Duprè Giovanni

Duprè Giovanni

1817 - 1882

Note sintetiche

Scheda

Allievo all’Accademia di Siena, ben presto Giovanni Dupré (Siena, 1817 - Firenze, 1882) si avvicinò al naturalismo di Lorenzo Bartolini con il gesso dal titolo Abele morente che, esposto nel 1842 all’Accademia fiorentina, fece scandalo per il suo estremo realismo. Apprezzato dallo scultore Bartolini per la ricerca del naturalismo nelle forme e nei sentimenti, viceversa venne anche denigrato con l'accusa che fosse stato eseguito sulla base di un calco da un vero corpo umano. L'artista dimostrò che non fu una pedissequa copia e il marmo ebbe tale successo che fu acquistato dallo Zar di Russia e attualmente è tra le opere esposte all'Ermitage di San Pietroburgo insieme al marmo eseguito subito dopo, rappresentante Abele.

Ben presto si impose come uno dei maestri più apprezzati del momento, anche grazie a diverse commissioni granducali, quali le statue per la loggia degli Uffizi ritraenti Giotto (1844) e S. Antonino (1854). Recatosi in viaggio a Roma nell’inverno 1844-45, ebbe modo di conoscere il pittore Tommaso Minardi e lo scultore Pietro Tenerani, i quali influenzarono profondamente l’attività seguente del Dupré, che si rivolse verso forme più meditate sull’esempio rinascimentale; ma l’influenza purista ebbe breve durata. A causa di uno stato di prostrazione fisica e mentale, il Dupré si reca a Napoli, nel 1853, per un periodo di riposo. Qui si interessò soprattutto alle grandi opere dell’antichità classica, grazie alle quali intraprese una nuova via, dove è possibile rintracciare una commistione fra il sensualismo del trattamento delle forme anatomiche e le pose che suscitano evocazioni dall’antico. Ma ciò che caratterizza le sue opere fino agli anni Settanta inoltrati è anche l’eterogeneità delle sue fonti di ispirazione.

Nel frattempo la sua fama era destinata ad accrescersi anche a livello nazionale ed internazionale, nonostante all’indomani dell’Unità d’Italia il suo Monumento a Cavour per la città di Torino (1865-1873) si fosse risolto in un clamoroso insuccesso per la rappresentazione in stile classico dello statista. Nel cimitero della Certosa di Bologna viene chiamato ad eseguire il ritratto colossale del conte Antonio Pallavicini, al cui avo la famiglia volle dedicare la nuova cappella per il camposanto. Nel fondo dell'elegante architettura progettata da Antonio Zannoni, viene collocato nel 1870 il marmo di Duprè che lo ritrarrà con fedeltà ispirandosi ai ritratti settecenteschi noti. Per essere ancora più preciso compirà un viaggio a Vienna per poter vedere di persona il tipo di abito militare indossato dal Pallavicini.

Nell’ultimo decennio della sua attività, spinto anche da una forte accentuazione del sentimento religioso, lo scultore rallentò la sua produzione, spesso rivolgendosi verso forme sempre più lontane da riferimenti alla bellezza sensuale.
Pur ritenuto tra gli artisti che più influenzarono la cultura artistica nel passaggio tra il classicismo di primo Ottocento e il Verismo della fine del secolo, Duprè non aderì mai alla cultura cara alla borghesia, ma oscillò sempre tra naturalismo e cultura accademica. A contribuire al consolidamento del suo mito internazionale vi furono, oltre alle opere e alle commissioni anche i numerosi premi, quali il Gran Premio per la Scultura all'Esposizione Universale di Parigi nel 1867 con la sua Pietà. L'esposizione parigina fu un totale successo della scultura italiana, tanto che il secondo premio fu aggiudicato a Vincenzo Vela con il suo Napoleone morente, ora esposto al Castello di Versailles. Anche i suoi ricordi autobiografici, editi nel 1879, contribuirono a costruire il 'mito' del nostro artista, tanto che ne vennero stampate anche versioni per le scuole. Qui di seguito si riportano due brani tratti dai Ricordi, che sono utili per comprendere il temperamento dell'artista.

"Un uomo tagliato all'antica, il conte Antonio Pallavicini, un di quei pochi che serbano in cuore la religione della gratitudine e della memoria affettuosa pei cari parenti, mi ordinò la statua del suo avo Maresciallo Pallavicini al servizio dell'Austria sotto il regno di Maria Teresa; del quale eccellente suo avo il Conte mi narrò un fatto che voglio ripetere, perchè si veda che sotto la divisa straniera batteva un cuore, non dirò italiano, perchè d'Italia allora se ne parlava poco, ma genovese e buon repubblicano. Ecco il fatto. La Repubblica di Genova, per non so quali vertenze coll'Austria, avea messo il broncio e minacciava di respingere colla forza le pretese della potente Imperatrice; la quale o perchè fosse per natura poco curante o inconscia di patrie virtù, o perchè credesse ottenere un migliore resultato, volle che a combattere la baldanza genovese si muovesse con un esercito il maresciallo Pallavicini. Ma questo prode soldato, questo egregio patriotta, venuto dinanzi alla sovrana, si levò la spada dal fianco, e posatala sul tavolino disse con serena dignità: Maestà, non sia mai vero che io genovese porti la guerra contro la mia patria, e perciò questa spada che ho tante volte impugnata per la difesa del vostro Impero, oggi depongo per non macchiarla nel sangue dei miei fratelli. Al che l'Imperatrice sorridendo rispose: Riprendete la vostra spada, che vi sta così bene e che sapete sì valorosamente trattare; e poiché ci è negato il vostro servigio per ridurre a obbedienza i vostri cari, ma protervi fratelli, siate almeno vostro inviato per comporre le nostre vertenze e trattare la pace. E la pace fu fatta. Bisogna convenire che il soggetto era bello, era degno, la statua fu fatta ed è collocata nel Cimitero della Certosa di Bologna; ma il fatto qui sopra descritto, che avrei tanto volentieri tratto in bassorilievo, come quello che scolpiva vivamente il carattere di quel personaggio, non mi fu dato di rappresentare, perchè la base fu tutta occupata da lunghe iscrizioni latine, che il Conte volle ad ogni costo fare incidere, per ispiegare tutta una storia di famiglia, e le ragioni della sua gratitudine e del monumento. (pagg. 410-11). (...) fui eletto presidente della mia sezione di scultura (Esposizione universale di Vienna del 1873 ndr.) ...e non era mica una bagatella; dugentoquindici tra statue e gruppi, senza contare i busti, busticini, ec. Della scultura tedesca ce n'era molta, ma, fuor di poche eccezioni, alquanto dura e convenzionale; della nostra, tranne qualche onorevole eccezione e fra queste il gruppo dell'Jenner di Monteverde, bello nella scelta del soggetto, bene aggruppato e benissimo modellato, tranne questo, dico, e altri pochi lavori, il resto era la solita tiritera insulsa nel concetto e sgarbata nella forma. E' doloroso dirlo, ma la scultura francese a quell'Esposizione ci vinse e ci stravinse. ...Guà! Queste benedette Esposizioni mondiali che fann'elleno di bene all'arte, all'arte vera, all'arte grande? Nulla, io credo; tutt'al più procurano qualche vendita di qualche statuetta frizzante, umoristica o lascivetta, e niente altro. ...Via, diciamolo a tanto di lettere; le Esposizioni mondiali son fiere, son mercati, nei quali la merce è tanto più apprezzata, quanto più ha dello strano, dell'umoristico e del ridicolo. (pagg. 419-20) Il verista nel mio modo di vedere è un pò insofferente di lunghi studii, delle molte regole, e di tutti i dommi accademici che insegnano a fare le statue presso a poco nel medesimo modo, colle stesse misure e collo stesso carattere. (...) Così fece il Bartolini coll'Ammostatore, coi Putti della tavola Demidoff, e in quasi tutti i suoi lavori; così il Vela col Napoleone I e colla Desolazione; e così infine, sebbene in una maniera più minuziosa, fece il Magni colla Leggitrice: e fin qui son verista e ci sto. Ma oggi c'è un'altra specie di veristi o meglio dire realisti, che amano la verità e la natura, fino ad accettare anche il brutto nella forma e il cattivo, l'ozioso e il ributtante nell'idea. E qui in verità nè sono con loro, nè posso consigliare nissuno ad avere in pregio questa scuola, che chiamerei più volentieri spedale o cloaca dell'arte."(pp. 441-442).

Muore a Firenze nel 1882.

Valentina Andreucci

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Emporio pittoresco (L') 155
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L'emporio pittoresco n. 155, marzo 1867, Sonzogno editore, Milano. Museo Risorgimento Bologna.