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Karl Pavlovič Brjullov

23 Dicembre 1799 - 11 Giugno 1852

Scheda

Il primo decisivo soggiorno italiano del Brjullov inizia nel 1822, quando il giovane lasciò ventitreenne Pietroburgo strappandosi "agli amici, ai familiari, alle dolci abitudini" e fuggì "là dove, in vista d'un meraviglioso orrizzonte, matura il grande vivaio delle arti, in quella miracolosa Roma al cui solo nome così forte palpita il cuore ardente d'ogni artista". E' la rievocazione di ammiratore importante, Nikolj Gogol, a restituirci il senso di una decisione, subito dopo condivisa da altri pittori russi, ma forse non con il trasporto e la dedizione che distinsero, nelle scelte di vita e di lavoro, Brjullov. E a viatico di un'opera che si deve rivendicare come grandisima, lo stesso Gogol, in quel medesimo racconto Il ritratto che costituisce una fortissima affermazione dell'autonomia dell'arte e insieme della responsabilità e storicità dell'arte, offre un'immagine riassuntiva e pressocchè emblematica di questo apprendistato romano.

"Instancabilmente visitava le Gallerie, per intere ore restava fermo davanti alle opere dei grandi maestri, cercando di sorprendere il segreto della loro miracolosa pittura. Nulla intraprendeva senza prima essersi confidato con questi grandi e aver letto nelle loro creazioni un muto e tuttavia eloquente consiglio per sè. Non prendeva parte a conversazioni e dispute clamorose; non parteggiava per i puristi, nè li avversava. Riconosceva a ciascuno il suo merito come chi si interessava soltano a ciò che ciascuno ha di buono, e alla fine non tenne per maestro che il divino Raffaello...". Qui preme rilevare come già i desegni per 'Ila rapito dalle ninfe', cui Brjullov lavorò nel biennio 1827-28 (Mosca e Kirov), rechino i segni di una precoce autonomia stilistica, pur con suggestioni dell'altro Ila, dipinto da Palagi a Roma circa vent'anni prima. L'artista è pronto per quell'affermazione pubblica, che l'uscita di un'opera lungo meditata, l'Ultimo giorno di Pompei, sanzionerà in tutto il continente, con larghezza di consensi e anche di polemiche. Questi anni, che precedono la partenza dall'Italia, vedono Brjullov presente in molti centri (anche Venezia e Firenze), di volta in volta costeggiando Hayez od Horace Vernet, ma sempre con piglio personalissimo ed una implicazione di drammaticità, che nella pittura europea non si trovava manifestata con altrettanta forza dai tempi di Gericault. A Bologna, dove ebbe amici ed estimatori, lavorò per qualche tempo, ospite dello scultore Cincinnato Baruzzi, che con lui mantenne rapporti di cordialità anche dopo il suo ritorno a Pietroburgo. "Preceduto dalla fama singolare veniva del 1834 in Bologna ad osservare la nostra scuola pittorica. Giunto il rinomato artista fra noi, l'ospitale accoglienza e le dimostrazioni di stima ricevute, la nostra Pinacoteca e i nostri templi decorati dei capi d'arte di pittori bolognesi che contemplava insaziabile, primo di essi Guido, suo amore; la nostra città ch'ei diceva pittoresca per la singolarità de' suoi pittori e le sue svariate prospettiche linee, e i nostri colli suburbani amenissimi che inebriavanlo, lo determinarono a fermar qui la sua dimora, e a trattare d'acquistarsi per codesto un casino a Mezzaratta. L'accademia lo acclamò l'anno dopo dei suoi votanti... nè vergognò, artista già grande, di mescolarsi fra i nostri alunni nello studio del nudo..." (C. Masini, in Atti, 1852).

In una lettera non datata del 1837 o '38, Baruzzi lo rievoca mentre nel suo studio dipingeva il ritratto della Rossa. Anche quello di Giuditta Pasta, preceduto da un disegno all'acquerello, fu eseguito nel '34 presso lo scultore, stando alla testimonianza della stessa cantante, che da lui sollecitava cinque anni dopo la consegna, ancorchè Brjullov avesse lasciata incompiuta l'opera. Anche Iordan, allora direttore dell'Accademia di Pietroburgo, può testimoniare da Bologna il disappunto di Giuditta per l'improvvisa defezione del pittore. La cantante è colta durante la rappresentazione dell'Anna Bolena, con un intento di dimostrazione scenica molto esplicito, che il sontuoso contrasto dei neri e degli ori nelle vesti rende ancor più intenso. Si può capire come opere del genere facessero impressione a Bologna, dove Brjullov venne accolto tra i soci d'onore dell'Accademia per l'appunto nel '34, l'anno stesso in cui l'Accademia di Firenze lo nominava professore onorario. Resta, datata da Bologna 12 dicembre, la lettera di ringraziamento al corpo insegnante: "... Io ne sento tutta la maggiore compiacenza, trovandomi nella patria felice dei Carracci, di Guido, di Domenichino, genii di tanta sublimità nell'arte e delle cui opere sono tanto innamorato che ho già divisato nell'animo mio di volere aver comuni con essi il mo domicilio e la mia tomba, se fato avverso non me ne distoglie. Potessi rendermi degno emulo del valore di que' Sommi, e fregiare queste Vostre pareti di alcun segno dell'ardimento mio, che valesse a testimonio del grato animo verso Voi e della reverenza a questo Santuario delle Arti!".

Altre opere del Brjullov restarono in città fino al '47, quando le acquistò Nicola I, allora in visita in Italia: Amore e Psiche (Leningrado, Ermitage), Venere dormiente e Psiche (Palazzo di Petrodvoretz, presso Leningrado). Altre ancora ne segnala Cesare Masini nel necrologio del '52: 'un'abbozzo di scena storica', il 'ratto delle spose veneziane', 'uno studio di nudo'. Un più antico 'ritratto del giocatore di pallone Domenico Marini, detto Massimo' (Novgorod, Museo storico artistico) apparve alla mostra bolognese del 1837, auspice Michelangelo Gualandi, che ne aveva fatto acquisto dallo stesso Marini, col dichiarato intento di "mostrare ai giovani artisti un modello". E come precoce esempio di un 'vero' fuori di convenzioni od eccessi letterari, poteva additarlo Salvatore Muzzi alla stessa esposizione del '37: "Se un ritratto è vero quand'havvi le forme, il colorito, la vita e l'atteggiarsi più comune dell'originale onde fu tolto, questo del famosissimo Atleta del Pallone... dovrà dirsi a tutta ragione verissimo. Che se poi si guardi al magistero con cui è disegnata quella testa; alla vita che spira in quelle membra dal sommo della fronte fino alle braccia, fino all'estremo della mano; alla intelligenza anatomica; ai passaggi facilissimi dall'una all'altra tinta della carnagione, che qui è florida, qua e là giallognola e livida, ma sempre vera, sempre viva..." (Gazzetta di Bologna, 2 settembre 1837).

Il necrologio di Masini ci restituisce la carica provocatoria di tali assunti e la forte impressione che fecero nell'ambiente stagnante di Bologna: "Entusiasta Brulloff a tutti che l'arte all'arte faceano sommessa, dicea perduto il senno e la fama: ciò che è detto volgarmente convenzionale... Il vero, il vero, altamente proclamava ai giovani alunni; il vero di natura, ma nel suo bello, nel suo perfetto che è il più difficile; e nol sa vedere o nol sente non osi tentare. Niuno dà ciò di cui non è capace... Chi non ha fuoco nell'anima lascerà morte le tele". La cautela con cui nella sostanza un tale invito venne accolto, è provata dal fatto che nove anni dopo, un giovane, come era Guardassoni, di talento e non poco insofferente verso l'accademia, si richiamasse agli aspetti più facili di Brjullov in una prova scolastica, modellata sull'Anna Bolena forsennata.

Renzo Grandi

Testo tratto dal volume "Dall'Accademia al vero – La pittura a Bologna prima e dopo l'Unità d'Italia", Bologna, Grafis, 1983.