Crespi - La ragazza con la rosa e il gatto

Crespi - La ragazza con la rosa e il gatto

Scheda

Il più olandese dei bolognesi per stile e temi (ma ispirato da Rembrandt più che da Vermeer) ha dipinto una volta (primi decenni del Settecento) un gatto, una rosa, una ragazza illuminati dalla luce vivace che batte sulla fronte, lascia in ombra gli occhi e splende sulle spalle e sul busto della giovane. Lei, attraente, “un po’ ipnotica” (Emiliani) nel suo insistente fissarci, stringe al seno il gattino e con cautela, tra l’indice e il pollice, tra spina e spina, offre la rosa.
Questa è la struttura palese della tela, ma qual è la struttura profonda, il contenuto, che Giuseppe Maria Crespi (Bologna, 1665 - ivi, 1747) voleva esprimere? Per rispondere osserviamo attentamente il piccolo capolavoro frutto di generosa abilità di pennello, di vivacità, di naturalezza e addentriamoci nelle abitudini simboliche, allegoriche e metaforiche dei secoli passati. Si scopre allora che la bell’apparenza di quotidianità e spontaneità è inestricabilmente legata a sottintesi temi allegorici e simbolici. Attraverso una catena d’allusioni e di sostituzioni (metonimiche) è rappresentata l’Allegoria del tatto e dell’olfatto: è grazie al tatto che percepiamo la più vellutata morbidezza, o il fastidio delle punture e dei graffi che possono essere provocati dalla rosa, dal gatto, dalla ragazza. Allo stesso modo la rosa profumata e la giovane odorosa dei gelsomini che le ornano la capigliatura, fanno anche le veci figurate dell’olfatto.
Ma proseguendo nell’interpretazione iconografica non si possono ignorare i significati della rosa. Vistosamente spinosa, è una rosa profana, simbolo della vanità, della caducità della giovinezza e dell’amore terreno, dei rischi e delle pene cagionate dalla bellezza e dell’eros. Allude al proverbio “Non c’è rosa senza spina”, con tutto ciò che può significare a proposito della donna e del piacere. Il gatto poi non godeva certo di buona fama: amico delle streghe, emblema della lussuria, rappresentava la volubilità incontrollabile, abile simulatore e predatore astuto nel tendere assalti, simbolo delle tentazioni in agguato e del rischio insito nella femmina seduttrice e cortigiana. Nella pittura olandese di genere il gatto era spesso associato al topo ghermito o alla trappola per topi e aveva significato di disponibilità sessuale. Scrutando il volto della ragazza altri significati si aggiungono grazie al confronto con alcuni dipinti crespiani, affini per tema e dimensioni, che rappresentano giovani donne a mezzo busto alle prese con gatti, topolini o colombe. Emerge l’abilità metamorfica del pittore nel caricare lievemente il volto femminile con tratti felini per sottintendere convinzioni radicate nell’immaginario popolare espresse in modi di dire, proverbi o Avvertimenti contro le donne, luoghi comuni negativi riguardo l’universo femminile che veniva caratterizzato da sensualità, astuzia e stoltezza allo stesso tempo e da crudeltà a danno degli uomini. Gli stereotipi passavano dalla tradizione popolare e orale alla cultura alta e scritta non senza traduzioni figurative in incisioni e dipinti ed esorcizzavano la paura della donna.
La sorridente ragazza del Fitzwilliams Museum di Cambridge ha un gattesco volto triangolare, accortamente accentuato dal turbante con due “orecchie” rialzate. È una donna-gatta che si diverte con il suo micio a incrudelire sulla vittima indifesa una volta catturata e che illustra il modo di dire “giocare come il gatto con il topo”.
Anche nella tela bolognese la metafora felina (la donna è come il gatto) passa attraverso il turbante accomodato con due punte rialzate come piccole orecchie gattesche ed è accentuata dalle nere pupille dilatate come quelle del gatto e dal gioco fisionomico del viso allusivamente felino, triangolare, come il musetto appuntito del morbido gattino stretto al seno, apparentemente innocuo ma pronto all’improvviso a sfoderare gli artigli dai suoi felpatissimi polpastrelli. La ragazza e il gatto dispongono gli arti allo stesso modo: uno conserto o ripiegato, l’altro preparato ad artigliare: la mano non presenta il dorso ma la palma e offre la rosa come se fosse in atto di graffiare. Un gesto studiato per alludere all’offerta che cela l’insidia.
La catwoman illustra il proverbio “fare la gatta morta”, fingersi ingenua o indifferente per ghermire meglio la preda. Secondo metafora e similarità, la donna è duplice, come la rosa: bella, vellutata e profumata, come la corolla ma insidiosa, come lo stelo spinoso. E come il gatto è morbida, in apparenza dolce e indifesa, ma in realtà mutevole, astuta, infida e aggressiva. “Così ben fatta che innamora” questa seducente immagine di promessa sessuale e di adescamento poteva essere delibata senza sensi di colpa percorrendo la trama dei temi sottintesi, dall’allegoria, all’avvertimento morale, alla raccomandazione a diffidare della donna.
Non condanneremo il grande Crespi a una sentenza inappellabile di misoginia. Nell’ambito di una rappresentazione sociale della donna sostanzialmente “bipolare” (Porzio), tuttora latente, il pittore realizzò memorabili figure femminili che vanno oltre l’ostilità o il desiderio maschile. Una fra tutte il ritratto di Valeria Crapoli e della sua famiglia (Bologna, Pinacoteca Nazionale) che pur all’interno dei rapporti primari familiari, dove era confinata la donna virtuosa, fa emergere la mater familias, commossa e orgogliosa, centro della vita familiare e dell’affetto coniugale.

Anna Stanzani
Gennaio 2014

Testo realizzato in occasione del ciclo di incontri alla Pinacoteca Nazionale di Bologna “ASPETTANDO VERMEER. OCCASIONI DI CONOSCENZA”. 19 gennaio - 16 febbraio 2014


Bibliografia essenziale: Andrea Emiliani in Nuove acquisizioni per i musei dello Stato, 1966-1971, Bologna 197, pp. 84-85; Adriana Capriotti in Gatti nell’arte. Il magico e il quotidiano, a cura di Sergio Rossi e Claudio Strinati, 1987, n 46 p. 132; Luigi Ficacci in Immagini del sentire. I cinque sensi nell'arte, a cura di Sylvia Ferino-Pagden, Milano, 1996; Francesco Porzio, Malizie e virtù delle donne nella scena di genere italiana, in La donna nella pittura italiana del Seicento e Settecento: il genio e la grazia, a cura di Alberto Cottino, Torino, 2003; Annalisa D’Agliano e Alberto Cottino, Rose. Purezza e passione nell’arte dal Quattrocento ad oggi, Torino 2009; Anna Stanzani in Pinacoteca Nazionale di Bologna. Catalogo generale. 4 Seicento e Settecento. Venezia 2011, pp 134-136

Leggi tutto

Eventi

Luoghi

Apri mappa