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Democrito Gandolfi

1797 - 1874

Scheda

Democrito Gandolfi, nato a Bologna nel 1797, vantava nell’arte un’illustre tradizione di famiglia . Il nonno Gaetano (1734- 1802) e il fratello di quest’ultimo, Ubaldo (1728-1781), erano due noti pittori della Bologna settecentesca sia per la decorazioni a fresco di palazzi nobiliari e chiese che per la realizzazione di pale d’altare e di quadri di soggetto storico-mitologico. Anche il padre Mauro ( 1764- 1834), affiancando una grande perizia incisoria, si distinse nell’arte pittorica, tanto che fu incaricato di dipingere la volta di una sala del Palazzo Comunale di Bologna. Il giovane Democrito verosimilmente su consiglio del padre, che collaborava con i milanesi fratelli Vallardi, decideva di iscriversi ai corsi della Reale Accademia di Brera, dove presto ebbe modo di primeggiare nella plastica, tanto che 11 giugno 1829 la Commissione Municipale della Regia Città di Milano gli commissionava due delle otto statue per la Barriera di Porta Orientale, quelle delle facce laterali, raffiguranti Cerere – l’Agricoltura e Vulcano - l’Industria, mentre le altre erano affidate ai più noti Benedetto Cacciatori, Pompeo Marchesi e Gaetano Monti.

A seguito della morte del padre, avvenuta nel 1834, per il quale realizzava l’incisivo busto- ritratto posto nella tomba di famiglia alla Certosa di Bologna, Democrito si trasferiva stabilmente a Milano e nel 1836 apriva il suo primo studio in Corsia dei Servi. Di questi stessi anni sono il Busto della Principessa Albani, portato in mostra all’annuale Esposizione di Brera del 1837, la statua della Primavera, commissionata dalla contessa Samoyloff e il Busto contessa Gismondi, poetessa d’Arcadia conosciuta con il nome di Lesbia Cidonia (Bergamo, Biblioteca Angelo Mai), entrambe portate all’Esposizione di Brera dell’anno successivo.

Con la già citata commissione delle statue di Cerere e Vulcano per la milanese Porta Orientale continuava la duratura e fertilissima collaborazione con la committenza bresciana. L’architetto incaricato per la messa in opera della Porta milanese, vincendo il pubblico concorso del 1 giugno 1826, era il bresciano Rodolfo Vantini, già molto stimato per il progetto del cimitero di Brescia, dove Democrito Gandolfi, già da alcuni anni stava lavorando su incarico dell’architetto. Lo scultore, infatti, il 2 marzo 1824 era stato incaricato dalla Commissione del Campo Santo bresciano di eseguire per la Chiesa di San Michele, sita all’interno del cimitero, la statua del santo dedicatario da collocarsi sopra l’altare maggiore, i tredici busti ad erma raffiguranti santi, posti nelle nicchie del tamburo, i due leoni e le due dolenti, pensate o per l’ingresso della chiesa o per quello principale del cimitero, successivamente collocate all’esterno della sala I.

Durante l’esecuzione delle opere per il Vantiniano ebbe modo di farsi notare dalla nobilità bresciana tanto che il conte Luigi Fenaroli Avogadro nel 1825 lo incaricava di eseguire il busto ad erma raffigurante il fratello Antonio da poco scomparso (Brescia, collezione privata). L’opera verosimilmente tratta dalla maschera mortuaria fu portata in mostra all’Esposizione di Brera di quell’anno insieme ad un Busto di giovane donna e al Busto del Cav. prof. Borda. Successivamente anche il conte Paolo Tosio, raffinato e colto collezionista, gli commissionava, nel 1832, la realizzazione di due medaglioni raffiguranti Raffaello Sanzio e Galileo Galilei che ancora oggi ornano il cortile del suo palazzo, il bellissimo Amore con lira (Brescia, Musei Civici), copia dall’originale del danese Thorwaldsen del 1819 (Copenaghen, Museo Thorwaldsen), i due busti colossali raffiguranti Napoleone Bonaparte e Antonio Canova, tratti da originali canoviani e un piccolo tondo in terracotta raffigurante Napoleone sulle ali di un’aquila, opere attualmente conservate ai Musei Civici di Brescia.

In questo periodo gli venne anche affidato dal conte Francesco Martinengo Cesaresco di scolpire il Monumento per la moglie Flaminia, posto in un arcata del cimitero Vantiniano, in cui il Gandolfi, abbandonando modelli precostituiti di memoria neoclassica, si sofferma con inaspettata introspezione realista a raffigurare la dedicataria scolpita distesa su un sarcofago rinascimentale. Nel 1845 su incarico dell’imprenditore tedesco Enrico Mylius scolpiva per Villa Vigoni a Menaggio (CO) la Madre di Mosè fermata nel marmo nel momento del distacco dal figlio, con evidente richiamo al dolore materno della moglie Federica, posta nella salone delle statue insieme a molte altre opere scultoree tra cui il Cristo fanciullo di Pompeo Marchesi del 1842, voluto da Mylius in ricordo del figlio Giulio. L’artista bolognese era anche attivo nella chiesa albertiana di Sant’Andrea a Mantova dove realizzava i Monumenti sepolcrali dell’architetto Paolo Pozzo a lungo attivo nella chiesa e di Vittorio Barzoni. Nel Museo Teatrale alla Scala di Milano è conservato un medaglione con l’effigie di Vincenzo Bellini scolpito dall’artista, così come al Museè de Picardie di Amiens è presente la bellissima statua de La Mendicante del 1854, in cui è raffigurata una madre, dal viso velato, con i suoi tre bambini.

Alcuni bozzetti in terracotta sono invece conservate presso la Pinacoteca della sua città dove, dopo una lunga e fiorente attività, si spegneva nel 1874 ed era sepolto nella tomba di famiglia alla Certosa di Bologna.

Adriana Conconi Fedrigolli

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