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Domenico Ferri

16 Aprile 1795 - 7 Giugno 1878

Scheda

E’ dopo il Basoli il più celebre scenografo bolognese del secolo; come lui si presentò in accademia con vedute e paesi, ma lo fece saltuariamente, con la periodicità che gli consentiva la sua condizione di emigrato illustre. La segnalazione più antica è del ’17, per un paese a olio; ma spiccò soltanto alla metà degli anni ’30, quando di nuovo figurò, con enorme successo, alle esposizioni bolognesi. In quegli stessi anni, molto tempestivamente, la Guida del Bianconi ne registra la fama in termini non più episodici: “Avendo dipinto alcune scene in patria ne riscosse infiniti applausi; per cui intrapreso il viaggio di Parigi, vi fu accolto ed applaudito nei modi i più lusinghieri”.

A Parigi era scenografo stabile al Thèatre – Italien, giuntovi, come pare – dopo un lungo e fortunato rodaggio nei teatri italiani – per ragioni politiche, che sconsigliarono una più stabile permanenza bolognese a lui, come ai letterati liberali Antonio Zanolini e Carlo Pepoli, in quegli stessi anni anch’essi emigrati a Parigi. Ma con Bologna mantenne rapporti significativi, se già nel ’33, a qualche tempo dalla emigrazione, una rivista francese d’avanguardia, L’Europe littéraire, ne segnalava un breve soggiorno in patria, per prepararvi quadri di paese e d’interno da esporre all’imminente mostra accademica (24 maggio 1833). Era nella tradizione del Théatre-Italien di assicurare piena circolarità di rapporti fra Parigi e Bologna, auspice ‘in primis’ il Rossini, che del teatro fu l’ispiratore in questi anni più fortunati, ma non da meno l’infaticabile direttore Robert e il suo assistente Severini, col loro giro di cantanti, scenografi, librettisti liberali. Per L’Europe littéraire l’artista è “l’habile peintre du théatre royal italien, M. Dominique Ferri”; solo quattro anni dopo, per Gautier che recensisce una Lucia di Lammermoor di Donizzetti, è già “le célèbre Ferri”: con un giudizio che nondimeno circoscrive ampiamente i limiti della celebrità da poco acquistata. “En honneur, les décorations du célèbre Ferri ne valent pas le diable, il y a surtout un certain intérieur de palais dans le genre moyen age pendule avec des vitraux coloriés, qui aurait le plus grand succès chez M. Comte; le dernier, représentant un effet de clair de lune, est mieux entendu, sans cependant s’élever au dessus du médiocre: Nous signalons à l’attention des amateurs un tableau dans la décoration du premier acte, aù est figuré le combat de Jupiter contre les Titans: on ne saurait rien de plus saugrenu. Ces décorations, toutes mauvaise qu’elles sont, ont au moins cet avantage d’etre neuves, fraiches et propres…”.

A margine della infaticabile opera di scenografo, prima per i lavori di Rossini, poi di Bellini e Donizetti, infine di Verdi, si colloca l’attività di pittore di cavalletto. Al Salon figurò con tre vedute, una di Roma, un’altra del Monte Bianco e ‘la casa di campagna di M. Lablanche presso Posillipo’ nel 1836, lo stesso anno in cui espose il D’Azeglio: senza peraltro conquistarsi, come pare, alcuna segnalazione della stampa, mentre ne ebbe invece, benché di molto critiche, D’Azeglio stesso. Nel ’37 a Bologna presentò due quadri già esposti a Parigi, insieme ad altre quattro vedute. E’ il momento della sua maggiore fortuna in patria, avallata dalle lunghe critiche della Gazzetta, e da un più impegnativo giudizio del Gualandi, che molto precisamente ne chiariva la posizione: “Questo genere di pittura nel quale il veneziano Canaletto ha lasciato opere si stupende, ed onde è nata la rinomanza de’ milanesi Migliara… e di Canella, non è meno stupendamente trattato dal Ferri. In quest’opera è verità di rappresentazione, ottimo grado di tinte, un’aerea prospettiva che incanta, un magico effetto”. Meno impegnate e assai saltuarie sono le comparse successive, ma non senza significativi riscontri della stampa: nel ’40 figura a Bologna con due ‘tempeste di mare ’ (“Ecco un artista di vero nome europeo: ecco lo Scenografo per eccellenza”, S. Muzzi in “La Farfalla”, 18 novembre 1840); nel ’54 un ‘tramonto in un clima caldo’ meraviglia perché “è impossibile poter…con quattro sassi ed un po' di cielo ottenere un effetto maggiore” (“l’Arpa”, 27 ottobre 1854). Subito dopo un ‘chiaro di luna sulle acque di un porto ’ sollecita al Bellentani un ammirato paragone con la musica: “L’armonia che per tutto era soave, non pure agli occhi, ma quasi agli orecchi diletto arrecava, quale se in essi per la immaginazione le melodie riconducesse della scena, e forse di Bellini” (G. Bellentani, 1855). Nel ’58 l’ultima segnalazione per la Valle d’Interlago è fatta non senza una sostanziale perplessità dello stesso Bellentani, benché riconoscesse al quadro “tanti pregi…quanti una mano abilissima dal genio guidata sa creare anche scherzando” (G. Bellentani, 1858).

La stampa bolognese diede conto con quanche assiduità dei successi internazionali dell’artista: nel ’47 a Londra, in compagnia del più giovane allievo Luigi Verardi, dipinse il soffitto e il sipario del Coent Garden (“Gazzetta di Bologna”, 9 giugno 1847); successivamente lavorò nel palazzo di Napoleone III elle Tuileries (“Gazzetta di Bologna, 14 ottobre 1854). E con compiti prevalenti di decoratore e restauratore passerà in quello stesso giro di anni, cessando la collaborazione ormai trentennale col Théatre-Italien, al servizio dei Savoia: di suo si ricordano il riattamento del Castello di Moncalieri (1854), la facciata di palazzo Carignano, lo scalone di Palazzo Reale, i restauri del Valentino. Per svolgervi compiti di questo genere fece una breve comparsa a Bologna nel 1860, dove ordinò “gli appartamenti reali e della corte alla suburbana Villa di San Michele in Bosco”.

Renzo Grandi

Testo tratto da "Dall'Accademia al vero - La pittura a Bologna prima e dopo l’Unità", Comune di Bologna - Galleria d’arte Moderna, 1983. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti.