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Busto di Giosue Carducci

1906

Schede

Nel 1906 Tullo Golfarelli (1852 - 1928) partecipa all’Esposizione nazionale di Belle Arti di Milano presentando due opere, e all’Esposizione di Belle Arti di Bologna (dove espone sia sculture che acquerelli, che risultano molto apprezzati); riceve inoltre l’incarico dal rettore Vittorio Puntoni per la realizzazione del busto in bronzo di Giosue Carducci che l’Ateneo bolognese intende sistemare nell’aula in cui il sommo poeta aveva insegnato per oltre quarant’anni e che verrà a lui intitolata (di fatto, fin dal 1901 l’Università aveva manifestato allo scultore il suo interesse a realizzare una memoria dedicata a Carducci ma il progetto si concretizza solo qualche anno più tardi). «Il busto – scrive Golfarelli nella lettera d’impegno – sarà sostenuto da un pieduccio e da una mensola di marmo e avrà per fondo una lastra pure di marmo. Il prezzo convenuto è di lire 1000 obbligandomi anche di collocarlo a posto, a mie spese, non pensando però io all’opera del muratore». Lo scultore ben riesce nell’impresa modellando «con vigore e sentimento» il poeta «nella sua serena maturità» e imprimendo nel bronzo i tratti della «figura pensosa, la testa leonina, la bella fronte su cui posò tante volte il raggio dell’idea creatrice. […] Carducci è vivo in quel bronzo e vedendolo tornano in mente i versi del Congedo e più ancora quelli scritti “dietro un ritratto”: Tal fui qual fermo in quest’imagin viva/Quand’era tutto sole il mio pensiero/ E a prova tra le sirti aspre del vero/Rimbalzava il mio verso e ribolliva./ Or mi avvolge la calma …».

Al termine del lavoro, Golfarelli donerà all’Università il modello in gesso del busto. Nell’autunno del 1906 la salute di Carducci è, difatti, già gravemente minata: «Purtroppo non si possono nutrire soverchie speranze sulla possibilità ch’egli possa darci ancora qualche lavoro letterario: la salute sua è scossa e pochi giorni or sono l’Italia che studia e che pensa era in vive ansie, causa la notizia sparsasi di un aggravamento», riporta la stampa (“Il Secolo”, 22 novembre 1906). Il busto viene sistemato al lato della cattedra, poggiato su di un semplicissimo piedistallo in pietra d’Istria – «scelta con pensiero il cui significato non ha d’uopo di esser posto in rilievo» – su cui vengono incisi il nome e le date – MDCCCLX-MCMV – «indicanti la fulgida età del suo insegnamento a Bologna». Il 27 novembre 1906, in occasione dell’avvio delle lezioni del nuovo anno accademico, in un’aula gremita di professori, studenti e di un folto pubblico, Giovanni Pascoli rievoca la gloria del Maestro. «Il professore, accolto festosamente al suo entrare, disse, con la solita anima commossa, gli alti pensieri che la effigie del maestro deve suscitare nella mente della gioventù studiosa, e dimostrò con brevi ma sentite e, come sempre, elette parole, che lo scultore Golfarelli era ben degno di raffigurare il poeta. E chiuse con efficacia che parve commento la mirabile ode del Carducci al Cadore». L’entusiasmo per il successo dell’impresa trapela anche nelle parole di Gaspare Finali che, di lì a pochi giorni, scrive a Pascoli da Roma: «Ma come avrà esultato Golfarelli! Il bellissimo discorso è consacrato in gran parte alla glorificazione della scultura. Sarà il primo artista di Cesena che lascerà di sé durevole nome. Viva lui.».

Il 16 febbraio 1907 Carducci muore a Bologna, poco più che settantenne. Golfarelli rimane profondamente turbato dalla notizia; è ancora vivo in lui il ricordo del poeta, dell’uomo che ha conosciuto nella ‘brigata’ e, forse, ancora prima nella villa dei conti Pasolini Zanelli di Lizzano di Cesena, e del quale ha condiviso la passione politica, gli ideali rivoluzionari e la simpatia per «la plebe contadina e cafona che muore di fame, o imbestia di pellagra e di superstizione, o emigra»; quasi dimentico, invece, dell’ultimo Carducci, monarchico e ‘crispino’. Scrive a Pascoli che del maestro ha appena tenuto una commemorazione a Pietrasanta: «Carissimo Giovannino, ti giunga di lontano e tardivo il mio plauso. Finalmente qualcuno ha commemorato il Carducci! Ho letto che ad una finestra ad ascoltare c’era la tua Mariù con Tobino. Avrei voluto essere con loro, in quel momento… ma non sono fortunato io; non potei muovermi da Bologna… Eppoi, sarei stato gradito? Tu non me l’hai scritto. Quante belle, buone e giuste cose hai detto! Nuove osservazioni, ravvicinamenti felicissimi! Ho letto con immensa soddisfazione nel Giornale d’Italia quella calzante confutazione del prof. Pietrobono (se ben ricordo il nome) alla critica cervellotica di Benedetto Croce sull’opera sua poetica. L’autore dell’articolo avrà mandato una copia del giornale (I aprile); in caso contrario te la procurerò».

Golfarelli, su richiesta dei familiari di Carducci, viene chiamato a eseguirne la maschera funeraria della quale verranno fuse due sole copie in bronzo invece delle quattro stabilite; successivamente da essa ricaverà una serie innumerevole di busti commemorativi tanto da essere unanimemente riconosciuto e potersi considerare (e, certamente, tale lui si considera) come ritrattista ‘ufficiale’ del sommo poeta. «Tullo Golfarelli che aveva più d’una volta affidate al bronzo perenne le sembianze gagliarde del poeta, imprimendovi il lampo degli occhi e la nobile e buona fierezza, Tullo Golfarelli fu chiamato dai parenti a fermar nella creta il volto di Giosuè Carducci appena la cerea morte vi impresse le sue incancellabili impronte. E l’artista, che al Grande era stato caro e devoto, sentì l’animo angosciato per lo straziante incarico, ma con trepidazione dignitosa sparse sul volto ancora radioso la creta destinata a serbare a noi le forme del maestro morto. Ed ora, così, mentre l’augusta salma ci è nascosta per sempre, lo scultore con cura reverente e amorosa ha tratto dalla maschera l’efficace calco. Lo aveva desiderato la vedova veneranda e ad essa sarà presentato, nel gesso prima e, poi, nel bronzo duraturo. Quel capo, quel volto che io ho veduto nel freddo biancore del gesso, sopra un cuscino candido cinto d’alloro, conserva tanti segni della funebre maestosità di cui la morte aveva cinto il pallido aspetto del cadavere, là nello studio tra candelabri e lauri e viole. La grande visione del dolore l’avevamo tutti impressa nel cuore con solchi profondi, noi che la morte ha chiamato per l’ultima volta intorno al Maestro. Ora il fedele calco ridà anche agli occhi che han lacrimato l’immagine del bel volto composto placidamente al riposo dei secoli. E ne perpetua la figurazione di dolore mentre altri bronzi ed altri marmi eterneranno la fiera testa raggiante di vita, di forza, di fede» (“La Vita”, 27 febbraio 1907). Nel marzo di quell’anno il sindaco di Bologna farà richiesta della maschera allo scultore ma questi gliela negherà in quanto calco «raro e pregevole». Quando, nel 1919, Golfarelli, sopraffatto dalle difficoltà economiche, si vedrà costretto a mettere in vendita il prezioso cimelio, ne proporrà l’acquisto all’Università di Bologna ma la trattativa non andrà a buon fine per mancanza di risorse e sarà il Museo carducciano ad accogliere nelle sue collezioni la ‘reliquia’. Golfarelli otterrà, comunque, nei mesi e negli anni che seguono la morte del poeta, importanti commissioni da parte di istituzioni pubbliche intente a celebrare le glorie carducciane.

Silvia Bartoli

Testo tratto da: Silvia Bartoli, Paolo Zanfini, Tullo Golfarelli (1852 - 1928), Minerva Edizioni, 2016. Fonti: BMRBo, Album Golfarelli.