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Campagna garibaldina di Francia

Militare 1870 | 1871

Schede

Il 19 luglio 1870 la Francia dichiarò guerra alla Prussia ma, dopo appena quaranta giorni, le sorti del conflitto fra i due regni erano già segnate: il 2 settembre a Sedan 88.000 soldati transalpini capitolarono all'esercito tedesco, e lo stesso Napoleone III fu fatto prigioniero. Due giorni dopo, decaduto l'Impero, venne proclamato un governo provvisorio, che decise per la difesa ad oltranza del paese. La caduta di Bonaparte segnò anche la fine per il potere temporale del Papato: difatti, venuta meno la tutela napoleonica, il Regno d'Italia si mosse immediatamente verso Roma, che fu presa il 20 settembre dalle truppe del generale Raffaele Cadorna.

Dopo un primo momento di incertezza – che vide parte di quel variegato mondo dell'Estrema italiana parteggiare addirittura per la Prussia, tanto che alcuni reduci garibaldini si presentarono spontaneamente alla Legazione teutonica di Firenze per essere inviati sul fronte del Reno (Tamborra, p. 126) – tornata la Francia ad essere la «patria dei principî del 1789» (anche se lo stesso Eroe dei Due Mondi nelle sue memorie non esitò a definire quello transalpino un «governo […] che ebbe sempre vergogna di proclamarsi repubblicano»), il movimento garibaldino si ricompattò attorno al suo leader, convogliando oltre confine le sue energie politicamente antagoniste. Garibaldi, dopo Sedan, aveva prontamente indirizzato un telegramma al gabinetto parigino, con il quale si metteva al suo servizio: ormai sessantatreenne, reduce dalla bruciante sconfitta di Mentana, egli si apprestava dunque a partire per quella che sarebbe stata la sua ultima campagna militare, lanciando dalle colonne del periodico genovese “Il Movimento” un ulteriore proclama netto e conciso: «Ieri vi dicevo: guerra e morte al Bonaparte, oggi vi dico: salvare ad ogni costo la Repubblica francese».

Nel silenzio del governo francese, fu la sinistra radicale ad organizzare l'arrivo di Garibaldi Oltralpe: all'inizio di ottobre giunse a Caprera Philippe-Touissant-Joseph Bourdon (italianizzato in Bordone), già combattente nella Seconda guerra d'indipendenza nel '59 e poi a fianco del Nizzardo nel '60. Sbarcati a Marsiglia il 7 ottobre, dopo alcuni giorni di trattative Garibaldi poté infine raggiungere Dôle (dipartimento del Jura), dov'era in via di organizzazione la futura Armata dei Vosgi. Questo esercito eterogeneo era composta allora da circa 4.500 francs-tireurs e volontari di varie nazionalità: polacchi, ungheresi, greci e naturalmente italiani, affluiti a Lione, Nizza e Marsiglia già dal settembre. Di fronte ad un esercito ottimamente organizzato come quello prussiano, Garibaldi era conscio che l'unica possibilità di affrontarlo era mediante una guerra «per bande», che potessero «tendere insidie facilmente, gettare l'allarme in un Corpo di truppe e stancarle», spingendosi «sulle linee dei nemici e sulle loro retroguardie per molestarli senza tregua». Fondamentale era inoltre «farsi stimare dalle popolazioni», al fine di ottenere da loro viveri e guide, ed infine era necessario osservare «una disciplina severa, più severa di quella delle truppe regolari, senza la quale nessuna forza militare può esistere».

Nel novembre fu ordinato a Garibaldi di dirigersi verso il massiccio del Morvan: stabilì perciò il suo nuovo quartier generale ad Autun (Saône-et-Loire). Giunsero in questo periodo i rinforzi guidati da Faustino Tanara (garibaldino fin dal '59) e Gabriele Ravelli, nonché ulteriori volontari spagnoli, greci e polacchi ed alcuni battaglioni di mobiles (mobili, ovvero uomini tra i venti e i quarant'anni reclutati con la leva di massa). Secondo le stime fornite da Gustavo Sacerdote, alla fine di novembre l'Armata dei Vosgi toccò le 10.000 unità, che ascesero a 18'000 al 12 dicembre e a 19.500 al 10 gennaio 1871: «Di veri elementi combattenti, però, Garibaldi non poté fare assegnamento che su 3.500-4.500 uomini al massimo; più tardi su 5-6.000» (Sacerdote, p. 908). Furono organizzate tre brigate: la prima comandata dal generale polacco Joseph Bosak-Hauke (già combattente in patria nel 1863 e nella campagna garibaldina del '66), la seconda dal colonnello Louis Delpech, al quale subentrò in seguito il colonnello Cristiano Lobbia (già garibaldino dal '59), e la terza da Menotti Garibaldi. Una quarta brigata (denominata così «per cortesia», come sottolineò Jessie White Mario) fu affidata a Ricciotti Garibaldi: inizialmente essa si componeva di sole compagnie di francs-tireurs, che operavano in colonne volanti, ma nell'ultima parte della campagna ad esse furono affiancati alcuni battaglioni mobilizzati. Il generale Bordone fu nominato Capo di Stato Maggiore dell'Armata, mentre Stefano Canzio fu posto al comando del Quartier generale, finché non gli fu assegnata una quinta brigata, che si sarebbe poi fusa con la prima, all'indomani della morte in battaglia del generale Bosak. A metà novembre l'Armata mosse per la valle dell'Ouche, in direzione del settore occupato dall'esercito prussiano del generale August von Werder, forte di oltre 20.000 uomini. In questo periodo si registrarono solamente alcune scaramucce, fatta eccezione per una sortita operata da Ricciotti Garibaldi a Chatillôn-sur-Seine, che gli valse la promozione a Maggiore. Alla testa di 800 franchi tiratori, Ricciotti riuscì a sorprendere un grosso corpo di fanteria tedesca accantonato nella cittadina della Côte-d'Or, facendo 167 prigionieri (tra cui 13 ufficiali) e sottraendo al nemico 82 cavalli e 4 vetture cariche d'armi e munizioni. Il 26 novembre vi fu un primo vero scontro sull'altipiano di Lantenay (Côte-d'Or), che nelle parole di Garibaldi «non fu gran cosa per i risultati, ma per il contegno dei nostri militi, al cospetto degli agguerriti soldati della Prussia, esso fu brillantissimo» (p. 436). Seguì un tentativo di colpo di mano su Digione, capoluogo della Borgogna, allora occupata dai tedeschi di Werder, ma l'assedio non ebbe esito. Ritiratasi l'Armata garibaldina verso Autun, essa respinse un attacco prussiano il successivo 1° dicembre. L'ultima parte dell'anno trascorse tranquilla e fu impiegata per la riorganizzazione dei corpi, in particolare l'artiglieria e la cavalleria.

Dal punto di vista militare, l'Armata servì da «cortina e protezione» ai movimenti delle truppe del gen. Crouzat e dell'Esercito della Loira comandato dal gen. Bourbaki. In conseguenza dell'avanzata di quest'ultimo, i Prussiani furono costretti ad abbandonare Digione, che fu occupata prontamente da alcune compagnie di francs-tireurs agli ordini di Garibaldi. I primi giorni del 1871 vennero utilizzati per continuare le opere di fortificazione già iniziate dai tedeschi: fu posta particolare attenzione alle posizioni di Talant e Fontaine-le-Dijon, entrambe situate sulla strada che conduce a Parigi. Fu qui che l'esercito prussiano attaccò il 21 gennaio con la brigata del gen. Kettler, forte di 4.000 fanti, 260 cavalieri e 12 pezzi d'artiglieria. Dopo aver resistito due giorni, il terzo (23 gennaio) i garibaldini ressero l'urto più intenso: in particolare, la quarta brigata di Ricciotti Garibaldi riuscì a mantenere la posizione, nonostante si fosse asserragliata in una fabbrica di nero animale (derivato dalla lavorazione delle ossa macinate ed impiegato nella produzione dello zucchero per chiarificare il succo delle barbabietole) poco lontano dalla città, l'Usine Bargy. Nel frattempo, la terza brigata di Menotti ricacciò parte dell'esercito nemico al di là di Pouilly. Sul finire della giornata, la quarta brigata, respinti i numerosi assalti prussiani, riuscì infine a conquistare la bandiera del 61° Reggimento di Pomerania. Nelle prime ore della notte, l'armata tedesca abbandonò le posizioni presso Digione ed i villaggi circostanti, che furono subito occupati dai garibaldini. Al contempo però Parigi, prostrata da oltre cinque mesi di assedio, capitolò. Era il 28 gennaio: quello stesso giorno, a Versailles, ebbero inizio trattative preliminari per addivenire alla firma di un trattato di pace (che sarebbe stato siglato a Francoforte il 10 maggio successivo). Nel mentre, un armistizio entrò in vigore: esso però non prevedeva un cessate il fuoco nelle zone di operazione dei garibaldini, né in quelle dell'Esercito della Loira del gen. Bourbaki. Difatti, non furono compresi nei patti i dipartimenti del Jura, del Doubs e della Côte-d'Or, che sarebbero rimasti in mano tedesca. Bourbaki fu perciò costretto, con i suoi 80'000 uomini, a rifugiarsi in Svizzera per sfuggire all'inseguimento nemico. D'altro canto l'Armata dei Vosgi, rafforzata da 15.000 uomini mobilizzati dal gen. Pellissier, riuscì a tenere Digione fino alla notte del 31 gennaio, quando fu infine ordinata la ritirata. Le truppe mossero dapprima verso Chagny, quindi su Chalons-sur-Saône ed infine al castello di Courcelles, mentre il 1° febbraio i Prussiani entravano nel capoluogo della Borgogna.

Così Luigi Musini, maggiore medico della brigata Menotti, narrò lo stupore seguito all'esclusione del settore garibaldino dall'armistizio del 28 gennaio: «Verso mezzodì si sente di nuovo tuonare il cannone. Che è? Che non è? I Prussiani! Ma e l'armistizio? Tradimento! Suona la raccolta e tutti sulla strada di S. Apollinaire d'onde si vedevan da lontano le messe nere de' Prussiani. Il nostro cannone li teneva in rispetto. Essi rispondevan tratto tratto, ma però non s'avanzavano. Apprendiamo di esser esclusi dall'armistizio perché questo stabiliva che i dipartimenti Doubs, Jura e Cote d'Or dovesser restare ai Prussiani. E Garibaldi era stato informato di nulla!» (nota del 31 gennaio 1871: Musini, pp. 119-120).

Intanto, eletto all'Assemblea Nazionale nei collegi di Algeri, Digione, Parigi e Nizza, Garibaldi lasciò il comando dell'esercito al figlio Menotti, per recarsi a Bordeaux (allora capitale provvisoria) «con lo scopo preciso di perorare la causa dei mutilati, delle vedove e degli orfani della sua armata e poi di dimettersi. Ma i reazionari, che popola[va]no l'aula dell'Assemblea, non gli [permisero] neppure di dimettersi» (Sacerdote, p. 916). Pertanto, Garibaldi decise di lasciare la Francia per fare ritorno alla sua Caprera.

Oltralpe rimase il quartogenito Ricciotti, che a Lione era stato eletto comandante militare della Comune, il quale ricevette dal padre un ordine preciso: «Tu resta in Francia, osserva attentamente questo movimento comunardo; se vedi che da esso può nascere una riapertura delle ostilità, ti autorizzo di prendervi parte; ricordati soltanto che appena so a Caprera che tu ti sei unito ai comunardi, io parto immediatamente per raggiungerti. Ma se rimane una questione tra Francesi e Francesi non te ne immischiare» (Tamborra, p. 129). Nel mentre, «L'esercito dei Vosges, composto di elementi troppo repubblicani, dovea naturalmente godere dell'antipatia del governo di Thiers, e fu sciolto» (Garibaldi, p. 456). Frattanto, già si scorgevano i segni premonitori del 18 marzo, giorno in cui a Parigi venne proclamata la Comune, «il più importante episodio di lotta della classe operaia prima della rivoluzione sovietica del 1917» (Basevi, p. 5): annotò infatti Musini che «Si vedevano sfilare per i boulevards i battaglioni della Guardia Nazionale che portavano corone di immortelles sulla Torre di Luglio e là pronunciavano discorsi violenti. Fra gli oratori più furibondi si notavano parecchi in camicia rossa» (nota dell'11 marzo: Musini, p. 123). Svariati furono i garibaldini che presero parte alle vicende e alla difesa dell'esperimento comunardo. Fra tutti, Amilcare Cipriani (volontario fin dal 1859, riminese d'adozione) fu tra i protagonisti della prima fase insurrezionale ma, catturato nell'aprile dalle forze della reazione, fu condannato a morte (la sentenza venne in seguito commutata nella deportazione a vita; dopo otto anni di prigionia in Nuova Caledonia, venne amnistiato nel 1880).

I tanti reduci dell'Armata dei Vosgi e della Comune, facendo ritorno in patria portarono con sé la loro «testimonianza viva, palpitante» di quei mesi, e non a caso il Consiglio generale dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori raccomandò caldamente, alle costituende sezioni italiane, di «utilizzare la lista dei garibaldini dell'armata dei Vosgi per poter cercare subito fra loro degli attivisti dell'Internazionale». Il 27 novembre 1871 fu fondato a Bologna il Fascio Operaio, futura sezione della Federazione Italiana dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori, che sorse dall'iniziativa di molti reduci di quelle esperienze, tra i quali Celso Ceretti e il fratello Arturo, Abdon Negri, Teobaldo Buggini, Alfonso Leonesi, Enrico Anzola, Aristide Mastellari, Alceste Faggioli e molti altri (Bassoli, pp. 20-22).

Andrea Spicciarelli

BIBLIOGRAFIA: P. Basevi, Prefazione a P. O. Lissagaray, La Comune di Parigi. Le Otto giornate di Maggio dietro le barricate, Milano, Feltrinelli 1973, p. 5; A. Bassoli, La Comune di Parigi, la crisi delle formazioni democratiche risorgimentali e la nascita dell'Internazionale a Bologna in Atti del Convegno di studi su «La Comune di Parigi e la crisi delle formazioni politiche del Risorgimento», promosso dal Comune di Bologna e dal Comitato per le celebrazioni bolognesi del Centenario dell'Unità d'Italia (16-18 novembre 1973), “Bollettino del Museo del Risorgimento”, aa. 1972-1974, Bologna, [s.n.] 1977, pp. 20-22; E. Cecchinato, Camicie Rosse. I garibaldini dall'Unità alla Grande Guerra, Roma-Bari, Laterza 2007, pp. 134-148; G. Garibaldi, Memorie, a cura di D. Ponchiroli, Torino, Einaudi 1975, pp. 425-456; A. Garibaldi Jallet, Ricciotti. Il Garibaldi irredento, La Maddalena, Paolo Sorba Editore 2012, p. 123, 127; L. Musini, Per un'Italia di liberi, di felici, di uguali. Le memorie (1859-1885), Fidenza, Mattioli 1885 2007, pp. 95-124; G. Sacerdote, La vita di Giuseppe Garibaldi secondo i risultati delle più recenti indagini storiche con numerosi documenti inediti, Milano, Rizzoli 1933; A. Tamborra, Garibaldi e l'Europa. Impegno politico e prospettive politiche, Roma, Stato Maggiore dell'Esercito – Ufficio Storico 1983, pp. 125-129.