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Bologna Filodrammatica

XVII | XX secolo

Schede

Accanto alla grande tradizione musicale che l'ha resa celebre, ed ha contribuito validamente al vantaggio e al progresso dell'arte, Bologna possiede pure una tradizione filodrammatica, meno nota, s'intende, e meno importante, ma nata anch'essa dall'inestinguibile amore che i petroniani sempre nutrirono per il teatro e per ogni genere di spettacoli. La smania del recitare ha infatti nella vecchia città antiche origini, tanto che possono forse considerarsi fra i primi filodrammatici i confratelli delle compagnie dei Battuti e quegli studenti e quei fanciulli che nel Medioevo venivano istruiti per eseguire le Sacre Rappresentazioni. Certo è che prima della comparsa delle compagnie comiche regolari, molte commedie, anche fra le più famose, vennero rappresentate da attori improvvisati o da minuscoli artisti, ed è pure noto che già in antecedenza al sorgere dei teatri venali, le sale dei palazzi e delle case private offrirono ricetto agli spettacoli di prosa sostenuti dal volonteroso entusiasmo di appassionati dilettanti.

Ma è particolarmente nel seicento e nel settecento che la passione filodrammatica dilaga a Bologna per ogni dove, fino ad assumere forme addirittura maniache e morbose. Essa trova il terreno propizio per svilupparsi e per intensificarsi e, sotto un certo aspetto, compie per qualche tempo una funzione non del tutto priva di utilità. In quegli anni, il rigoglioso fiorire del melodramma e la strepitosa rinomanza della commedia dell'arte conquistano compiutamente il cuore del pubblico il quale, senza i trilli e i gorgheggi dei cantanti e senza i lazzi e le arguzie delle maschere, non prova al teatro alcun compiacimento. La tragedia quindi, e la commedia scritta, son messe al bando senza rispetto alcuno e chi tenta, come Luigi Riccoboni, nei primordi del secolo XVIII, di imporle con indiscussi meriti artistici, all'attenzione della folla, deve tralasciare, sfiduciato e dopo breve tempo, il generoso proposito. Alle forme letterarie del teatro di prosa, non resta quindi che il rifugio delle sale private e l'ausilio dei filodrammatici. Sorgono perciò le Accademie suscitatrici di scenici esperimenti, sorgono i mecenati che nei loro palazzi ne emulano le opere ed il fervore, e si moltiplicano ogni giorno le improvvisate schiere degli attori e delle attrici, mentre un gruppo di scrittori, che non sempre s'eleva dalla mediocrità, sceneggia a getto continuo avvenimenti tragici e comici, e s'industria a tradurre dal francese i capolavori del Corneille, del Racine e del Molière. Quasi in concorrenza coi pubblici teatri, quali il Formagliari, il Malvezzi e più tardi il Comunale, s'innalzano nelle ricche dimore dei patrizi, nelle loro ville suburbane e nelle più modeste case dei borghesi, piccoli e graziosi palcoscenici sui quali accanto agli immancabili allettamenti musicali, prospera, sia pure in tono minore, l'arte drammatica, e patrizi e borghesi vanno a gara a sfoggiar l'eccellenza degli spettacoli e a dar prova di abilità e di valore interpretativi. La moda contribuisce inoltre alla vitalità di questo nobile genere di ricreazione e l'esempio della Francia, ove il teatro di società s'afferma sempre più prosperoso, rinfocola gli ardori e rende ognuno più tenace e più perseverante. È una esaltazione insomma, è una frenesia che straripa, che invade i collegi, i conventi e perfino l'Arcivescovado, nel quale, al dire di un anonimo cronista, fu eretto un teatrino per divertire con commedie e farse la principessa di Santo Buono, impossibilitata ad uscire di casa, perchè prossima a partorire.

Una così spiccata tendenza per il teatro permette a Bologna di offrire alla scena lirica e alla commedia dell'arte il prezioso contributo di eccellenti artisti, e le permette pure di annoverare fra i suoi attori-dilettanti un giovane di grande avvenire: «il signor Prospero Lambertini» che sarà un giorno Papa col nome di Benedetto XIV. Ignaro del suo radioso destino, egli volge allora le sue giovanili energie e il suo naturale estro burlesco a colorire e ad animare la maschera del Balanzone, ed a sostenere, il 12 febbraio 1689 nel teatro dell'Accademia del Porto, la parte del protagonista nella commedia La pazzia del Dottore. Ma a questo illustre antenato dei nostri filodrammatici, che recitava, come afferma il Giraldi «egregiamente bene», un altro s'aggiunge, verso la metà del settecento, non meno degno di elogio e di ricordo. È il marchese Francesco Albergati che come autore e come attore consacrò gran parte della vita alla scena di prosa. Nei teatrini delle sue ville a Zola Predosa e a Medicina, e del suo palazzo di città, egli recita dapprima, per seguir l'andazzo del tempo, la commedia improvvisa, poi attratto e conquistato dalla riforma goldoniana, scrive commedie che avranno qualche lustro di voga, traduce tragedie francesi e si studia di togliere all'arte del recitare le falsità e le sovrabbondanze che la opprimono, per ricondurla ad un concetto più alto, più dignitoso e più fedele a verità. Amico del Goldoni, ospita il grande commediografo nella sua villa, e questi lodandolo come attore, scrive per lui cinque lavori scenici: Il Cavaliere di spirito, La Donna bizzarra, L'Apatista, L'Osteria della Posta e L'Avaro che vengono rappresentati dinnanzi ad un distinto consesso di letterati, di nobili dame e di cavalieri. È quindi con l'Albergati che si chiude decorosamente a Bologna il settecento filodrammatico, ma il desiderio di prodursi sulle scene non si affievolisce nei nostri concittadini, tanto che l'esordio del secolo appare, sotto questo rispetto, in tutto degno della tradizione imperante. Per tale ragione, durante la parentesi napoleonica, pullulano per ogni dove nuove accademie dilettantistiche e i loro adepti si contraddistinguono coi curiosi nomi di Rinati, di Etografi, di Filotaliaci, di Filergiti, ecc., finchè il conte Filippo Aldrovandi dà vita ai Fervidi filodrammaturghi che, dopo un temporaneo scioglimento intorno al 1807, si perpetueranno poi, con diverse denominazioni, fin oltre la metà dell'ottocento. S'intende che, come già nel secolo precedente, nobiltà e borghesia concorrono a tener vivo l'amore per la scena drammatica, nonostante che sui pubblici teatri la tragedia e la commedia letteraria abbiano ormai stabilito il loro inconstrastato dominio, e s'intende che non pochi fra i migliori esponenti della mondanità bolognese, portano alle manifestazioni accademiche l'ausilio della loro eleganza e della loro notorietà. E basti a questo proposito ricordare la celebre Cornelia Martinetti, a cui i cronisti del tempo riconoscono il merito, come attrice, di «rifuggire da ogni artificio e di rendere perfettamente i caratteri nei quali spiccano la schiettezza ed il candore».

Ma fra tante Accademie, quella dei Fervidi filodrammaturghi ebbe maggiore importanza e maggiore notorietà. Ribattezzata nel 1820 col nome di Accademia Filodrammatica, essa si divise nei primi mesi del 1824 in due distinte Società, una delle quali conservò la vecchia denominazione, e l'altra si chiamò, per breve tempo, Accademia dei Concordi e poscia dei Sinevergeti. E a questa nuova accademia, come già alla Filodrammatica, prima della divisione, toccò l'insperato onore di accogliere fra i suoi membri il giovane avvocato Gustavo Modena il quale, pur costretto dal volere paterno a seguire la carriera legale, mostrava già chiaramente di aspirare più ai trionfi della scena che a quelli del Foro. La tradizione orale afferma che egli subito s'impose all'ammirazione dei frequentatori del teatro di Casa Loup in Piazza Calderini, e di quelli del teatro Contavalli, nella interpretazione dei più svariati caratteri, passando dal genere tragico al genere comico con prontezza ed efficacia fuor del comune. Certo si è che un grande capocomico dell'epoca: Salvatore Fabbrichesi, dopo aver assistito, negli ultimi mesi del 1824, ad una sua recita, fu ben lieto di scritturarlo, per le parti di primo attor giovane, nella sua compagnia, innalzando così agli onori della scena italiana colui che, in breve volger di tempo, doveva diventarne l'assoluto dominatore. A distanza di circa un anno dalla partenza del Modena, l'Accademia dei Sinevergeti, tornò a chiamarsi Accademia dei Concordi e sotto questo nome riprese a percorrere con perseverante passione, il suo lungo cammino. In essa fecero le loro prove sceniche alcuni dei migliori patrioti bolognesi, destinati poi a pagare col carcere e con l'esilio, i fremiti, le impazienze e le audacie del 1831 e del 1848, e su di essa vigilò per molti anni il buon Luigi Ploner, modesto impiegato municipale e passabile caratterista, noto principalmente come commediografo, per certe farse originali e gioconde non ancora del tutto dimenticate. La larga notorietà dei Concordi, dovuta al loro amore per l'arte, si formò tuttavia anche per le loro continuate opere benefiche. Innumerevoli furono infatti le loro recite a scopo di carità e valgan per tutte quelle del 1841 al Contavalli, intese a formare il fondo necessario per erigere nella nostra Certosa un degno monumento al grandissimo Luigi Vestri, spento, appunto in quell'anno a Bologna, da fierissimo morbo; e l'altra, pure al Contavalli, data col concorso di Adelaide Ristori, nel 1846, a favore delle famiglie degli amnistiati politici. Dopo la morte del Ploner (1855) però, i Concordi affievolirono via via la loro attività, ma non cessò per questo in Bologna l'irresistibile impulso alla recitazione, cosicchè alla distanza di quasi un decennio, risorse l'Accademia filodrammatica bolognese, seguita di lì a poco dagli attivi nuclei degli Esperienti, degli Esordienti, della Goldoniana, dei Solerti e da quello più valido ed operoso della « Francesco Albergati» (1876).

E attraverso a queste numerose società di dilettanti emersero pure alcune personalità che, nell'esercizio ricreativo della scena, formarono e maturarono i loro temperamenti artistici destinati a più alta fortuna, e prima fra tutte Argia Magazzari, che poi nel teatro bolognese (spasimo e sogno di Alfredo Testoni) seppe per virtù del suo istinto e del suo ingegno, conquistare quell'assoluto primato che mai le potè essere conteso. Ora è curioso notare che la nostra scena dialettale, quasi per un prestabilito decreto del destino, s'alimentò in ogni tempo delle energie filodrammatiche, e come nei suoi inizi, alla fine del cinquecento, ebbe per interpreti fanciulli e dilettanti, così nei successivi secoli trovò sempre in questi ultimi i suoi validi sostenitori. E furono infatti filodrammatici coloro che nel 1855 rappresentarono I facchein d'Bulagna di Giuseppe Muzzioli e furono filodrammatici coloro che sorressero i tentativi di teatro paesano avvenuti dopo il 1870 e che poscia costituirono nel 1888 la Compagnia bolognese. Ebbero quindi origini filodrammatiche Augusto Galli, primo fra gli attori comici petroniani, Luigi Pistoresi, Carlo Musi e Guglielmina Magazzari, attrice distintissima, che passata dalla scena dialettale a quella italiana seppe, col marito Antonio Galliani, eccellente brillante, sostenersi con piena dignità e decoro, al fianco di Eleonora Duse per oltre vent'anni. Ed ebbero pure le stesse origini Linda Tommasini, Elvira Avoni, Ada Franzoni, Umberto Bonfiglioli e tutti gli altri attori ed attrici che nobilitarono coi loro meriti il teatro in dialetto, fino ad Angelo Gandolfi il quale è stato di tale teatro l'ultimo fervente animatore. L'esistenza del teatro bolognese tolse tuttavia, per strana contraddizione, valore ed importanza alle superstiti società di dilettanti, le quali vissero, può dirsi fino a ieri, di una vita un po' stentata ed oscura e avvolte in una atmosfera di svalutazione e di ironico compatimento. Ma questo penoso periodo si considera attualmente come sorpassato, giacchè le iniziative e le gare dell'Opera Nazionale Dopolavoro, hanno suscitato fra i filodrammatici bolognesi speranze e propositi da tradurre in valutabile realtà. Se essi sapranno quindi accaparrarsi la stima e l'approvazione del pubblico e se riusciranno ad offrire al teatro italiano nuove e valide forze di sicuro avvenire, acquisteranno il diritto di ritenersi i continuatori della tradizione filodrammatica cittadina che, come si è visto, non manca di decoro e non è priva di gloria.

BIBLIOGRAFIA. Diari Legatizi. Vol. VIII, p. 700. GIRALDI G. B.: Diario (1689-1735) ms. n. 3851 presso la Biblioteca Universitaria di Bologna. GOLDONI CARLO: Memorie (ediz. Barbèra, 1907). Vol. I, p. 374. MASINI CESARE: Cenno storico dell' Accademia filodrammatica dei Concordi di Bologna. In « Il Mondo illustrato», Torino, 1847. « Redattore del Reno », n. 26 del 31 marzo 1807. Testo tratto da: Oreste Trebbi, Cronache della vecchia Bologna, Compositori, Bologna, 1937.