Budrio, (BO)

Budrio, (BO)

1796 | 1918

Scheda

Nel primo Novecento Budrio, coi suoi 17.400 abitanti, era uno dei più popolosi comuni della provincia. L'economia del paese si basava fondamentalmente sull'agricoltura, che impiegava i due terzi della popolazione, in maggioranza come braccianti. Molte anche le attività artigianali, rinomate per qualità: fabbri, falegnami, sarti, calzolai. La coltivazione della canapa, da secoli esportata sui mercati nazionali ed internazionali, continuava ad essere una delle principali risorse, mentre i lavori di bonifica e l'introduzione di innovazioni tecniche nella lavorazione dei prodotti avevano risollevato in parte le campagne dalla crisi agraria di fine Ottocento. La maggiore stabilità politica, poi, aveva permesso l'attuazione di importanti opere pubbliche, dal nuovo edificio delle Scuole elementari al "Sanatorio popolare" per malati di petto; all'acquedotto, al nuovo sistema fognario, contro il diffondersi di malattie endemiche come il tifo; alla costruzione della centrale elettrica, in grado di fornire di illuminazione pubblica anche le frazioni. Dal 1886 funzionava la ferrovia che collegava il paese a Bologna e, con le sue due linee, a Molinella-Portomaggiore e a Medicina-Massalombarda. Tutto ciò aveva portato notevoli benefici. Ma l'entrata in guerra dell'Italia, e il protrarsi del conflitto stravolsero l'economia e la vita stessa del paese. 

La mobilitazione interessò tra i 3500 e i 4000 uomini, il 40% della popolazione maschile, in maggioranza lavoratori agricoli. Le ripercussioni furono devastanti: difficile provvedere alla manutenzione della campagna, famiglie contadine con due o tre figli si trovarono senza aiuto per lavorare i loro campi. E nel corso del conflitto, la situazione peggiorò: dalla scarsità della produzione agricola derivò un progressivo aumento dei prezzi dei beni di primo consumo. Anche sul versante della pubblica amministrazione vi furono effetti pesanti, con la chiamata alle armi di gran parte del personale comunale. Budrio fu dichiarata “zona di guerra” e il paese e le frazioni ospitarono reparti in attesa di raggiungere le zone di operazioni o di ritorno dal fronte. L'arrivo delle truppe costrinse l'amministrazione comunale a organizzare le requisizioni di edifici pubblici e privati richieste dal comando militare per alloggiare i soldati e a predisporre quant'altro era richiesto dalla loro presenza: il forno, ad esempio, o la "Casa del soldato", con una "sala di lettura e scrittura", luogo di accoglienza e di conforto. Numerosi documenti attestano i ringraziamenti dei capi militari per l'accoglienza ricevuta, ma la situazione diventò sempre più difficile col prolungarsi della guerra e gli oneri superarono i possibili guadagni. Era il sindaco che doveva gestire la situazione su tutti i fronti. L'impegno più gravoso fu l'assistenza alle famiglie dei richiamati. A questo scopo si istituì una rete formata da enti pubblici e privati cittadini, rete che funzionò con efficienza. L'Amministrazione comunale intervenne triplicando, dal 1915 al 1918, lo stanziamento per "la beneficienza straordinaria per la guerra"; mentre ai primi di giugno del 1915 costituì un "Comitato assistenza famiglie dei richiamati", che si incaricò di raccogliere offerte e di mettere in atto un programma di aiuti alle famiglie dei soldati al fronte. Per tutti gli anni di guerra il Comitato, con l'aiuto anche del Patronato scolastico, fece funzionare dal 1° luglio al 30 settembre, "ricreatori" affidati a volontarie, in cui accogliere i figli dei richiamati, le cui mamme dovevano lavorare. 

Un ruolo fondamentale nell'assistenza alle famiglie, in particolare ai bambini e agli orfani (alla fine della guerra 252 documentati) ebbe anche la Congregazione di Carità-Opere Pie, antico ente di beneficenza che gestiva due istituti per orfani dai 6 ai 19 anni e l'Asilo infantile Menarini. Congregazione e Comune agivano di concerto nella formulazione delle liste degli assistiti, nella valutazione delle domande delle famiglie e nell'impegno assistenziale. Per gli orfani di entrambi i genitori fu istituito nel 1918 un orfanatrofio. Di questa efficiente rete di assistenza fece parte anche la Sezione budriese della Croce Rossa, attiva fin dai primi mesi di guerra nel prodigarsi per i soldati al fronte, e, in particolare, per quelli fatti prigionieri. Essa costituiva l'unico canale diretto con le famiglie: a lei si devono ricerche e notizie dai campi di prigionia e l'aiuto alle famiglie per seguire correttamente le procedure di invio di cibo e indumenti ai propri cari. Dei prigionieri dell'altro fronte che vennero smistati a Budrio si occupò invece la Congregazione di Carità, che gestiva anche l'ospedale, dove furono ricoverati, oltre a molti nostri soldati, anche 287 prigionieri, di cui 32, morti nel 1918 di spagnola, furono sepolti nel cimitero di Budrio, dove una lapide ne onora la memoria. Alla fine del conflitto il bilancio dei caduti fu pesante: i residenti a Budrio morti nel corso della guerra furono all'incirca 380. In una statistica approssimativa, il 53% di loro morì per ferite, gli altri per malattia, anzitutto patologie polmonari. 44 soldati trovarono la morte nei campi di prigionia: in Austria, Germania, Boemia, Slovacchia, Ungheria, Montenegro; di questi ultimi, almeno 8 morirono di fame. Alcuni infine caddero lontano dai fronti del Triveneto: 3 in Albania e 6 in Libia. Per l'80% si trattava di contadini, braccianti e operai. A questi 380 vanno aggiunti 147 caduti nativi di Budrio ma residenti altrove. Molti anche i feriti, che, pur non avendo dati certi, dovrebbero ammontare a oltre 500.

Nel 1922 il Ministero della Pubblica Istruzione emanò due circolari per promuovere in tutta Italia la realizzazione dei “Parchi per le Rimembranze” in cui piantare alberi in memoria dei caduti della prima guerra mondiale. Nel 1924 il Comitato per le Onoranze ai Caduti di Budrio, presieduto dal sindaco Federico Pescatori, presentò quindi il progetto per un monumento “destinato ad onorare i nostri gloriosi concittadini morti combattendo per la sicurezza e la grandezza della Patria”, nell’area “lungo il viale che conduce alla stazione ferroviaria, a destra della villa Menarini” (attuale viale I Maggio). Il parco, progettato dal geometra comunale Francesco Fabbri, fu inaugurato il 13 giugno 1925 durante una visita del Re Vittorio Emanuele III. Al centro vi si trova un monumento a gradoni di cemento, decorato da tre bassorilievi in bronzo dello scultore budriese Arturo Orsoni (1867-1928), in cui sono rappresentati un uomo inginocchiato che prega e una madre dolente con il suo bambino. Sullo sfondo, alberi di alloro e di quercia - simboli di gloria ed eternità - intrecciano i loro rami. Le lastre sul fronte e sul retro riportano i nomi dei caduti budriesi, con lo stemma in bronzo del Comune, circondato da due rami di palma, simbolo del martirio. (a cura di Lorenza Servetti, Carlo Dogheria, Annalisa Sabattini)

Il Comune viene così descritto nel volume "Provincia di Bologna", collana "Geografia dell'Italia", Torino, Unione tipografico editrice, 1900: "Mandamento di BUDRIO (comprende 3 Comuni, popol.39.600 ab.). Il mandamento di Budrio fu, colla nuova legge del 30 marzo 1890, costituito coi Comuni di Budrio e Molinella, formanti l’antico mandamento di Budrio e col Comune di Medicina (amministrativamente appartenente al circondario d’Imola), già capoluogo del soppresso mandamento omonimo. Il territorio del mandamento di Budrio si stende nella parte bassa e completamente piana della provincia bolognese, a est-nord-est dalla città capoluogo. Esso confina al nord con la provincia di Ferrara, all’est con la stessa e col circondario di Imola, a sud con lo stesso circondario e ad ovest coi mandamenti di Bologna I e II e di Minerbio. Numerosi corsi d’acqua, scendenti dai soprastanti valloncelli apenninici attraversano il territorio di questo mandamento; ma i soli che possano pretendere il nome e la considerazione di fiumi sono l’Idice e la Quaderna, gli altri non sono che dei rivi in gran parte dell’anno totalmente asciutti e rigonfianti solo, e per poco, nei periodi di pioggia. Percorrono il territorio di Budrio numerose strade comunali, tutte carreggiabili; di queste, la più importante, è quella che da Bologna, per Budrio e Molinella, conduce alla palude o valle del basso Reno ed a Ferrara. Lo stesso territorio è attraversato dalla linea ferroviaria Bologna-Portomaggiore, da cui a Budrio dirama un tronco per Medicina-Lugo-Ravenna. Il territorio di Budrio è plaga eminentemente agricola e non vi hanno entità se non le industrie strettamente attinenti all’agricoltura.

BUDRIO (16.305 ab.). Trovasi nella pianura a levante e a 16 chilometri da Bologna, poco lungi dal corso dell’Idice e a 24 metri sul mare. Questa antica e cospicua terra ha tutte le caratteristiche d’una piccola prosperosa città, animata da spirito attivo di progressivo miglioramento. Essa ha nel circuito delle sue mura antiche, ma ben conservate e munite di piccole torri, a breve distanza fra di loro (dette in luogo torresotti), una popolazione densa di ben 7500 abitanti. Le vie interne sono ampie, regolari, fiancheggiate da edifizi in gran parte moderni e per lo più, sulla guisa di Bologna e delle altre città della regione emiliana, con porticati. Fra gli edifizi di Budrio che sono meritevoli di essere ricordati citiamo: il palazzo del Comune, il Teatro, la torre dell’Orologio e quella più antica detta del Borgo. Notevole è poi la nuova grandiosa piazza, creata sull’area in gran parte occupata dall’antica residenza dell’autorità pontificia, negli ultimi anni, per deliberazione del Comune, abbattuta. Notevoli sono pure le chiese di Budrio, fra le quali spicca l’archipresbiteriale, ricca di buone pitture dei Carracci, dell’Albani, del Mastelletta, di Giacomo Lippi, detto Giacomino da Budrio, e dei ferraresi Gandolfi. Budrio ha parecchie ed efficaci istituzioni di beneficenza, tra le quali ricordiamo l’Ospedale, l’Asilo infantile e la Congregazione di carità. Il territorio comunale occupa tutt’all’ingiro del capoluogo una vasta zona censita in ettari 12.124, popolata da numerose ville o parrocchie – costituenti frazioni del Comune – e fra le quali vanno, per l’effettiva importanza, ricordati i paesi di Prunaro, Vedrana, Bagnarola, Mezzolara ed altri luoghi minori; la vasta ed ubertosa campagna è inoltre popolata di ville e da infinite masserie. Il suolo in tutta questa regione, fertilissimo e coltivato con grande cura ed attività, produce cereali, canapa in grande abbondanza – costituente questa il più ricco prodotto del paese – foraggi, frutta ed ortaglie e limitatamente anche viti, che danno vini di bassa qualità. L’industria è rappresentata da un’officina meccanica per la fabbricazione e la riparazione di utensili e macchine agrarie, impiegante 17 operai; da una conceria di pellami, con una media di 16 lavoranti; da 3 fabbriche di paste da minestra, 2 tintorie e dall’industria casalinga della filatura e tessitura della canapa, esercitata pressochè da tutte le donne nella parte rurale del Comune. Da alcuni anni vi si fabbricano quei curiosi strumenti musicali in terracotta, che sono le ocarine – detti appunto di Budrio – e che sono usitatissime nella popolazione romagnola. CENNO STORICO. – Gli storiografi locali fanno risalire le origini di Budrio al lontanissimo periodo dell’occupazione umbra ed etrusca, o quanto meno, dei Galli Boi. Il luogo era già conosciuto nel periodo romano, col nome di Batrium. Anche nei tempi bassi fu terra cospicua e popolosa, perciò soggetta più facilmente a vicende guerresche e perturbatrici. Durante le guerre del periodo comunale fu più volte assaltata e saccheggiata dai Ferraresi e quasi distrutta. Il cardinal-legato Albornoz, che sì abilmente, verso la metà del secolo XIV, seppe ricondurre all’ubbidienza della Chiesa un dominio per questa considerato omai perduto, consenti che i Bolognesi, i quali tenevano moltissimo alla signoria di questa importante terra, ne rialzassero le sorti munendola di solide fortificazioni: tali sono appunto le mura già ricordate che cingono ancora la grossa borgata. Altre vicende guerresche ebbe a subire Budrio durante il secolo XV ed il tempestoso inizio del XVI. Il governo pontificio vi teneva un governatore (specie di sottoprefetto), avente giurisdizione sulle limitrofe terre di Baricella, Minerbio e Molinella." (Trascrizione a cura di Lorena Barchetti).

NB: Gli elenchi dei NATI, MORTI e RESIDENTI si riferiscono ai Caduti nella Prima Guerra Mondiale. Fonti e Bibliografia: Archivio Storico del Comune di Budrio; Archivio Opere Pie-Congregazione di Carità, Budrio; Archivio di Stato, Gabinetto di Prefettura, Bologna; Fedora Servetti Donati, Budrio Casa nostra, Budrio, 1993.

 

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Nelle campagne bolognesi lo scontro si fa violento all’incrocio tra rivendicazioni sociali e ostilità di classe. A cura del Comitato di Bologna dell'istituto per la storia del Risorgimento italiano. Con il contributo di Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. www.vedio.bo.it

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Finisce la Grande Guerra: i partiti diventano organismi paramilitari. Incomincia il biennio rosso. A cura del Comitato di Bologna dell'istituto per la storia del Risorgimento italiano. Con il contributo di Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. www.vedio.bo.it

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Otello Cavara, 'L'iventore dell'ocarina' (Giuseppe Donati). Da 'Ars et Labor - Musica e Musicisti', Ricordi, Milano, 1909. Collezione privata. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.

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“Mandatemi carta e buste...". Lettere dal fronte 1915-1918 a cura di Lorenza Servetti. Comune di Budrio

Compio il doloroso incarico...
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"Compio il doloroso incarico...". Un'antologia della corrispondenza intercorsa fra le famiglie dei soldati e le istituzioni, a cura di Carlo Dogheria. © Comune di Budrio

Associazione fra gli operai braccianti
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Associazione fra gli operai braccianti del mandamento di Budrio, Monografia; Bologna, Società Tipografica già Compositori, 1888. Collezione privata.

Offerte al Municipio di Bologna
Tipo: PDF Dimensione: 10.40 Mb

Nota delle offerte fatte al Municipio di Bologna dal dì 12 aprile al 30 giugno 1848, Bologna, Tipografia Sassi nelle Spaderie, 1848. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa

Bolognesi a Mentana (I)
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Ugo Pesci, La campagna dell'Agro Romano e la battaglia di Mentana, in I bolognesi nelle guerre nazionali, Bologna, Zanichelli, 1906.

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