Schede
Il biancore del suo manto e la sua fragilità ne fanno un simbolo d’innocenza e di purezza. Cesare Ripa indica l’agnello portato in braccio quale attributo della personificazione dell’Innocenza. Inoltre lo stesso autore mette l’animale accanto a un leone e a un lupo in due diverse personificazioni della Pace. Nella tradizione cristiana ha un doppio significato: il fedele che appartiene al gregge di Dio e la vittima sacrificale. Nel Vangelo di Giovanni (Giovanni 21, 15-17) Gesù dice a Simon Pietro: “pasci i miei agnelli”, e in Luca 10, 3 gli stessi discepoli sono assimilati a degli agnelli. Ma l’animale incarna soprattutto la vittima, il cui sacrificio ha una funzione salvifica. Già il profeta Isaia fa dell’agnello l’immagine del messia: “Egli è stato oppressato, ed anche afflitto: e pur non ha aperto la bocca: è stato menato all’uccisione, come un agnello; ...” (Isaia 53,7). Giovanni Battista nel vedere arrivare Gesù lo saluta con la celebre formula “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo” (Giovanni, 1,29). E’ nell’Apocalisse di Giovanni che si compie la totale identificazione tra l’agnello sacrificale e il Cristo. L’agnello, con il pesce e la barca, è un simbolo molto frequente nell’arte cristiana dei primi secoli, inclusa quella funeraria. Iconograficamente l’agnello può rappresentare: la Passione (egli tiene la croce tra le zampe e presenta una ferita sanguinante), la Resurrezione (egli tiene la croce sulla quale appare una fiammella) e il Giudizio (egli poggia le zampe sul libro del Giudizio). Nell'arte funeraria italiana del XIX secolo, l'agnello è un simbolo poco frequente.
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Gian Marco Vidor
"Nel culto giudaico – volto precipuamente a celebrare i doni della terra – aveva primaria importanza la primaverile festa detta Pasqua (Pesach), dedicata alle primizie degli armenti. Nel decimo giorno del primo mese dell'anno (nisan) ciascuna famiglia sceglieva un agnello maschio, immune da difetti, e lo rinchiudeva in uno stabulo, fino alla sera del giorno decimoquarto; lo scannava e arrostiva al tramonto per mangiarlo interamente, con pane senza lievito, con lattughe amare, e in piedi, con cinte le reni, le scarpe calzate, bastone in mano, nell'atto di viandanti in procinto di partire, e tingendo, poi del suo sangue, l'architrave e i battenti della casa. Questa cerimonia preservò in Egitto gli israeliti dalla strage comandata da Dio, e fu facilmente posta in rapporto con l'esodo ebraico dal regno dei Faraoni. Il concilio di Nicea (325) determinando cronologicamente la celebrazione della resurrezione di Cristo nella domenica dopo il plenilunio successivo all'equinozio di primavera, fece coincidere la Pasqua cristiana con quella israelitica; e così si mantenne anche dai cristiani il simbolo dell'agnello espiatorio. Dicevano già le antiche carte che Isaia aveva invocato dal Signore che inviasse l'agnello a dominare la terra (LIV – 7); Giovanni aveva additato il Redentore alle turbe dicendo: “Ecco l'agnello del Signore”; e come l'agnello svenato aveva salvato i figli degli ebrei del ferro dell'angolo sterminatore, così Gesù con il suo sangue salvò il genere umano; il perché San Paolo dice Lui “immolato quale nostro agnello pasquale” (Ai Corinti – V 7), e tutta l'apocalisse è la glorificazione dell'agnello, cioè di Gesù. (Gen. IV – 4 – Esod. XII – 3 – id. XXIX, 38 – Is. - XXII, 1 – Gerem. LIII – 7). Doveva, dunque, avere preminenza l'agnello – già dedicato a Giunone – tra il moltiplicarsi delle figuri dei primordi del cristianesimo, quando esso doveva ricorrere alla “disciplina dell'arcano” per manifestare le sue verità. Nel bianco agnello sotto la croce san Paolino raffigura Cristo (a Sever, Ep. XXXII): e
L'agnel di Dio che le peccata leva (Purg. XVI – 18)
divenne il simbolo universale del rito della Pasqua. In ogni luogo della cristianità rimane il rito conviviale, dove si condisce l'agnello o si fanno ciambelle in forma di agnello; come in Lombardia e in Piemonte. L'agnello pasquale si raffigura passante, qualche volta aureolato, con una croce da cui pende un piccolo stendardo caricato di croce rossa. Il sinodo di Costantinopoli pose fine alla rappresentazione di Cristo in figura di agnello, ordinando l'adozione della croce con il divino morente (680). Nell'archeologia cristiana molte volte l'agnello rappresenta anche il fedele: perocché Cristo, quando commise a S. Pietro il governo della Chiesa, gli disse di “pascere le sue pecore e i suoi agnelli” (Giovanni XXI); e nei monumenti protocristiani il Redentore è in figura di pastore, con l'agnello sulle spalle, forse derivazione del pagano Ermete Crioforo, di cui è il più bell'esempio quello del museo lateranense (Natali), e altri sono quelli del cimitero di S. Ermete, delle catacombe di S. Callisto, e l'ultimo scoperto, sul sarcofago di Lambrate (1905). (Cfr. Martigny – Studi archeologici sull'agnello). Non può persuadere l'asserzione del Malvert (Scienza e religione) che l'agnello fu adottato come simbolo cristiano per la somiglianza del nome (agnus) con Agni, dio del fuoco, secondo nella gerarchia celeste degli indiani. L'agnello nelle sacre carte egizie è già ricordato come esponente di purità e di semplicità. Esso appare con il disco solare e sovrapposto alla croce (sarcofago del Vaticano, del sec. IV); poi è sostituito dalla figura di Gesù, ma non sulla croce (mosaico della tomba di Galla Placidia, a Ravenna, del sec. V). Per le sue note qualità è pure riconosciuto atto a simboleggiare la pace, l'innocenza, la mansuetudine (“qui coram tondente se obnubuit”); l'umiltà. “L'agnello è la più umile bestiola che sia, e però nella Santa Scrittura è figurato per l'umiltà” (Sacchetti). Il fresco di Taddeo Gaddi nella cappella Baroncelli in S. Croce a Firenze, rappresenta l'angelo dell'umiltà che offre un agnello. La sant'Agnese di Carlo Dolci, nella galleria Corsini a Roma, tiene in braccio un agnello, secondo la poetica leggenda per la quale la santa così apparve ai genitori otto giorni dopo la morte; e il mirabile inno di Sant'Ambrogio comincia:
Agnetis almae virginis...
Il 21 gennaio di ogni anno si presentano al papa due candidi agnelli, la cui lana, simbolo di purità, deve servire a intessere i sacri palli. I goti avevano l'agnello sugli stendardi di pace. Una interessantissima questione letteraria nacque dalla interpretazione del verso:
La mansueta vostra e gentil agna
(Petrarca – Canzon. 27)
Si congetturò che il sonetto fosse dedicato ai fiorentini, essendo l'agnello in campo azzurro l'insegna dell'arte della lana, allora predominante nel reggimento comunale di Firenze. Il Carducci accettò, pure dubitando, la congettura. Il Cesareo, invece, opina – come altri prima di lui – nel credere l'agna simbolo della Chiesa. Recentissimamente il Foresti affermava che l'agna petrarchesca è Agnese Colonna, moglie al conte Orso dell'Anguillara, al quale il poeta dedicò il sonetto 27, come dedicava i sonetti 35 e 93 del suo canzoniere."
(Testo tratto da: Giovanni Cairo, "Dizionario ragionato dei simboli", Ulrico Hoepli, Milano, 1922 - febbraio 2022).
Texto en español. El blancor de su manto y su fragilidad son símbolos de inocencia y pureza. Cesare Ripa indica el cordero llevado en brazo, o sea la personificación de la inocencia. Además, el mismo autor pone el animal, cerca de un león y de un lobo en dos personificaciones de la Paz. En la tradición cristiana tiene un doble significado: el creyente que pertenece al rebaño de Dios y la víctima sacrifical. En el Evangelio de Giovanni, Giovanni 21, 15 -17, Jesús le dice a Simón Pietro: "tu pastoreas mis corderos”, y en Luca 10, 3 los mismos discípulos son asimilados a de los corderos. Sin embargo, el animal encarna sobre todo la víctima, cuyo sacrificio tiene una función salvadora. El profeta Isaías hace del cordero la imagen del messia: "Él ha sido sometido, y también afligido: pero no ha abierto la boca: fue golpeado hasta la muerte, como un cordero; ..., Isaías 53,7). Giovanni Baptista en ver llegar Jesús lo saluda con la célebre fórmula “Eso es el cordero de Dios, que saca los pecados del mundo" (Giovanni) 1,29). En el apocalipsis de Giovanni, se cumple la total identificación entre el cordero sacrifical y el Cristo. El cordero, con el pez y el barco, son símbolos muy frecuentes en el arte cristiano de los primeros siglos, inclusa aquella funeraria. Iconograficamente el cordero puede representar: la Pasión (él tiene la cruz entre las patas y tiene una herida sangrante), la Resurrección (él tiene la cruz sobre la que aparece un fuego) y el Juicio (él apoya las patas sobre el libro del Juicio). En el arte funerario italiano del siglo XIX, el cordero es un símbolo poco frecuente.
Texte en français. La blancheur de son manteau et sa fragilité sont symboles d'innocence et de pureté. Cesare Ripa indique l'agneau porté en bras, que c’est la personnification de l'innocence. En outre, le même auteur met l'animal à côté d'un lion et à un loup, en deux différentes personnifications de la Paix. Dans la tradition chrétienne il a un double signifié: le croyant qui appartient au troupeau de Dieu et la victime sacrificielle. Dans l'Évangile de Giovanni, Giovanni 21, 15 -17, Jésus dit à Simon Pietro: "tu pais mes agneaux”, et en Luca 10, 3 les mêmes disciples sont assimilés à des agneaux. L'animal incarne surtout la victime dont le sacrifice a une fonction salvatrice. Le prophète Isaia fait de l'agneau l'image du messia: "Il a été soumis, et aussi affligé: et il n'a pas ouvert la bouche: a été battu à mort, comme un agneu; ..., Isaia 53,7). Giovanni Battista en voyant arriver Jésus le salue avec la formule célèbre “Voilà l'agneau de Dieu, qu'il enlève les péchés du monde”, Giovanni, 1,29). Dans l'apocalypse de Giovanni s'accomplit le totale identification entre l'agneau sacrificiel et le Christ. L'agneau, avec le poisson et le bateau, sont des symboles très fréquents dans l'art chrétien des premiers siècles, incluse l’art funéraire. L'agneau peut représenter: la Passion (il tient la croix entre les pattes et a une blessure sanglante), le Résurrection (il tient la croix sur laquelle apparaît un flamme) et le Jugement (il appuie les pattes sur le livre du Jugement). Dans l'art funéraire italien du XIX siècle, l'agneau est un symbole peu fréquent.
Traduzioni del testo di Gian Marco Vidor a cura di Giulia Casapinta.