Canova Antonio

Canova Antonio

1 Novembre 1757 - 13 Ottobre 1822

Note sintetiche

Scheda

Nacque a Possagno (TV) il primo novembre 1757; a quattro anni rimase orfano del padre Pietro che era uno scalpellino e architetto. La madre, Angela Zardo detta Fantolin, si risposò poco dopo e si trasferì a Crespano, ma Antonio rimase a Possagno con il nonno Pasino, tagliapietre e scultore di discreta fama. Questi sono gli eventi che segnarono profondamente l’animo di Antonio. Già in giovane età, egli dimostrò una naturale inclinazione per la scultura ed eseguiva piccole opere con l’argilla di Possagno; si narra che all’età di sette anni, durante una cena dal nobile Senatore Giovanni Falier, scolpì un leone in un panetto di burro lasciando meravigliati tutti i commensali. Il Falier intuita la capacità artistica del ragazzo lo avviò allo studio ed alla formazione professionale. A 11 anni iniziò a lavorare nello studio della scultura dei Torretti vicino a Possagno; quell’ambiente fu per Antonio una vera e propria scuola d’arte; furono i Torretti ad introdurlo nel mondo veneziano, e con quello che guadagnava, poté pagarsi gli studi alla scuola di nudo all’Accademia studiando disegno e traendo spunto dai calchi in gesso della Galleria di Filippo Farsetti. Dopo aver lasciato lo studio dei Torretti, avviò una propria bottega ed eseguì le prime opere che lo resero famoso: Orfeo ed Euridice (1776) e Dedalo e Icaro (1779). Nel 1779, andò per la prima volta a Roma, ospite di Gerolamo Zulian, grande mecenate degli artisti veneti, ambasciatore veneto a Palazzo Venezia; lo stesso ambasciatore gli procurò le prime commissioni a Roma, quali il Teseo sul Minotauro (1781) e Psiche (1793). Aperta un proprio sudio in via delle Colonnette, eseguirà le sue opere più belle: le Grazie, Amore e Psiche, Venere e Marte, Perseo vincitore della Medusa, Ettore e Aiace; fece inoltre i monumenti funebri per il Papa Clemente XIII, Clemente XIV e per Maria Cristina d’Austria.

In questo periodo conobbe Domenica Volpato, figlia dell’incisore Giovanni; con essa però ebbe un’amicizia molto travagliata; nel frattempo la sua fama sia in Italia che all’estero cresceva ed era subbissato da nuove commissioni. Quando i francesi occuparono Roma nel 1798, egli fece ritorno alla natia Possango e si dedicò alla pittura; tali opere le possiamo ammirare ora nella sua casa natale. Nel 1800, accompagnato dal fratellastro Giovanni Battista Sartori, che fu il suo fedele segretario per tutta la vita, fece ritorno a Roma. Nel 1804, con l’incoronazione ad imperatore di Napoleone, iniziò un periodo molto fecondo nella produzione artistica del Canova che però rifiutò di diventare l’artista della Corte dell’imperatore, anzi, nel 1815, dopo la caduta di Napoleone, Canova si trovava a Parigi assieme al fratellastro e a seguito di una azione diplomatica riuscì a riportare in Italia la maggior parte delle opere che erano state trafugate da Napoleone; per questo motivo il Papa Pio VII gli conferì il titolo di Marchese d’Ischia unitamente ad un vitalizio di tremila scudi, che egli donò alle accademie d’arte. Canova consolida nel tempo solidi rapporti di amicizia e stima con personalità della città di Bologna e diversi scultori saranno suoi allievi nello studio di Roma, tra cui Adamo Tadolini e Cincinnato Baruzzi. Fue due volte ospite in casa di Cornelia Rossi Martinetti. Il rapporto era di grande stima, come si evince da una lettera che il fratello - il vescovo Giovan Battista Canova - scrive al pittore Felice Giani da Roma il 15 aprile 1811: ...Non è questo il solo motivo che fa scrivermi. Ne ho un altro più importante per noi ed è la voglia che abbiamo di sentire come stia la nostra adorabile Cornelia. E' un secolo che non ci scrive e questo silenzio insolito non può essere senza fondamento. Toglieteci di ogni timore e, purchè sia bene in salute, di tutto il resto ci daremo pace. Ma vi prego a non essere tardo, perchè il desiderio nostro è impaziente d'ogni indugio e tale che, se più tardassero le nuove, noi quasi saressimo disposti a fare una corsa a Bologna solo per questo. (in 'Felice Giani. Un maestro nella civiltà figurativa faentina', Faenza, 1979)

Nel 1819, a Possagno, pone la prima pietra del Tempio, chiesa parrocchiale, che egli progetta per la sua città natale; tale edificio però verrà completato solo dopo dieci anni dalla morte del Maestro, avvenuta il 13 ottobre 1822 a Venezia. L’artista che alla morte del Canova porterà avanti lo studio romano sarà il suo discepolo Cincinnato Baruzzi. A Bologna, nella sala alla 'Boschereccia' delle Collezioni Comunali d’Arte di Palazzo d’Accursio, è conservato l'Apollino, realizzato nel 1797.

Lorena Barchetti

Nel volume 'Felice Giani. Un maestro nella civiltà figurativa faentina' (Faenza, 1979), è riportata questa lettera di Giambattista Canova a Felice Giani: "Roma, 15 aprile 1811. Mio caro amico. Io vengo a voi con lo stile degli amici senza un'ombra di complimento; e vengo per dirvi che foste proposto in piena adunanza di questa romana Accademia di S. Luca per suo membro e socio di merito. (...) In seguito vi si manderà il vostro diploma ed io vi renderò note pure anche le inezie di spese che saranno pochissimi paoli, dovuti alla scrittura della patente e che so io. Non potete credere quanto sia contento mio fratello dell'avervi fatto questo piacere! Io ne feci parola al vostro amico pittore Keck, il quale disse di avervelo scritto. (...) Non è questo il solo motivo che fa scrivermi. Ne ho un altro più importante per noi ed è la voglia che abbiamo di sentire come stia la nostra adorabile Cornelia (Rossi Martinetti). E' un secolo che non ci scrive e questo silenzio insolito non può essere senza fondamento. Toglieteci di ogni timore e, purchè sia bene in salute, di tutto il resto ci daremo pace. Ma vi prego a non essere tardo, perchè il desiderio nostro è impaziente d'ogni indugio e tale che, se più tardassero le nuove, noi quasi saressimo disposti a fare una corsa a Bologna solo per questo. Addio, addio, il vostro affezionatissimo Giambattista Canova. Scrivo anche a Giordani con quest'ordinario ma, sapendolo ancora a Piacenza, ho voluto scrivere anche a voi."

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