Calabri Dante

Calabri Dante

18 dicembre 1883 - 30 gennaio 1940

Note sintetiche

Occupazione: Avvocato

Scheda

Calàbri Dante, di Giovanni e Leonilde Monchi, nacque a Modigliana (Firenze, oggi Forlì-Cesena) il 18 dicembre 1882. Ultimo di cinque figli, le umili condizioni della famiglia portarono probabilmente alla scelta di far entrare Calàbri nel seminario della sua città natale, dal quale si ritirò però dopo un solo anno di frequenza non solo a causa della nostalgia, ma soprattutto per un inconscio disagio a vivere esclusivamente fianco a fianco con dei “maestri religiosi”.
Successivamente, frequentò il ginnasio a Firenze e quindi il liceo a Faenza: fu nella cittadina romagnola che, spontaneamente, cominciò ad avvicinarsi ai mazziniani più noti del territorio.

Nel 1907, in occasione delle elezioni amministrative a Modigliana, Calàbri venne eletto consigliere comunale nelle file del Partito Repubblicano Italiano.
L'anno successivo si laureò in Giurisprudenza all'Università di Bologna, avviandosi immediatamente all'esercizio della professione forense.
Stabilitosi definitivamente nel capoluogo emiliano, Calàbri divenne l'anima della locale Unione Repubblicana, portandovi alcuni usi dei circoli romagnoli, tra i quali le feste campestri in occasione del 1° Maggio, le veglie danzanti e le celebrazioni dei fatti e delle date storiche del Risorgimento nazionale.
Grazie al suo impegno politico e propagandistico, si giunse alla costituzione della Federazione Repubblicana Emiliana, la quale si dotò nel 1914 del periodico "L'Emilia Nuova" (quindicinale) per il quale molto spesso Calàbri firmava l'articolo di fondo.
Parallelamente al suo impegno giornalistico, Calàbri si prodigò per il finanziamento, tramite l'emissione di azioni da 5 Lire, di una serie di pubblicazioni di carattere repubblicano, da lui viste come un «mezzo di propaganda più pratico, più efficace e meno dispensioso», adatto «alla mentalità delle varie categorie di persone a cui si rivolgono».
La Federazione Emiliana, in quest'ottica, sarebbe andata a «colmare una lacuna» attraverso opuscoli che sarebbero stati compilati da importanti dirigenti dell'epoca (quali Eugenio Chiesa, Innocenzo Cappa e Carlo Bazzi) e messi in vendita a prezzi modici (dai 2 ai 10 centesimi), arrivando così a creare una vera e propria “Biblioteca repubblicana”.

Nel maggio 1914 Calàbri fu tra gli organizzatori del XII Congresso Nazionale del PRI che si tenne a Bologna, al quale lo stesso avvocato romagnolo intervenne in qualità di rappresentante della Federazione Emiliana.

Allo scoppio della Grande guerra, nell'estate di quell'anno, Calàbri sposò – al pari del suo partito – la causa interventista: la Direzione gli affidò il compito di arruolare volontari repubblicani nell'area bolognese, ferrarese e parmense (nonché a Modigliana) per quel reparto che sarebbe diventato poi l'effimera Compagnia “Giuseppe Mazzini” che, costituitasi nei primi giorni dell'autunno a Nizza, avrebbe dovuto – con armi francesi – accorrere in soccorso dell'esercito serbo, allora impegnato contro le forze asburgiche.

La Compagnia, che toccò i 200 aderenti, fu sciolta dopo due sole settimane a causa della mancanza di fondi: svariati però furono i volontari accorsi dall'Italia che avrebbero poi scelto di continuare il loro impegno nelle file della Legione Garibaldina in via di organizzazione – in seno alla Legione Straniera – nei depositi di Nîmes e Montélimar.
Al contempo, Calàbri continuò a propagandare l'intervento anche a livello locale: il 4 ottobre 1914 inviò una lettera al parlamentare trentino Cesare Battisti (espatriato in Italia e già attivo conferenziere) per invitarlo a tenere un comizio a Bologna. «A noi – scriveva Calàbri – occorrerebbe di avere un deputato socialista per dimostrare che la guerra, che noi predichiamo, è guerra sacra a tutti gli Italiani, senza distinzione!». La conferenza, dal titolo Trento e Trieste e il dovere dell'Italia, ebbe luogo il 13 ottobre successivo presso la palestra della Virtus, attigua al Tempio di Santa Lucia di via Castiglione, auspici le società “Dante Alighieri” e “Trento-Trieste”. Secondo le cronache dell'epoca, accorsero circa 4.000 persone (per Battisti molti di questi erano di estrazione operaio-socialista).

Con il 31 dicembre 1914, si concluse la parabola de "L'Emilia Nuova": nel fondo di commiato, tracciando un bilancio della breve impresa editoriale, Calàbri affermò che: «La vita del nostro foglio non è stata adunque né ingloriosa né improduttiva, solo che consideriamo il fervore nuovo e manifesto con cui è stata circondata, specie in questi ultimi tempi, la nostra azione repubblicana. Ma se l'esperimento può, per un istante, lusingarci non deve disorientarci di fronte alla realtà.
Conviene sostare. La vita, oggi, è vissuta con l'ansia di ogni attimo; e di fronte al grande e violento duello fra la vita e la morte non vi è tempo né fa d'uopo di teorizzare. La stampa dei settimanali e dei quindicinali può tacere fino a che il cimento internazionale non s'arresti; allora anche l'Emilia Nuova riprenderà col tesoro di nuove esperienze e di nuovi valori politici e morali, per educare e ammonire. Ora è tempo d'azione».

Pochi giorni prima, il 18 dicembre, Calàbri aveva contribuito alla fondazione del Fascio d'Azione Interventista, il cui scopo era quello di creare un luogo che non fosse «un ricettacolo degli scarti degli altri partiti, ma una libera accolita di liberi spiriti militanti sotto diverse bandiere politiche, uniti, in questo momento per riaffermare i diritti delle diverse nazionalità e rendere intangibilmente compiuti i destini dei popoli».
Il 28 marzo 1915, in rappresentanza del Fascio nonché dell'Unione Repubblicana cittadina, partecipò a Roma al congresso della “Trento-Trieste”.

Dopo la dichiarazione di guerra del 24 maggio, Calàbri si arruolò volontario nell'esercito: lasciò a casa la moglie Adele Schinetti (sorella dei repubblicani Pio e Teobaldo), insegnante di lettere in una scuola di avviamento di Bologna, e i due figli Renzo e Luciana, nati rispettivamente nel 1911 e 1914. Nel 1917 Calàbri ascese al grado di tenente del 65° Reggimento Fanteria (Brigata Valtellina), impegnato a quel tempo sul fronte carsico. Il comando di Reggimento gli affidò il ruolo di ufficiale di collegamento, ufficiale istruttore e ufficiale addetto alla difesa contro i gas. Nell'agosto partecipò ad un'azione nei pressi di Selo (durante la battaglia della Bainsizza) ma, seppur meritevole di una decorazione, non gli fu concessa alcuna onorificenza per via di una sua troppo «marcata familiarità coi sottoposti». Tornato al fronte dopo una brevissima licenza e riunitosi col suo reparto presso la quota 40 del monte Hermada, Calàbri fu vittima – al pari dei suoi commilitoni – di un attacco che coinvolse tutto il settore di Flondar, preparato e attuato dagli austriaci per tentare di rompere il fronte carsico all'indomani della conquista italiana dell'altipiano della Bainsizza. Quel 4 settembre Calàbri cadde prigioniero degli asburgici: nonostante una strenua difesa, assieme ad un Colonnello, un altro Tenente e a pochi fanti, fu catturato dal nemico. Pochi giorni dopo, il 16 settembre, Calàbri fu trasferito da Oberlaibach (it.: Nauporto, oggi la slovena Vrhnika) al campo di prigionia di Mauthausen, quindi il 6 novembre successivo a Theresienstadt (oggi Terezín, in Repubblica Ceca). Poche settimane prima degli eventi bellici estivi, il 3 luglio Calàbri aveva inviato da Bologna una lettera alla moglie, che certamente poteva dirsi un “testamento spirituale”, nel caso infausto in cui fosse rimasto ucciso:

«Adele mia […] Si parla di una grande azione da svolgersi verso Col Santo e perché dovrei essere assente? Non amo e voglio non essere lontano, in un'ora di sublime trepidazione dalla linea del fuoco perché so e sento tutta la santità del momento, la gravità e l'importanza dell'impresa bellica che è destinata ad aprire la via di Trento che fu sogno, angoscia e martirio di Cesare Battisti.
L'assenza sarebbe una colpa se anche la mia partecipazione non rappresenta un contributo reale, né possa lasciare un'impronta. E che per questo? Buttare nella guerra tutto il fuoco della propria anima, vivere nel cuore della guerra senza pencolamenti e senza viltà, svegliare in sé e negli altri le intime energie e dirigerle ad un fine di bene e di concordia, aiutare con ogni mezzo la resistenza spirituale della compagine ed infine offrire in olocausto la propria vita, non significa forse tutto questo dare sé stessi alla causa ideale che si è agitata con calore di convinzione e con onestà di intendimenti?
[…] Non penso alla morte, all'eventualità del mio distacco dalla vita perché sento che il cuore mi si gonfia al ricordo dei nostri cari piccini; ma se la causa vorrà da me un contributo più pieno, un sagrificio senza limite, se vorrà insomma tutto me stesso, ebbene sia.
Ai piccini miei dirai un giorno, tu che sei stata tanta parte di me come e perché il loro babbo; dirai che egli fu un sincero credente nella fede di G. Mazzini, che perciò egli concepì religiosamente l'idea del dovere, che cercò sempre, con la modestia delle sue forze, di mantenere viva ed ininterrotta nella sua vita l'armonia dei due termini: Pensiero e Azione.
Un giorno, quando i nostri bimbi saranno più grandicelli ed avranno aperta la mente alla luce della ragione e della verità comprendendo meglio tutta la bellezza del sagrificio del loro babbo e dei mille e mille caduti sul campo per un'Italia nuova assertrice di libertà e di civiltà, comprenderanno che lo spirito umano quando tragga le sue ispirazioni dalle tombe e dalle dottrine soffuse di una sana aura di idealismo, è spesso capace di rinunzie ai comodi egoismi della vita, apprenderanno infine che la religione della patria è al di sopra di ogni meschina contesa dottrinaria o partigiana se per essa hanno fatto sagrificio migliaia e migliaia di uomini con animo romanamente forte, spartanamente fiero. Camminino i figli nostri nella diritta via del bene e della giustizia; io dalla mia fossa li seguirò; per vegliare su di loro e per proteggerli...».

Durante la sua prigionia, Calàbri tenne vivo lo spirito educatore che aveva caratterizzato le sue iniziative repubblicane. Difatti, si prodigò per organizzare una biblioteca ed un ciclo di conferenze per gli ufficiali. Curò inoltre la pubblicazione di un giornale, “Il Surrogato”, «ispirato ai sensi d'italianità». Dopo la fine delle ostilità, Calàbri fu infine liberato e giunse a Treviso il 25 novembre 1918.

Nel primissimo dopoguerra Calàbri riprese il suo posto nell'agone politico bolognese: fu infatti tra i fondatori (il 9 aprile 1919) del primo Fascio di combattimento felsineo, assieme ad altri compagni di partito quali Pietro Nenni e Guido Bergamo. L'iniziativa, in questo periodo, era in mano ad ex combattenti facenti capo in massima parte all'area repubblicana, ma non mancavano anche radicali, sindacalisti e ovviamente nazionalisti.
Questo primo Fascio si diede un programma spiccatamente antibolscevico e antisocialista, ponendosi lo scopo di sconfessare le forze neutraliste accusando inoltre veementemente il governo – allora ancora presieduto da Vittorio Emanuele Orlando – di essere incapace di trovare soluzioni ai problemi di politica interna ed estera. Nessun accenno al congresso milanese di Piazza San Sepolcro del precedente 23 marzo fu fatto nell'assise bolognese dell'aprile.
L'aspetto combattentistico era però l'unico collante che accomunava i presenti alla riunione: già tre giorni dopo, il 12 aprile, venne meno il compromesso fra il gruppo democratico e quello nazionalista, con quest'ultimo che decise di uscire in massa dal Fascio. Guido Bergamo diede pertanto questa nuova intonazione all'organizzazione: «Né coi bolscevichi, né coi monarchici, ma per la rivoluzione». Nonostante ciò, questo Fascio esaurì nel giro di brevissimo tempo la sua funzione all'interno della scena politica bolognese: solo nell'ottobre 1920, in occasione delle elezioni amministrative che sarebbero state tragicamente macchiate dalla strage di Palazzo d'Accursio, esso sarebbe stato ricostituito da Leandro Arpinati in senso decisamente fascista, con l'espulsione degli ultimi elementi repubblicani e sindacalisti.

Con l'ascesa del regime, Calàbri mantenne intatta la sua fede repubblicana. Proprio al termine dei tumultuosi mesi seguiti all'omicidio di Giacomo Matteotti, il 3 gennaio 1925 – mentre alla Camera del Regno Mussolini si assumeva tutte le responsabilità dell'assassinio del segretario del Partito Socialista Unitario – le squadracce di Arconovaldo Bonacorsi devastarono il suo studio legale, sito in via de' Foscherari, dopo che già qualche tempo prima Calàbri era stato preso di mira e aggredito da un gruppo di giovani nazionalisti.
Nonostante tutto, continuò la sua attività di curatore fallimentare ma nel 1931, in quanto non tesserato al Partito, fu radiato dall'albo. Poiché sospettato di svolgere attività in favore della Concentrazione Antifascista, subì il controllo postale fin dal 1931.
Solo motivi di salute gli impedirono di accorrere volontario in Spagna tra le file dei garibaldini comandati da Randolfo Pacciardi.

Morì a Bologna il 30 gennaio 1940: è ancora oggi sepolto in Certosa accanto alla moglie Adele.

Andrea Spicciarelli

FONTI E BIBLIOGRAFIA: E. Bittanti Battisti, Con Cesare Battisti attraverso l'Italia: agosto 1914 – maggio 1915, Milano, Treves 1938, pp. 172-181; N. S. Onofri, La strage di palazzo d'Accursio. Origine e nascita del fascismo bolognese 1919-1920, Milano, Feltrinelli 1980, pp. 7-33; N. S. Onofri, Calabri Dante in A. Albertazzi, L. Arbizzani, N. S. Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), vol. II, Bologna, Comune di Bologna : Istituto per la Storia di Bologna 1985, pp. 386-387; D. Calàbri, [editoriale senza titolo] in “L'Emilia Nuova. Periodico politico quindicinale della Federazione Repubblicana Emiliana” (31 dicembre 1914), p. 1; G. Lenzi, Dante Calabri in “Il Pensiero Mazziniano”, nn. 2-3(1980); Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, Commissione per l'interrogatorio dei prigionieri di guerra, f. Calabri Dante; Archivio di Stato di Bologna, Gabinetto di Prefettura, Persone Pericolose per la Sicurezza dello Stato, Categoria “A8-Radiati”, b. 31, f. Calabri Dante (1931-1941); Fondo “Dante Calàbri” (per gentile concessione della famiglia Cortesi-Azzolini).

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