Botte di Pioppe di Salvaro

Scheda

Il 29 settembre 1944, sin dalle cinque del mattino, a Salvaro è tutto un agitarsi convulso di persone. Monte Salvaro è percorso dai soldati tedeschi che fanno strage e incendiano le case. In un vano dietro la sagrestia maggiore della chiesa vengono nascosti più di settanta uomini. Un armadio monumentale mimetizza l’ingresso e, pregando ad alta voce, i bambini e le donne cercano di coprire eventuali rumori provenienti dal nascondiglio. Altri uomini vengono nascosti in una cantina chiusa da una botola. Don Elia Comini celebra la messa e appena ha finito arriva un uomo che chiede aiuto per i rastrellati a Creda, dove è in corso il massacro. Don Elia e padre Martino Capelli prendono la stola e l’olio degli infermi e partono alla volta di Creda, ma vengono fermati dai tedeschi che li considerano spie e li utilizzano per il trasporto delle munizioni.
Intanto a Carviano, Calvenzano, Malfolle, Sibano, Pian di Venola e frazioni vicine i tedeschi rastrellano diverse decine di uomini e li rinchiudono a Pioppe di Salvaro, tra la scuderia e la chiesa. In tutto sono un centinaio di persone, tra cui sei religiosi: padre Basilio Memmolo , don Vincenzo Venturi, don Giovanni Fornasini, padre Artusi, don Elia Comini e padre Martino Capelli.
Il 30 settembre 1944 i prigionieri vengono divisi in due gruppi: gli abili al lavoro e gli inabili. Secondo la testimonianza di padre Basilio Memmolo la selezione avviene in seguito a un interrogatorio al quale partecipano un ufficiale italiano della Repubblica Sociale e un ex partigiano che ha tradito i compagni ed è passato con i tedeschi.
Il gruppo degli abili al lavoro viene condotto a Bologna, alle Caserme Rosse: in parte è inviato in Germania, in parte è destinato a governare le bestie. Il gruppo degli inabili, composto da circa cinquanta uomini, di cui fanno parte anche don Elia e padre Martino, è mitragliato sul ciglio della botte della canapiera di Pioppe. Prima di essere uccisi i prigionieri vengono derubati di orologi, portafogli, scarpe.
Il cavalier Emilio Veggetti tenta di liberare almeno don Elia, ma questi rifiuta l’intercessione dichiarando: “O ci libera tutti o nessuno!”. Anche suor Alberta Taccini, delle ancelle del Sacro Cuore, si reca al comando tedesco per intercedere a favore dei prigionieri, ma tutto è inutile. Dichiarerà che due SS parlavano in dialetto bolognese. Mentre padre Martino e don Elia sono accusati da una spia di contatti con i partigiani, gli altri religiosi vengono liberati ma devono andare a Bologna per procurarsi un documento di riconoscimento dal vescovo e un salvacondotto dalle autorità tedesche. Sotto i corpi dei caduti si salvano Pio Borgia, Gioacchino Piretti e Aldo Ansaloni, altri tre riescono a uscire dalla botte ma successivamente muoiono per le ferite riportate (Luigi Comelli, Guido Nannetti e un uomo di Carviano).
I tedeschi vietano il recupero delle salme e la botte diventa un orrendo miscuglio di carne, fango e sangue. Solo dopo diversi giorni vengono aperte le griglie e i poveri resti sono trascinati via dalla piena del Reno.

Leggi tutto

Testimonianze

Persone

44 biografie:

A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z 0-9 TUTTI

Altro

Luoghi

Eventi

Multimedia
Scheda Botte 1 ottobre 1944
Il racconto di Giovanna Monti figlia di Fernando
Botte di Pioppe di Salvaro, 1 ottobre 1944
Il racconto di Annarosa Nannetti figlia di Guido
Botte di Pioppe di Salvaro, 1 ottobre 1944
Apri mappa