIII - 2003, a cura del Comitato per Bologna Storico Artistica, Pàtron editore, Bologna. FONTI: ASB — Commissione Sanità del Dipartimento del Reno poi Commissione Provinciale. Anno 1820; Archivio Storico del Comune di Bologna — Archivio della Certosa; Archivio di Stato di Firenze — Presidenza del Buon Governo 1814-1848 Affari Comuni; BCB — Manoscritti: Cronaca del Conte Francesco Rangone; Archivio della Parrocchia di San Gregorio e San Siro — Bologna; CHARLES DICKENS — Impressioni Italiane, Robin Edizioni 2001; STENDHAL — Viaggio Italiano 1828, Ist. Geografico de Agostini 1961; JAN SCOTT — The life & times of Falkirk, John D. Publishers Edimburgo 1995; JAMES LOVE — Local antiquarian notes and queries, (Re-print from Falkirk Herald) 1908; M. MITELLT — Insegne delle osterie di Bologna; A. BRILLI — Un paese di romantici briganti — Gli italiani nell'immaginario del Grand Tour, Il Mulino, 2003.